Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9140 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9140 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Muscò Roberto, nato il 30 agosto 1965
avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina del 10 dicembre 2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Pietro
Gaeta, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Claudio Fassoni, in sostituzione dell’avv. Giuseppe
Marino.

Data Udienza: 19/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 10 dicembre 2014, la Corte d’appello di Messina ha
confermato la sentenza del Tribunale di Messina – sezione distaccata di Taormina del
19 luglio 2010, con la quale l’imputato era stato condannato, riconosciute le
circostanze attenuanti generiche e i doppi benefici, alla pena di quattro mesi di
reclusione, per il reato di cui all’art. 4 della legge n. 401 del 1989, per avere, in
qualità di gestore di una sala-giochi, consentito l’esercizio di scommesse calcistiche e
ippiche senza la prescritta licenza del Questore.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – In primo luogo, si deducono la mancanza e la manifesta illogicità della
motivazione, nonché il travisamento della prova, sul rilievo che la polizia giudiziaria
aveva accertato: che non erano presenti avventori al momento del sequestro; che i
computer non permettevano la libera navigazione in Internet, ma solo l’utilizzo del
portale della società Sportandgames; che per effettuare l’accesso era necessario
possedere un nickname e una password; che non si era verificato cosa si potesse
realmente fare accedendo al sito.
2.2. – Con un secondo motivo di doglianza, si deduce l’erronea applicazione
della legge penale, in relazione alla ritenuta irregolarità dell’operato dell’imputato. Si
sostiene, in particolare, che la società Sportandgames era autorizzata ad esercitare
l’attività di gioco e scommesse e che, con contratto del 7 marzo 2003, tale società
aveva affidato all’imputato l’attività di commercializzazione. In quel contratto la
società dava atto: di disporre di un sistema di conti-gioco per la raccolta distanza; di
fornire all’imputato il pacchetto di servizi necessari per partecipare ai giochi di quella
concessionaria e ai giochi degli altri concessionari che si avvalevano del suo sistema di
conti di gioco; di provvedere alla realizzazione della gestione dei canali tecnologici atti
alla raccolta a distanza del gioco. Secondo la difesa, per l’utilizzo dei terminali a
disposizione del centro-scommesse dell’imputato, che consentivano la possibilità di
scommettere on-line utilizzando una carta prepagata tramite postazioni messe a
disposizione del titolare, non sarebbe stata necessaria la licenza del Questore;
sarebbe stata, invece, sufficiente una dichiarazione ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n.
259 del 2003 all’ispettorato territoriale del Ministero delle comunicazioni. E tale
dichiarazione sarebbe stata regolarmente inoltrata dall’imputato il 7 aprile 2006. Lo
stesso imputato avrebbe, comunque, inviato alla Questura la documentazione relativa
all’attività che stava intraprendendo.

.

2.3. – In terzo luogo, si deducono la mancanza e la manifesta illogicità della
motivazione quanto all’elemento soggettivo del reato, sul rilievo che l’imputato
avrebbe ottenuto dall’amministrazione la rassicurazione che i personal computer
collegati con il sito della società di scommesse avrebbero potuto essere mantenuti
anche senza l’autorizzazione a gestire un Internet point, con le dovute certificazioni
del titolare di sistema.
2.4. – Infine, si richiama la sentenza Cass. pen., sez. 3, 21 gennaio 2010, n.

raccolta, per via telematica, di scommesse senza autorizzazione ministeriale la
condotta del titolare di un esercizio commerciale che si limiti, tramite postazioni
Internet, a fornire il supporto tecnico per l’inoltro dei dati dallo scommettitore al
concessionario, in tal modo rimanendo estraneo al rapporto di scommessa. Tale
decisione riguarderebbe – secondo la prospettazione difensiva – una fattispecie
identica a quella in esame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
3.1. – Il primo motivo di doglianza è manifestamente infondato, perché,
all’evidenza, la motivazione della sentenza impugnata non presenta alcuna lacuna o
vizio logico. Dalla motivazione della sentenza impugnata emerge, in punto fatto, che
nel centro scommesse gestito dall’imputato erano presenti computer \( r/non
permettevano la libera navigazione in Internet ma solo l’utilizzo del portale della
società Sportandgames e che per effettuare l’accesso e scommettere era necessario
possedere un nickname e una password. Né assume alcun rilievo, ai fini della
sussistenza del reato, il fatto che al momento dell’ispezione non vi fossero avventori
del locale e che gli ufficiali di polizia giudiziaria che avevano proceduto all’ispezione
non avessero materialmente effettuato scommesse, essendo del tutto chiaro – e
sostanzialmente non contestato neanche con il ricorso per cassazione – che l’imputato
raccogliesse scommesse utilizzando il portale della società Sportandgarnes attraverso
terminali collegati a tale portale.
3.2. – Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di doglianza, con cui
si deduce l’erronea applicazione della legge penale, in relazione alla ritenuta
irregolarità dell’operato dell’imputato. La difesa muove da una prima asserzione,
rispetto alla quale non indica nel ricorso per cassazione il necessario supporto
probatorio, sostenendo che la società Sportandgames era autorizzata ad esercitare
l’attività di gioco e scommesse. Anche a prescindere da tale profilo, deve comunque

8737, secondo cui non integra il reato di attività organizzata per l’accettazione e la

rilevarsi che la ricostruzione difensiva secondo cui, con contratto del 7 marzo 2003,
tale società aveva affidato all’imputato l’attività di raccolta di scommesse tramite il
sito Internet risulta smentita dalla semplice lettura del contratto in questione.
Contrariamente a quanto asserito dalla difesa, infatti, la società Sportandgames aveva
espressamente vietato all’imputato l’accettazione di scommesse nel centro da lui
gestito, non consentendo a tal fine neanche l’uso di una carta ricaricabile e aveva
anche vietato che fossero messi a disposizione dei clienti dei personal computer

commercializzazione di ricariche, alla distribuzione dello schema di contratto, alla
trasmissione del contratto di conto di gioco sottoscritto dal giocatore. Tale essendo la
situazione di fatto – da cui emerge la radicale illiceità dell’attività svolta dall’imputato,
in mancanza sia di autorizzazione sia di un rapporto contrattuale con la società
Sportandgames che consentisse una sua attività di intermediazione nella raccolta di
scommesse – risultano del tutto irrilevanti le allegazioni difensive circa la possibilità di
consentire l’esercizio di scommesse ai clienti tramite una semplice dichiarazione ai
sensi dell’art. 25 del d.lgs. n. 259 nel 2003 all’ispettorato territoriale del Ministero
delle comunicazioni; dichiarazione che sarebbe stata regolarmente inoltrata
dall’imputato il 7 aprile 2006.
3.3. – E in questo quadro appare del tutto generica la doglianza difensiva circa
la mancanza di motivazione sull’elemento soggettivo, è infatti evidente che l’imputato
esercitava consapevolmente l’attività abusiva di raccolta di scommesse, sia perché
non era dotato dell’autorizzazione richiesta dalla legge, sia perché aveva stipulato un
contratto con la società Sportandgames, che addirittura vietava espressamente una
sua attività di raccolta di scommesse per conto di tale società.
3.4. – Manifestamente inconferente è, infine, il richiamo alla sentenza Cass.
pen., sez. 3, 21 gennaio 2010, n. 8737, secondo cui non integra il reato di attività
organizzata dell’accettazione della raccolta, per via telematica, di scommesse senza
autorizzazione la condotta del titolare di un esercizio commerciale che si limiti, tramite
postazioni Internet, a fornire il supporto tecnico per l’inoltro dei dati dallo
scommettitore al concessionario, in tal modo rimanendo estraneo al rapporto di
scommesse. Tale decisione si riferisce, infatti, alla fattispecie – del tutto diversa da
quella qui in esame – dell’esistenza di un rapporto contrattuale che consenta la
raccolta di scommesse per via telematica in nome e per conto di una società-madre
che sia dotata dei necessari titoli abilitativi.

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collegati al suo sito Internet. L’oggetto del contratto era invece limitato alla

4. — Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere
che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento
nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in € 1.000,00.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2015.

P.Q.M.

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