Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9137 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9137 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Ammirato Angelo, nato il 20 aprile 1983
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma del 21 novembre 2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Pietro
Gaeta, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata,
limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rigetto nel resto del ricorso.

Data Udienza: 19/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 21 novembre 2012, la Corte d’appello di Roma ha
confermato, quanto alla responsabilità penale, la sentenza del Tribunale di Roma del
20 luglio 2009, con la quale l’imputato era stato condannato, all’esito di giudizio
abbreviato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, per il reato di cui all’art.
73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, per avere detenuto, a fini di spaccio, alcuni
frammenti di marijuana del peso di grammi 3,254, da cui erano risultate

a un terzo datosi alla fuga, per la somma di euro 10,00; con la recidiva reiterata,
specifica, infraquinquennale (il 1 maggio 2009). La Corte territoriale ha riconosciuto la
prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, rideterminando la pena finale in
otto mesi di reclusione ed euro 2000,00 di multa (pena base un anno e sei mesi di
reclusione ed euro 4500,00 di multa, ridotti per le circostanze attenuanti generiche a
un anno di reclusione ed euro 3000,00 di multa, ulteriormente ridotti fino alla pena
finale per la scelta del rito abbreviato).
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo, in primo luogo, la contraddittorietà e la manifesta illogicità
della motivazione, perché non si sarebbe considerato che la sostanza stupefacente
non era destinata allo spaccio, trattandosi di un soggetto pugliese che si trovava a
Roma in occasione di una manifestazione e che non aveva, dunque, alcuna clientela in
tale città.
Si lamenta anche la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla prova
del fatto, che sarebbe stata desunta solo da quanto accertato dai carabinieri, non
essendo stata rinvenuta sulla persona dell’imputato alcuna somma di denaro in forza
della quale potesse presumersi che egli avesse effettivamente ceduto lo stupefacente
dietro corrispettivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
3.1. – Le doglianze difensive non attengono, neanche in via di mera
prospettazione, a lacune o vizi logici della motivazione del provvedimento impugnato
circa la responsabilità penale. È sufficiente qui osservare, in ogni caso, che la Corte
d’appello, in totale continuità con il giudice di primo grado, ha correttamente desunto
lo svolgimento dei fatti da quanto direttamente appreso dalla polizia giudiziaria,
secondo cui l’imputato era stato sorpreso mentre consegnavamo dosi di droga ad un
altro giovane, in strada, in cambio di una modestissima somma di denaro; giovane
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complessivamente ricavabili 11 dosi singole medie, dei quali un frammento era ceduto

• con il quale non risultava che egli avesse rapporti pregressi, cosicché non vi sono
elementi dai quali possa essere desunta la configurabilità della fattispecie del consumo
collettivo.
3.2. – La sentenza deve, però, essere annullata limitatamente alla pena.
La detenzione e lo spaccio di marijuana da parte dell’imputato sono stati
ricondotti all’ipotesi di minore gravità di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del
1990. Tale fattispecie – che costituisce reato autonomo – è punita, in forza della più

a), del d.l. n. 36 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 79 del 2014,
con le pene massime di quattro anni di reclusione ed euro 10.329,00 di multa. Nel
caso in esame, la Corte d’appello, nella vigenza della precedente disciplina,
confermando la sentenza di primo grado, ha implicitamente considerato la fattispecie
di cui al richiamato comma 5 quale circostanza attenuante rispetto alla fattispecie
generale di cui all’art. 73, commi 1 e 1-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990; ha ritenuto
tale circostanza attenuante, unitamente alle circostanze attenuanti generiche,
prevalente sulla recidiva contestata; ha conseguentemente applicato, con riferimento
a tale fattispecie, la riduzione per il rito, giungendo così alla pena finale di mesi otto di
reclusione ed euro 2000,00 di multa.
Non vi è dubbio che la pena irrogata dalla Corte d’appello per la fattispecie di
cui al richiamato comma 5 non sia tecnicamente illegale, perché non superiore ai
nuovi massimi edittali. Nondimeno, qualora la pena sia determinata in una misura che
si discosta dai nuovi limiti minimi edittali, deve ritenersi ragionevolmente ipotizzabile
l’irrogazione di una sanzione ad essa inferiore proprio sulla base di tali limiti; con la
conseguenza che deve farsi richiamo all’orientamento – affermato dalla più recente
giurisprudenza di questa Corte – secondo cui, in presenza di un mutamento della
cornice edittale, deve farsi luogo ad annullamento della sentenza in punto di
determinazione della pena, qualora dalla motivazione emerga con sufficiente chiarezza
che il giudice ha utilizzato i parametri edittali antecedenti a tale mutamento e la
motivazione stessa non possa, dunque, essere ritenuta adeguata quanto ai nuovi
parametri (ex plurimis, sez. 4, 21 ottobre 2014, n. 47020, rv. 260672; sez. 4, 16
ottobre 2014, n. 47750, rv. 260671). Deve altresì richiamarsi il principio secondo cui,
in tema di successione di leggi nel tempo, la Corte di cassazione può, anche d’ufficio,
ritenere applicabile il nuovo e più favorevole trattamento sanzionatorio per l’imputato,
anche in presenza di un ricorso inammissibile, disponendo, ai sensi dell’art. 609 cod.

favorevole disciplina attualmente vigente, introdotta dall’art. 1, comma 24-ter, lettera

• proc. pen., l’annullamento sul punto della sentenza impugnata pronunciata prima delle
modifiche normative in melius (sez. un., 26 giugno 2015, n. 46653).
4. – Ne deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente
al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma,
perché proceda ad una nuova determinazione dello stesso, facendo applicazione dei
principi sopra enunciati. Il ricorso deve essere nel resto rigettato.
P.Q.M.

rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2015.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con

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