Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9115 del 10/01/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 9115 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: AMORESANO SILVIO

ha pronunciato la seguente

Sku -z- E-A, è A
-131tD11~14-

sul ricorso proposto da:
LABOCCETTA GIOVANNA N. IL 22/02/1955
LABOCCETTA ANGELA N. IL 09/12/1940
PRINCIPATO ANTONIO N. IL 03/01/1955
BUSCETI MARIA ASSUNTA N. IL 10/02/1974
BOVA RAFFAELE N. IL 20/01/1937
BOVA DOMENICO N. IL 24/11/1972
BOVA PAOLO N. IL 23/04/1969
avverso la sentenza n. 883/2010 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 04/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 10/01/2014

1) Con sentenza del 4.10.2012 la Corte di Appello di Reggio Calabria confermava la
sentenza del Tribunale di Reggio Calabria, in composizione monocratica, emessa in
data 25.5.2009, con la quale Laboccetta Angela, Labocetta Giovanna, Principato
Antonio, Busceti Maria Assunta, Bova Raffaele, Bova Paolo e Bova Domenico erano
stati condannati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla
pena (sospesa alle condizioni di legge) di mesi 3 di arresto ed euro 5.000,00 di
ammenda ciascuno per i reati di cui agli artt.110 c.p., 44 lett.c) DPR 380/2001 (capo
a), 110, 81 c.p., 93, 94, 95 DPR 380/2001 (capo b), 110, 81 c.p., 64, 65, 71, 72 D.P.R.
380/2001 (capo c), unificati sotto il vincolo della continuazione.
2) Propongono ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del difensore, denunciando
la violazione e falsa applicazione della legge penale, nonché la mancanza di motivazione
in ordine alle ragioni di fatto e di diritto su cui è fondata l’affermazione di
responsabilità; ed altresì la violazione e falsa applicazione degli artt.132 e 133 c.p. e
la mancanza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
3) Va ricordato preliminarmente che l’art.29 DPR 380/2001 fa riferimento ai
committenti, costruttori e direttori dei lavori.
Per quanto riguarda il soggetto non formalmente committente o esecutore materiale
che abbia però un rapporto “diretto” ed erga omnes (in termini di diritto reale di
proprietà o di godimento) con l’immobile su cui è stata realizzata l’opera abusiva, la
giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nel ritenere che ” non può
essere attribuito ad un soggetto per il solo fatto di essere proprietario di un’area, un
dovere di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per
costruzione abusiva. Il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del
terreno sul quale vengono svolti lavori edilizi illeciti, pur potendo costituire un indizio
grave, non è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale…., essendo
necessario a tal fine, rinvenire elementi in base ai quali possa ragionevolmente
presumersi che egli abbia in qualche modo concorso anche solo moralmente con il
committente o l’esecutore dei lavori (v. Cass. Sez. 3 , 29.3.2001-Bertin). Occorre
considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è svolta l’attività incriminata,
tenendo conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica o di fatto, del suolo e
dell’interesse specifico ad effettuare una costruzione (principio del “cui prodest”),
bensì pure di rapporti di parentela ed affinità tra l’esecutore dell’opera abusiva ed il
proprietario, dell’eventuale presenza “in loco” di quest’ultimo, dello svolgimento di
attività di materiale vigilanza dell’esecuzione dei lavori, della richiesta di
provvedimenti abilitativi anche in sanatorio; del regime patrimoniale tra coniugi e, in
definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti positivi o negativi, da cui
possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione
anche morale all’esecuzione delle opere” (così Cass.pen. Sez. 3 n.216 dell’8.10.2004;
conf. Cass. Sez. 3 n.5476 del 29.4.1999, Zarbo; Cass. Sez. 3 n. 31130 del 10.8.2001,
Gagliardi ; cass. Sez. 3 n. 25.2.2003, Cafasso ed altro).

OSSERVA

La giurisprudenza successiva ha ribadito che in materia edilizia può essere attribuita
al proprietario non formalmente committente dell’opera la responsabilità per la
violazione dell’art.20 L.47/85 (sostituito dall’art.44 DPR 380/01) sulla base di
valutazioni fattuali, quali l’accertamento che questi abiti nello stesso territorio
comunale ove è stata eretta la costruzione abusiva, che sia stato individuato sul luogo,
che sia destinatario finale dell’opera, che abbia presentato richieste di provvedimenti
abilitativi anche in sanatoria (cfr. ex multis cass.pen.sez.3 n.9536 del 20.1.2004;
Cass.sez.3, 14.2.2005 -Di Marino; Cass.sez.3 n.32856 del 13.7.2005-Farzone).
3.1) Tanto premesso, il ricorso di Laboccetta Giovanna è manifestamente infondato.
La predetta, infatti, oltre ad essere proprietaria dell’immobile, aveva presentato la
DIA per lavori di ristrutturazione.
Del resto con i motivi di appello ci si limitava a riconoscere espressamente che per i
lavori di ristrutturazione, eseguiti su incarico della ricorrente, Laboccetta Giovanna
aveva presentato una DIA (pag.3 app.); non si contestava, invece, minimamente
l’aumento volumetrico di cui all’imputazione (consistito nella realizzazione di un vano di
mq.36,86, non previsto owiamente nella DIA).
Quanto al trattamento sanzionatorio, i Giudici di merito (trattandosi di “doppia
conforme” la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella di
primo grado per formare un unico complesso argomentativo- cfr. ex multis Cass. Pen.
Sez. 1 n.8668 del 26.6.2000) hanno adeguatamente argomentato in ordine all’esercizio
del potere discrezionale loro riconosciuto in proposito.
3.2) Diversa è, invece, la posizione degli altri imputati, in ordine ai quali la motivazione
della sentenza impugnata è assolutamente apodittica.
La responsabilità di Laboccetta Angela viene, invero, affermata per il solo fatto di
essere comproprietaria dell’immobile e quella di Principato Antonio per essere il
marito di Laboccetta Giovanna e coabitante con la stessa.
Quanto al direttore dei lavori, Busceti Maria Assunta, ed agli esecutori materiali,
Bova Raffaelle, Bova Paolo e Bova Domenico, la Corte territoriale, pur riconoscendo
che vi era stata la comunicazione di cessazione dei lavori di cui alla DIA, non spiega in
modo adeguato perché anche il vano, realizzato abusivamente ed accertato in epoca
successiva, debba essere ricondotto ai predetti (non potendosi ritenere sufficiente
in proposito la mera “persistenza” del cartello relativo ai lavori eseguiti con la DIA,
senza alcun riferimento ad ulteriori e più pregnanti elementi, sia pure di carattere
logico, in ordine, ad esempio, alla “contestualità” o quanto meno alla “contiguità”
temporale dei lavori medesimi).
3.2.1) La sentenza impugnata dovrebbe pertanto essere annullata in relazione alla
posizione dei predetti imputati, con rinvio per nuovo esame. Senonchè nel frattempo
è maturata la prescrizione e l’annullamento con rinvio è incompatibile con l’obbligo d
immediata declaratoria di cause di non punibilità ex art.129 c.p.p.
Essendo stati i reati accertati in data 13.11.2007, il termine massimo di prescrizione
di anni 5, cui va aggiunto il periodo di sospensione per giorni 69 (dal 16.3.2009 al
25.5.2009), è maturato in data 22.1.2013.

4) Il ricorso di Laboccetta Giovanna deve, invece, essere dichiarato inammissibile, con
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità,
al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare
congruo determinare in curo 1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
4.1) E’ appena il caso di aggiungere che l’inammissibilità del ricorso preclude la
possibilità di rilevare ex art.129 c.p.p. cause di non punibilità.
Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo
sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti
decisioni, ha enunciato il principio che l’intervenuta formazione del giudicato
sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché
contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art.591 comma 1, con eccezione
della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art.606 comma 3), precluda ogni
possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia
di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al
giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia,
derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle
cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo
altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi
già formato il giudicato sostanzialeTM.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso di Laboccetta Giovanna e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti degli altri imputati perché i
reati sono estinti per prescrizione.
Così deciso in Roma il 10.1.2014

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