Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9112 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9112 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARCHETTA GIUSEPPE N. IL 22/03/1965
avverso l’ordinanza n. 231/2013 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 18/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO;

Data Udienza: 04/12/2013

udito il PG in persona del sost. proc. gen. dott. G. Izzo, che ha concluso chiedendo rigettarsi il
ricorso,
udito l’avv. G. lana che ha illustrato il ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.

1. Con il provvedimento di cui in epigrafe (20 giugno 2013), la corte d’appello di Reggio
Calabria ha rigettato l’istanza presentata nell’interesse di Barchetta Giuseppe e diretta ad
ottenere la sua scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
Barchetta fu condannato in primo grado alla pena complessiva di anni 20 di reclusione perché
ritenuto colpevole dei delitti di cui agli articoli 73 e 74 TU 309/90. In secondo grado, ferma la
affermazione di responsabilità, la pena fu rideterminata in anni 14 di reclusione.
Con sentenza del 19 dicembre 2012, la prima sezione di questa corte ha annullato la sentenza
d’appello appena ricordata nei confronti del Barchetta, limitatamente al ritenuto ruolo di
promotore e organizzatore, con riferimento al delitto associativo; ha rigettato nel resto il
ricorso del Barchetta.
2. Avverso il provvedimento del 20 giugno 2013 ricorre per cassazione il Difensore del
Barchetta e deduce violazione di legge e carenza dell’apparato motivazionale con riferimento
agli articoli 121 e 300 comma quarto cpp.
L’annullamento operato dalla prima sezione della corte di cassazione con riferimento al delitto
di cui all’articolo 74 TU 309/90 investe il profilo inerente la responsabilità penale del ricorrente.
Non può dunque dirsi che si sia formato il giudicato in relazione al delitto associativo. Ne
consegue che non poteva trovare applicazione la disciplina di cui al combinato disposto degli
articoli 303 comma primo lett. c) e n. 3, 304 comma sesto cpp.
Dunque: il ricorrente deve ritenersi sottoposto a custodia cautelare limitatamente al capo di
imputazione di cui all’articolo 73 del ricordato TU e in effetti l’istanza difensiva era incentrata
sulla perdita di efficacia della misura custodiale, limitatamente al delitto di cui al predetto
articolo. Con riferimento a tale delitto, è stato operato aumento per continuazione nella misura
di anni 1 di reclusione. Conseguentemente, si deve affermare che la custodia cautelare sofferta
con riferimento a tale delitto è superiore alla pena irrogata. Deve dunque trovare applicazione
il quarto comma dell’articolo 300 cpp.
2.1. Quelle appena esposte erano le argomentazioni sottoposte alla corte d’appello, la
quale, viceversa, ha completamente ignorato la trama argonnentativa della memoria depositata
e ha “risposto” facendo riferimento a tutt’altro tipo di questione, sostenendo, in vero, che con
riferimento al delitto di cui all’articolo 73 TU 309/90, ci si trova al cospetto della cosiddetta
“doppia conforme” di cui all’ultimo comma dell’articolo 303 cpp.
Ne consegue che l’argomento e il tema di indagine proposti dal ricorrente (e posti alla base
della istanza di scarcerazione) non sono stati valutati dalla corte territoriale, la quale ha
ignorato la pronuncia delle sezioni unite numero 25.956 del 2009, con la quale si è chiarito
che, in presenza di un reato continuato, per valutare, a norma del quarto comma dell’articolo
300 cpp, l’entità della pena ai fini dell’eventuale dichiarazione di inefficacia della custodia
cautelare, si deve aver riguardo alla pena concretamente inflitta; ciò in applicazione dell’istituto
della continuazione.
Il riconoscimento di un giudicato solo parziale da parte della corte calabrese avrebbe dovuto
comportare il parallelo riconoscimento di una condanna non definitiva per il reato continuato e,
dunque, l’applicazione del principio appena esposto, secondo il quale occorre fare riferimento
esclusivamente all’aumento di pena applicato.
2.2. Ci si trova -pertanto- al cospetto di una evidente violazione di legge perché la corte
territoriale ha erroneamente interpretato il contenuto della istanza difensiva e non ha, di
conseguenza, fornito alcuna motivazione sui rilievi prospettati con riguardo alla pena
concretamente inflitta ai sensi dell’articolo 81 cp. Orbene, è noto che non aver preso in
considerazione un’istanza contenuta in una specifica memoria presentata dalla Difesa
costituisce, per uniforme orientamento della giurisprudenza di legittimità, violazione delle
regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie, poiché il giudice ha l’obbligo
di provvedere e di motivare su quanto gli è stato richiesto ed esposto. Ne consegue che il
rigetto immotivato dell’istanza di acquisizione e valutazione di una memoria o istanza difensiva

RITENUTO IN FATTO

costituisce violazione dell’articolo 121 del codice di rito e determina nullità di ordine generale,
ai sensi dell’articolo 178 lett. c) del medesimo codice.

1. Le sezioni unite di questa corte, già molti anni addietro, hanno affermato che la
mancanza di motivazione può essere dedotta come motivo di ricorso per Cassazione
esclusivamente a norma dell’art. 606, comma primo lett. e), cpp, e nei limiti stabiliti da questa
disposizione; non può essere anche dedotta a norma dell’art. 606, comma primo lett. c),
come inosservanza di una norma processuale stabilita a pena di nullità (sent. n. 5 del 1991,
ric. Bruno e altri, RV 186998). Invero, con riferimento a questioni processuali, ogni censura in
ordine alla motivazione deve ritenersi inammissibile; infatti, a fronte di siffatte questioni, ciò
che rileva è esclusivamente la legittimità, o meno, della soluzione adottata dal giudice,
rimanendo indifferenti le argomentazioni al proposito svolte dal medesimo: ciò in quanto l’art
619 cpp espressamente consente di modificare o rettificare, ove necessario, la motivazione,
quando la decisione in diritto sia immune da censura.
1.1. Tanto ciò è vero che si è ritenuto che, nel caso in cui sia stata eccepita nel giudizio
di merito una pretesa violazione di norme processuali, il giudice non deve dare luogo ad alcuna
motivazione se la violazione denunciata non sussiste. Ne consegue che non può invocarsi in
sede di legittimità il difetto di motivazione se, stante la infondatezza dell’eccezione, il giudice a
quo non si sia soffermato sulla stessa nel discorso argomentativo a supporto della decisone
adottata (ASN 199910504- RV 214442).
1.2. Ciò che dunque rileva, nel caso in esame, non è se la corte calabrese abbia
adeguatamente giustificato la sua decisione, ma, trattandosi di affrontare e risolvere questione
di natura strettamente processuale, se la decisone assunta sia conforme alle regole -appuntoprocessuali.
2. Il principio di diritto citato dal ricorrente è stato male interpretato dallo stesso.
Invero, in esso si fa riferimento, certamente, a condanna non definitiva per reato continuato,
ma si fa anche riferimento a custodia cautelare applicata solo per il reato satellite.
È stato infatti ritenuto (SU sent. n. 25956 del 2009, ric. Vitale, RV 243588) che, in caso di
condanna non definitiva per reato continuato, al fine di valutare l’eventuale perdita di efficacia
(art. 300 comma quarto cpp) della custodia cautelare applicata soltanto per il reato satellite, la
pena alla quale occorre fare riferimento è quella inflitta come aumento per tale titolo.
Nel caso in esame, viceversa, la misura cautelare fu, senza dubbio, emessa tanto per la ipotesi
meno grave (articolo 73 TU 309/90), quanto per quella più grave (art. 74 medesimo TU).
Ebbene, con riferimento al delitto associativo in tema di stupefacenti, la pena per il semplice
partecipe è quella della reclusione non inferiore ad anni 10, mentre non è fissato il massimo,
che dunque va individuato, in astratto, ai sensi dell’art. 23 cp (anni 24).
2.2. L’annullamento disposto dalla sentenza della prima sezione di questa corte, come
premesso, attiene unicamente alla motivazione in tema alla qualifica di promotore e
organizzatore, che i giudici del merito hanno attribuito al Barchetta, ma, quanto alla sua
appartenenza al sodalizio delinquenziale, il ricorso deve ritenersi respinto (cfr. dispositivo,
nonché pag. 28 della motivazione). Dunque: la misura cautelare è in atto, tanto per la ipotesi
ex articolo 73, quanto (almeno) per l’ipotesi “base” di cui all’articolo 74 del TU sugli
stupefacenti.
Essendo il Barchetta stato tratto in arresto, come si desume dal provvedimento impugnato, il
10.2.2009, il termine massimo complessivo della custodia cautelare, da individuarsi in quello di
anni 6, ai sensi del quarto comma lett. c) cpp, non è certamente decorso.
3. Consegue la correttezza del dispositivo della decisione assunta dalla corte calabrese
e, per converso, la inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente alle spese del grado
e al versamento di somma a favore della cassa ammende, somma che si stima equo
determinare in euro 1000.
3.1. La Cancelleria provvederà alle comunicazioni ex art. 94 disp.att. cpp.
PQM

CONSIDERATO IN DIRITTO

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende; manda
alla Cancelleria per le comunicazioni ex art. 94 disp.att. cpp.

Così deciso in Roma, camera di consig io, in data 4.XII. 2013.-

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