Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9111 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9111 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DELSALLE STEPHANE N. IL 15/11/1974
avverso l’ordinanza n. 2164/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
02/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
lettdsentitele_canclus

Data Udienza: 04/12/2013

Udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Gioacchino Izzo,
che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per il ricorrente, l’avvocato Francesco Elmo, in sostituzione
dell’avv. Giuseppe Vitiello, che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.

Con ordinanza del

27 marzo 2013, il Tribunale di Napoli

confermava l’ordinanza emessa il 28 gennaio 2013 dal G.I.P. del

in carcere nei confronti di Delsalle Stephane, per i reati di cui agli artt.
416, 81 cpv., 61 n. 9, 110, 112, comma primo, del codice penale,
all’art. 174 del decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 e all’art.
110, 81, cpv., 61 n. 2, 490 del codice penale, descritti ai capi A), I) ed
M) dell’imputazione provvisoria dell’ordinanza cautelare.
I fatti ascritti al Delsalle, indicato nel corpo dell’ordinanza cautelare
quale collezionista di libri antichi, esperto del settore, sono riconducibili
al ruolo di primo piano, di promotore e di organizzatore, assunto nel
sodalizio criminale -facente capo a De Caro Marino Massimo, Direttore
della Biblioteca Statale dei Girolamini- dedito allo smembramento ed
illecito sfruttamento economico del patrimonio librario, storicamente
raccolto nella predetta biblioteca: in tale sodalizio il Delsalle, tra l’altro,
curava la selezione dei volumi da destinare all’appropriazione illecita,
organizzava e direttamente eseguiva le appropriazioni dei volumi,
gestendo la rete di relazioni commerciali funzionali all’immissione dei
beni sottratti nel mercato antiquario interno ed internazionale,
assicurava il mantenimento dei contatti esterni funzionali
all’organizzazione per l’attività di spoliazione della Biblioteca e
l’acquisizione degli ingenti profitti della commercializzazione dei beni
sottratti, in forza di intese assunte con il De Caro, immettendo nel
medesimo circuito di illecito commercio i volumi sottratti alla biblioteca
e specificamente poi trasferendo all’estero in concorso con il De Caro i
volumi di interesse storico artistico, tra cui importanti volumi del ‘500 e
del ‘700 (cfr. vol. di Hamilton, Campi Flegrei ed altri descritti al capo
I); inoltre sempre in concorso con il De Caro ed altri asportava e
distruggeva le schede mobili delle carte dei cataloghi manoscritti di
inventariazione del patrimonio librario della citata biblioteca, costituenti
atti pubblici.
2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso il Delsalle,
tramite il proprio difensore, lamentando la violazione
1

rì – gli a . 125 co.
1S

Tribunale di Napoli di applicazione della misura cautelare della custodia

3, 274 e 275 c.p.p. in relazione all’art. 606 co. 1 lett. b), c) ed e) c.p.p.
per erronea applicazione della legge penale e per inosservanza delle
norme processuali, nonché per mancanza e, comunque, illogicità della
motivazione, in ordine alla valutazione della sussistenza delle esigenze
cautelari ed in ordine al mancato rispetto dei principi di adeguatezza e
proporzionalità della misura cautelare adottata. In particolare, ha
dedotto il ricorrente che l’ordinanza impugnata valuta in modo errato la
sussistenza delle esigenze cautelari:

giovane età, laddove è stato posto l’accento, invece, sulla volontà di
non rendere dichiarazioni;
-non considerando il ruolo di “venditore” dei libri della Biblioteca molto
più limitato rispetto al De Caro e la minima incidenza della persona del
Delsalle in tutte le vicende, elementi idonei a denotare la non
reiterabilità di furti di libri in un allarmato mondo bibliotecario;
-non spiegando attraverso quali meccanismi il Delsalle potrebbe
continuare a commettere analoghe condotte criminose e non
individuando in modo dettagliato e puntuale gli elementi atti a denotare
la concretezza del pericolo di reiterazione della condotta criminosa,
nonché la disponibilità di mezzi e la possibilità di fruire di circostanze
che renderebbero altamente probabile la ripetizione di delitti della
stessa specie, limitandosi ad indicare il pericolo di reiterazione
genericamente e al di là del provvedimento, deducendolo dal “livello
culturale” del Delsalle, compiendo così un’ ardita operazione logica;
-non contenendo congrua motivazione relativamente alla sussistenza
delle esigenze cautelari del pericolo di fuga e di inquinamento delle
prove, anzi, non essendovi in atti prova che concretamente dimostri per
il Delsalle il pericolo di inquinamento della prova;
– non avendo considerato l’insegnamento della S.C. espresso nella
nota pronuncia S.U. n.1608/2011, che impone una costante verifica,
tanto al momento della scelta del provvedimento coercitivo, che per
tutta la durata dello stesso della perdurante idoneità della misura
applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o
residuino, secondo il principio della minor compressione possibile
della libertà personale.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
1. Giova ribadire, innanzitutto, che l’ordinamento non conferisce alla
Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e
2

– essendo stata ignorata l’incensuratezza dell’indagato e la sua

fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’
alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive
dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e
delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti
nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto
all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di

negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:
1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno
determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6,
sent. n. 2146 del 25.05.1995, Tontoli ed altro, Rv. 201840).
Qualora, dunque, venga impugnato con ricorso per cassazione il
provvedimento del tribunale per il riesame di conferma di un’ordinanza
di custodia cautelare in carcere, il controllo della Corte Suprema è
limitato al riscontro dell’esistenza di una motivazione logica in ordine ai
punti censurati, senza possibilità di compiere alcuna valutazione degli
elementi che hanno legittimato ex art. 273, comma 1, e art. 274 cod.
proc. pen. l’adozione della misura coercitiva (Cass., Sez. 3, sent. n.
46727 del 12.07.2012). Il ricorso per cassazione è ammissibile,
pertanto, solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge,
ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento,
secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche
quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero
si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (Sez. 6, sent. n.11194 del 08/03/2012, Lupo).
Così delimitato l’ambito di intervento della Corte di Cassazione, va
detto anche che il vizio di motivazione ricorre allorquando l’iter
argomentativo che ha condotto alla decisione si dimostri incompleto,
avulso dalle risultanze di causa, privo del necessario rigore e della
necessaria coerenza e consequenzialità logica (Cass., Sez. 3, sent. n.
46727 del 12.07.2012).
2. Alla stregua degli indicati principi, questa Corte non riscontra nel
caso in esame l’erronea applicazione della legge penale ed i vizi di
motivazione nell’ordinanza impugnata lamentati dal ricorrente.
Il pericolo di reiterazione della condotta criminosa da parte del Delsalle,
posto a fondamento della misura carceraria applicata, risulta invero

3

esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro

specificamente valutato con argomentazioni immuni da vizi logici,
conformemente ai presupposti normativi che legittimano l’applicazione
della misura coercitiva. Il Tribunale del riesame, invero, dopo aver
descritto i gravi indizi a carico del Delsalle per le gravi condotte poste in
essere e le modalità e circostanze dei fatti, mettendo in luce, in
particolare, il ruolo fondamentale svolto dallo stesso nell’ambito del
sodalizio criminale facente capo al De Caro e le specifiche attività
compiute dall’indagato -tra cui, “l’avere esportato e venduto all’estero

massicciamente e aver soppresso le schede dei cataloghi – ha
individuato, sulla base di tali gravi fatti, la personalità spregiudicata del
Delsalle, che, “per finalità di profitto personale, agendo con la complicità
del De Caro e degli altri sodali non ha esitato ad attentare alle radici
culturali e storiche della città di Napoli”. Secondo il Tribunale, la
disinvoltura criminale del Delsalle, desunta dalla esportazione e vendita
all’estero dei volumi sottratti in Italia alla Biblioteca e dalla sua intensità
consentono, in particolare, di cogliere tratti di una personalità
altamente spregiudicata, indicativa, da un lato, di come “la competenza
personale sia stata posta al servizio del tornaconto personale”, con
“saccheggio di un inestimabile patrimonio culturale” e, dall’altro,
dell'”assoluta insensibilità per il valore del bene pubblico”. La
spregiudicatezza e la natura delle condotte poste in essere da Delsalle,
“portatore di un adeguato livello culturale”, pertanto, secondo il
Tribunale, impongono di ritenere altamente probabile il pericolo di
reiterazione della condotta criminosa, legittimante l’adozione della
misura cautelare.
Tale valutazione si presenta rispettosa dei principi affermati da questa
Corte, secondo cui, in tema di esigenza cautelare costituita dal pericolo
di reiterazione di reati della stessa indole, prevista dall’art. 274 c.p.p.,
lett. c), la pericolosità sociale dell’indagato deve risultare
congiuntamente dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla
sua personalità. Peraltro, nulla impedisce di attribuire alle medesime
modalità e circostanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo
della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il profilo
dell’apprezzamento della capacità a delinquere: invero, le specifiche
modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in
considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell’indagato, ove
la condotta serbata in occasione di un reato rappresenti un elemento

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preziosi volumi trafugati in Italia”, non occasionalmente, ma

specifico assai significativo per valutare la personalità dell’agente (Sez.
V, n. 35265 del 12.03.2013 e Sez. III, n. 44275 del 23.10.2007).
Il pericolo di reiterazione del reato, in particolare può essere desunto
dai criteri stabiliti dall’art. 133 c.p., tra i quali sono ricompresi le
modalità e la gravità del fatto, sicché il concreto pericolo di reiterazione
dell’attività criminosa può essere argomentato anche dalla molteplicità
dei fatti contestati, come nel caso di specie, in quanto essa, considerata
alla luce delle modalità della condotta concretamente tenuta, può essere

n.44275 del 23.10.2007).
Le argomentazioni contenute nell’ordinanza impugnata, in particolare,
lungi dal tradursi in una motivazione apparente, fondata su petizioni di
principio, come evidenziato dal ricorrente, sono invece ancorate a fatti
oggettivi ed indicativi delle inclinazioni comportamentali e della
personalità dell’indagato, tali da consentire di affermare che quest’ultimo
possa facilmente, verificandosene l’occasione, reitera re condotte
analoghe a quelle ascrittegli (Sez.VI, n. 40954 del 10 luglio 2013).
Va, in proposito evidenziato che secondo l’insegnamento di questa
Corte, ai fini della valutazione del pericolo che l’imputato commetta
delitti della stessa specie, il requisito della concretezza non si identifica
con quello dell’attualità, derivante dalla riconosciuta esistenza di
occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, ma con
quello dell’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali è possibile
affermare che l’imputato possa commettere delitti della stessa specie di
quello per cui si procede, e cioè che offendano lo stesso bene giuridico
(Sez. VI, n. 28618 del 05/04/2013).
Infondata è poi la doglianza del ricorrente in merito alla mancata
specifica considerazione dell’incensuratezza del ricorrente. Basti all’uopo
richiamare la giurisprudenza di questa corte, secondo cui in tema di
esigenza cautelare costituita dal pericolo di reiterazione di reati della
stessa indole, l’art. 274, lett. c), c.p.p., nel delineare un duplice
parametro valutativo, costituito dalle specifiche modalità e circostanze
del fatto e dalla personalità dell’indagato o dell’imputato, desunta
quest’ultima sia da comportamenti o atti concreti sia dai precedenti
penali, non autorizza a ritenere né che i precedenti penali rappresentano
l’unico elemento da cui si può dedurre la pericolosità personale
dell’autore, né che i comportamenti o atti concreti devono
necessariamente avere natura processuale. Nella previsione normativa,
infatti, atti e comportamenti, da un lato, e precedenti penali, dall’altro,

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indice sintomatico di una personalità proclive al delitto (Sez. III,

sono disgiuntamente indicati, nel senso che gli elementi per una tale
valutazione possono trarsi anche solo dagli atti e dai comportamenti, in
difetto di precedenti penali, e anche solo dai precedenti penali, se
rilevanti ai fini della valutazione della personalità. Diversamente
opinando, del resto, l’incensurato che tenesse un comportamento
processuale corretto si porrebbe automaticamente al di fuori di una
diagnosi di pericolosità, benché per la previsione su questa pericolosità
l’analisi di quel comportamento, se non inidonea, sarebbe comunque del

Non appare viziato, poi, il ragionamento del Tribunale del Riesame
laddove ha ritenuto adeguata e proporzionata la custodia in carcere
come l’unica misura cautelare adeguata e proporzionata alle gravi
condotte poste in essere dal Delsalle. Richiamato all’uopo il principio in
premessa esposto, secondo cui non possono essere rivalutate dalla
Corte di Cassazione le condizioni soggettive dell’indagato in relazione
all’adeguatezza della misura applicata, trattandosi di apprezzamenti di
merito rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice che
ha applicato la misura e del giudice del riesame, essendo limitato il
controllo della Corte al riscontro dell’esistenza di una motivazione logica
dell’ordinanza impugnata in ordine ai punti censurati, si osserva come il
Tribunale del riesame abbia messo in risalto la personalità trasgressiva
dell’indagato, che non consente di formulare prognosi positiva in ordine
al rispetto di un’eventuale misura anticustodiale e, comunque, non
impedirebbe i contatti con il mondo criminale che si occupa del mercato
dei libri e delle preziose testimonianze dell’immenso patrimonio
culturale italiano.
Tale valutazione si presenta in linea con la giurisprudenza di questa
Corte, secondo la quale l’adeguatezza esclusiva della custodia cautelare
in carcere, per quanto specificamente riguarda le esigenze di
prevenzione di cui all’art. 274, lett. c), c.p.p. può essere ritenuta
quando, come è avvenuto nella fattispecie in esame, elementi specifici,
inerenti al fatto, alle motivazioni di esso ed alla personalità del soggetto,
indichino quest’ultimo come propenso all’inosservanza degli obblighi
connessi di una diversa misura (Sez. VI, n. 3887 del 1.12.2011).
Va per infine evidenziato come l’accenno contenuto nell’ordinanza
impugnata al contegno affatto collaborativo tenuto dal Delsalle è stato
speso solo come argomento ulteriore, in aggiunta agli altri sviluppati,
della inidoneità di una misura diversa da quella carceraria al

6

tutto insufficiente (Sez. VI, n. 37087 del 24.05.2007, n. 37087).

mantenimento dei contatti con il mondo criminale che si occupa del
mercato dei libri.
Sulla base delle svolte considerazioni, pertanto, il ricorso proposto da
Delsalle Stephane va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai
sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
p.q.m.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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Così deciso il 4.12.2013

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