Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9110 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9110 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SICILIANO GIUSEPPE N. IL 22/09/1950
avverso l’ordinanza n. 1122/2012 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 17/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO;

Data Udienza: 19/11/2013

udito il PG in persona del sost. proc. gen. d.ssa G. Fodaroni, la quale ha concluso chiedendo
rigettarsi il ricorso,
udito il difensore, avv. E. B. Minniti che ha illustrato il ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO

2. Ricorre per cassazione il difensore e deduce violazione di legge processuale e
sostanziale con particolare riferimento agli articoli 125, 273, 291, 292 cpp e 416 bis cp, oltre a
carenze dell’apparato motivazionale, con particolare riferimento al travisamento della prova.
Si sostiene nel ricorso che, per la integrazione del reato contestato, non basta ovviamente
l’accertamento della mera condotta, ma deve essere anche accertato il relativo elemento
psicologico.
2.1. Siciliano non è mai direttamente coinvolto nelle conversazioni intercettate; lo
stesso è solamente, a volte, oggetto di conversazioni altrui.
Orbene è vero che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, in casi come quello sopra
enunciato, le dichiarazioni altrui ben possono essere considerate autonomi elementi di prova,
tuttavia la predetta giurisprudenza ha anche precisato che le intercettazioni devono connotarsi
per comprensibilità e per credibilità del colloquiante. Ebbene, sotto il primo punto di vista, non
può negarsi che le conversazioni intercettate siano quantomeno equivoche; sotto il secondo
punto di vista (credibilità), si deve ricordare che, quando le conversazioni riguardano terze
persone, esse vanno vagliate con maggiore attenzione.
2.2. Non sono poi mai emersi, anche al di fuori delle conversazioni intercettate, contatti
tra Siciliano, da un lato, e Melia Vincenzo o Romano Nicola, dall’altro; neanche sono mai
emersi contatti con altri membri di vertice o di base dell’associazione criminosa. D’altra parte,
la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la mera frequentazione di soggetti sospetti di
mafia, quando pur sussistente, non è di per sé sufficiente a costituire indizio di colpevolezza,
anche se tra i soggetti frequentati vi sono i vertici dell’associazione.
La conversazione dell’8 ottobre 2006 tra Melia e Romano va letta in senso favorevole
all’indagato, posto che in essa viene detto che le “doti” che lo riguardano sono state
accantonate.
La conversazione il 13 gennaio 2008 anche va interpretata a favore dello stesso, in quanto
Melia, con fare irridente, lo considera un appartenente alla ‘ndrangheta (dunque nega la
circostanza) e dice che lo stesso è persona di nessuno spessore criminale: sostanzialmente un
uomo che non vale nulla.
2.3. Sulla base di tali emergenze procedimentali, non si comprende come si sia potuto
ritenere che il Siciliano abbia tenuto una condotta consistente nel “prendere parte” a
un’associazione malavitosa, così come esige la giurisprudenza.
In altre intercettazioni il Siciliano, viene assimilato a tale Varacalli Giuseppe come una “cosa
lorda”, mentre in altre intercettazioni (2 gennaio 2007), si chiarisce che le “doti” le aveva Bova
Giuseppe e non il ricorrente.
2.4. Neanche va trascurato come sia emerso che il Siciliano è un aderente alla
massoneria, associazione del tutto legale (fu lo stesso indagato, a suo tempo, a segnalare alla
competente autorità di polizia, tale sua legittima militanza). Ebbene l’appartenenza alla
massoneria nulla ha a che vedere con l’appartenenza alla ‘ndrangheta
3. In data 30 ottobre 2013 sono stati depositati motivi aggiunti, con i quali ancora si
deduce il travisamento (del fatto, più che della prova), osservando che il tribunale del riesame
ha fatto riferimento a un inserimento di Siciliano nella massoneria come elemento sintomatico
in quanto, secondo i giudici cautelari, esso costituirebbe una sorta di “trampolino di lancio”
verso la ‘ndrangheta. La difesa, tuttavia, aveva prodotto gli atti di un altro procedimento, con
particolare riferimento alle intercettazioni tra tali Comisso Giuseppe (detto il mastro) e il nipote

1. Con il provvedimento di cui in epigrafe, il tribunale del riesame di Reggio Calabria ha
confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Siciliano Giuseppe,
indagato con riferimento al delitto di associazione mafiosa pluriaggravata, in quanto
appartenente alla ‘ndrangheta e precisamente al cosiddetto “locale” di Ardore.
Il compendio indiziario si fonda essenzialmente su intercettazioni dal contenuto
eteroaccusatorio.

I

Futia Pietro. In una conversazione, il primo consiglia al secondo di non aderire all’Ordine dei
Cavalieri di Malta perché essi sono degli “sbirracchi”, vale a dire persone allineate con le
istituzioni e -dunque- soggetti incompatibili con la ‘ndrangheta, dalla quale il Futia rischierebbe
di essere espulso se aderisse all’ordine maltese. Ne consegue, a maggior ragione, che la
massoneria e la ‘ndrangheta sono associazione in antitesi. Tale circostanza, pur rappresentata
al collegio del riesame, non ha avuto risposta alcuna.

1. Va innanzitutto ricordato che, in tema di intercettazioni di conversazioni o
comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche
quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di
merito e si sottrae al giudizio di legittimità se la valutazione risulta logica in rapporto alle
massime di esperienza utilizzate (ASN 200817619-RV 239724).
1.1. Peraltro, la distinzione tra intercettazioni, cosiddette, dirette e intercettazioni,
cosiddette, indirette non può trovare cittadinanza nel vigente sistema processuale, nel quale le
prove legittimamente acquisite sono liberamente valutate dal giudicante e non sono ammesse
astratte e generali gerarchie tra le prove stesse. Non può dunque farsi questione circa il “peso
specifico” di una prova rispetto a un’altra, ma unicamente questione della corretta valutazione
(e della adeguata giustificazione motivazionale) operata dal giudice.
E noto poi (trattandosi di principio ormai consolidato) che alle indicazioni di reità provenienti da
conversazioni intercettate non si applica il canone di valutazione di cui all’art. 192, comma
terzo, cpp perché esse non sono assimilabili alle dichiarazioni che il coimputato del medesimo
reato o la persona imputata in procedimento connesso rende in sede di interrogatorio dinanzi
all’autorità giudiziaria e, conseguentemente, per esse, vale la regola generale del prudente
apprezzamento del giudice (da ultimo ASN 201036218-RV 248290).
2. Tanto premesso il ricorso è infondato e merita rigetto; il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese del grado.
3. La conversazione del giorno 8 ottobre 2006 tra Melia e Romano (pag.11) viene
considerata, non illogicamente, di chiaro contenuto mafioso. In essa si parla di “locali”, di
“discorsi sacri”, della legge dell’umiltà, del “lupo” che tornato in libertà, ecc.
3.1. Nella conversazione riportata a pag.16, il tribunale rileva che si parla di “doti
conservate” e di una competizione tra Siciliano e Varacalli per il conseguimento delle predette
“doti”.
3.2. Alle pagg. 17 e 21 dell’ordinanza, il collegio cautelare evidenzia come, sempre dalle
intercettazioni, emerga il pieno coinvolgimento del ricorrente nelle logiche di ‘ndrangheta.
3.3. A pag. 22 ss. (intercettazioni 30 dicembre 2000 e 2 gennaio 2007 tra Melia e
Romano) si pone in evidenza come le candidature di Varacalli e Siciliano non siano gradite al
Nesci
3.4. A pag. 25 ss. (intercettazione 28 maggio 2007 tra Melia e Romano) si evidenzia la
esistenza di un progetto federativo nella locale “sacra corona”.
3.5. A pag.28 (intercettazione 13 gennaio 2008 sempre tra Melia e Romano) il Siciliano
-la cui presenza in loco sarà accertata dalla polizia- viene indicato come un appartenete alla
‘ndrangheta.
3.6. A pag. 28 viene riportato un dialogo tra Siciliano a tale Morabito avente ad oggetto
condotte truffaldine.
3.7. Sulla base di tali incontroverse emergenze indiziarie il tribunale del riesame ha
fondato -non illogicamente- il suo convincimento.
4. Neanche poi risponde al vero che il Siciliano non conosca o comunque non tratti
nessuno tra gli altri indagati, atteso che a pag. 35 si dà atto della conversazione che, con tono
confidenziale, il ricorrente intrattiene col Nesci.
5. Quanto infine al fatto che chi aderisce alla massoneria non potrebbe essere persona
intranea alla ‘ndrangheta, trattasi di massima di esperienza che non trova -allo stato-

CONSIDERATO IN DIRITTO

conferma; né detta conferma potrebbe venire da quanto sostenuto nei motivi aggiunti. Invero
non si comprende che cosa abbiano in comune l’ordine di Malta con la massoneria.
Il primo infatti è un ordine religioso, fondato nell’XI secolo, oggi dipendente dalla Santa Sede;
la seconda è una associazione “iniziatica” e laica, sorta nel clima illuministico del XVIII secolo.
Si tratta di due universi culturali e antropologici certamente distanti e tra i quali non è
consentito fare confusione.
6. La cancelleria provvederà alle comunicazioni ai sensi dell’art. 94 disp. att. cpp.
PQM

Così deciso in Roma, camera di consiglio, addì 19.XI.2013.-

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento; manda
alla cancelleria per le comunicazioni ai sensi dell’art. 94 disp. att. cpp.

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