Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9104 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9104 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Labonia Simone, nato a Napoli 1’1.4.1973, avverso la sentenza
pronunciata dal tribunale di Salerno il 15.4.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano.

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 15.4.2013 il tribunale di Salerno
applicava, ai sensi degli artt. 444 e ss., c.p.p., a Labonia Simone, in
relazione ai reati in materia fallimentare allo stesso contestati, con
riferimento al fallimento della società “Antonio Amato e C. Molini e
Pastifici in Salerno s.p.a.”, le pene, principale ed accessorie, ritenute di
giustizia, disponendo, inoltre, “la confisca delle giacenze esistenti sui
conti correnti facenti capo a Simone Labonia sottoposte a vincolo per

Data Udienza: 13/11/2013

effetto del decreto di sequestro preventivo emesso dal gip in sede in
data 2.7.2012, diverse da quelle oggetto di dissequestro e restituzione
disposti dal tribunale del riesame con provvedimento depositato in data
18.10.2012”.
2. Avverso tale sentenza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto

lamentando: 1) violazione di legge in relazione alla disposta confisca,
non essendovi la prova dell’esistenza del necessario rapporto
pertinenziale tra il denaro oggetto del sequestro ed i reati per i quali è
stata pronunciata la sentenza di “patteggiamento”, in quanto le giacenze
sussistenti sui conti correnti cui si riferisce il provvedimento di confisca
costituiscono il frutto dell’attività professionale svolta dal Labonia per
soggetti estranei al gruppo Amato e su di essi, come si evince anche
dalla annotazione della Guardia di Finanza del 22.3.2012, non risulta
mai essere stato annotato nessun rapporto di accredito diretto o
indiretto con la società “Antonio Amato e C. Molini e Pastifici in Salerno
s.p.a.”, laddove i diversi conti correnti sui quali sono transitati gli
emolumenti che si assume abbiano costituito corpo di reato
presentavano già alla data di esecuzione dell’iniziale sequestro
probatorio un saldo passivo; 2) violazione di legge e vizio di motivazione
della sentenza impugnata per avere il tribunale applicato al Labonia le
pene accessorie per la durata di anni dieci, pur in presenza di una pena
principale pari ad anni due mesi dieci di reclusione, in violazione del
principio dettato dall’art. 37, c.p., secondo cui la durata delle pene
accessorie deve essere commisurata alla durata della pena inflitta; 3)
vizio di motivazione della sentenza impugnata in quanto “la valutazione
sulla non punibilità in applicazione del disposto di cui all’art. 129, c.p.p.,
non investe, come avrebbe dovuto, analiticamente tutti gli aspetti del
capo d’imputazione”.
3. Con requisitoria scritta pervenuta in cancelleria il 17.6.2013 il
pubblico ministero concludeva per l’inammissibilità del ricorso.
4. Con motivi nuovi pervenuti in cancelleria il 28.10.2013, il ricorrente
insisteva per l’accoglimento del motivo di ricorso sub n. 3), rilevando, da

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ricorso per cassazione il Labonia, a mezzo dei suoi difensori di fiducia,

un lato, in relazione al delitto di cui al capo d), come, in realtà, l’importo
versato al Labonia quale onorario per prestazioni professionali,
integrante la condotta dissipatrice, sarebbe stato calcolato dalla polizia
giudiziaria senza sottrarre la prevista ritenuta d’acconto; esso, pertanto,
risulterebbe inferiore alla somma di 829.391,93 euro di cui al capo di

Tale circostanza integra, ad avviso del ricorrente, quella “situazione
pratica più vantaggiosa” che legittima il proposto gravame sul punto, in
quanto il Labonia, essendo prossimo ad essere citato in giudizio dalla
curatela fallimentare per i danni economici arrecati alla società fallita,
potrebbe giovarsi della circostanza di vedere affermata in sede penale la
sua responsabilità per un importo inferiore a quello innanzi indicato.
Dall’altro lato, in relazione al reato di cui al capo e), il ricorrente rileva,
nella medesima prospettiva, che dallo stesso capo di imputazione si
evince che le opere di bonifica dell’area dell’ex pastificio sono state
realmente effettuate, per cui non tutti gli importi indicati nella scrittura
privata redatta dal Labonia, che si assume falsa, possono ritenersi frutto
di indebita sottrazione al patrimonio aziendale della società fallita.
5. Il ricorso non può essere accolto.
6. Ed invero, con riferimento al primo motivo di ricorso, se ne deve
rilevare l’infondatezza.
Premesso che in caso di pena patteggiata, l’estensione dell’applicabilità,
per effetto della legge 12 giugno 2003 n. 134, della misura di sicurezza
della confisca a tutte le ipotesi previste dall’art. 240 c.p., e non più solo
a quelle previste dal secondo comma di tale articolo come ipotesi di
confisca obbligatoria, non esime il giudice dal motivare sulle ragioni per
cui ritiene di dover disporre la confisca di specifici beni sottoposti a
sequestro ovvero, in subordine, su quelle per cui non ritiene attendibili
le giustificazioni eventualmente addotte in ordine alla provenienza del
denaro o dei beni confiscati (cfr.,

ex plurimis,

Cass., sez. VI,

21/02/2007, n. 10531, B., rv. 235928), va rilevato che nel caso in
esame il tribunale ha puntualmente assolto a tale onere motivazionale.

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imputazione.

Il giudice di primo grado, infatti, ha evidenziato come il sequestro prima
e la confisca poi delle somme di denaro rinvenute sui conti correnti
bancari in precedenza indicati si giustifichi, stante la natura fungibile
tipica del denaro, essendo stato accertato in punto di fatto “la chiara
acquisizione da parte del Labonia di consistentissimi importi drenati,

spa, oggetto di dissipazione da parte dei soggetti apicali della
compagine, nella quale l’odierno imputato ha concorso nei modi visti,
ricevendone quello che tecnicamente va sicuramente qualificato quale
profitto del reato” (cfr. p. 31).
Tale motivazione, nell’evidenziare l’esistenza di un nesso pertinenziale
tra il denaro in sequestro ed i reati fallimentari (bancarotta fraudolenta
patrimoniale e bancarotta fraudolenta impropria) ascritti al ricorrente,
appare sufficiente a giustificare il provvedimento ablatorio assunto dal
tribunale, posto che la confisca ed, ancor prima, il sequestro preventivo
di una somma di denaro rinvenuta sul conto corrente dell’imputato sono
ammissibili, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza
di legittimità, condiviso dal collegio, allorquando risulti individuato il
vincolo pertinenziale con il reato (cfr. Cass., sez. II, 19.5.2011, n.
34318; Cass., sez. un., 24.5.2004, n. 29951), che, nel caso in esame, è
rappresentato dalla provenienza delle somme di denaro di cui l’imputato
si è impadronito in danno della società fallita e dei creditori di
quest’ultima, dalla condotta distrattiva e dissipativa posta in essere dal
Labonia in concorso con altri, su cui il tribunale si sofferma con dovizia
di motivazione nella sentenza impugnata (cfr. pp.11-30).
La conclusione cui è giunto il tribunale risulta, peraltro, conforme ai
principi affermati in subiecta materia dalla Suprema Corte, dai quali
questo Collegio non ritiene di discostarsi, secondo cui in tema in tema di
bancarotta fraudolenta, è legittimo il sequestro preventivo e, quindi, la
successiva confisca, delle giacenze di conto corrente acceso dall’indagato
presso una banca quando si accerti che siffatta ricchezza costituisca il
provento di distrazioni fraudolente commesse in pregiudizio di società
fallite; né, a tal fine, rileva la confusione con il personale patrimonio

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senza alcuna corretta giustificazione, dalle casse della società Amato

qualora il cespite sequestrato rappresenti il prodotto o il profitto del
reato della distrazione fraudolenta in pregiudizio della fallita società,
quale risultato della condotta criminosa, con la conseguenza che esso
mantiene una sua intrinseca pericolosità che non si esaurisce nella
confusione patrimoniale (cfr. Cass., sez. V, 30/09/2010, n. 42235, M.,

Ed invero, come correttamente rilevato dal tribunale, una volta accertata
l’esistenza del rapporto pertinenziale con un’attività illecita, non rileva il
fatto che non può esservi certezza che la somma oggetto del
provvedimento ablatorio rappresenti effettivamente il profitto derivante
da attività illecite, dal momento che il denaro è un bene fungibile (cfr.
Cass., sez. V, 16/10/2012, n. 45024, B.G.).
7. Infondato appare anche il secondo motivo di ricorso.
Come è noto, infatti, la Corte Costituzionale, in una recente pronuncia,
ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 216, ultimo comma r.d.16 marzo 1942 n. 267, censurato, in
riferimento agli art. 3, 4, 27, comma 3, 41 e 111 cost., nella parte in cui
prevede che, per ogni ipotesi di condanna per i fatti di bancarotta
previsti nei commi precedenti del medesimo articolo, si applichino le
pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa
commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso
qualsiasi impresa per la durata di dieci anni. Ferma l’opportunità che il
legislatore ponga mano ad una riforma del sistema delle pene
accessorie, che lo renda pienamente compatibile con i principi della
Costituzione, i rimettenti, nel prospettare la violazione del principio di
eguaglianza (art. 3 cost.) e del principio della finalità rieducativa della
pena (art. 27, comma 3, cost.) – unitamente ad ulteriori censure – con
riferimento alla predeterminazione nella misura fissa di dieci anni della
pena accessoria prevista dall’ultimo comma dell’art. 216 r.d. n. 267 del
1942, chiedono alla Corte costituzionale di aggiungere le parole “fino a”
alla disposizione citata, al fine di rendere applicabile l’art. 37 c.p.
(secondo il quale “Quando la legge stabilisce che la condanna importa
una pena accessoria, e la durata di questa non è espressamente

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248888; Cass., sez. V, 24/01/2005, n. 8468, L.).

determinata, la pena accessoria ha una durata eguale a quella della
pena principale inflitta, o che dovrebbe scontarsi, nel caso di
conversione, per insolvibilità del condannato”), e sollecitano, quindi,
un’addizione normativa che – essendo solo una tra quelle astrattamente
ipotizzabili – non costituisce una soluzione costituzionalmente obbligata,

Costituzionale, 31/05/2012, n. 134).
In assenza di un intervento legislativo che modifichi il sistema delle
sanzioni accessorie in materia di reati fallimentari, dunque, in caso di
bancarotta fraudolenta, come è stato affermato con decisione
condivisibile, per la quale si applichi una pena “patteggiata” ed in
assenza di specifico accordo tra le parti, è legittima l’applicazione da
parte del giudice di una pena accessoria per la durata di dieci anni e,
quindi, nella specie, per una durata superiore alla pena principale
inflitta, trattandosi di pena accessoria la cui durata è fissata in misura
fissa ed inderogabile dal legislatore (cfr. Cass., sez. V, 20/09/2012, n.
42731, R., rv. 254736; Cass., sez. V, 31/01/2013, n. 11257, R. e altro,
rv. 254641).
8. Inammissibile per assoluta genericità deve ritenersi l’ultimo motivo di
ricorso, la cui inammissibilità, peraltro, ai sensi dell’art. 585, co. 4,
c.p.p., rende inammissibili anche i successivi motivi aggiunti, che,
peraltro, si concretizzano in censure di fatto non consentite in questa
sede di legittimità.
9. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso del Labonia va,
dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616,
c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 13.11.2013.

ma implica scelte affidate alla discrezionalità del legislatore (cfr. Corte

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