Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9097 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9097 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SANNUTO VINCENZO N. IL 05/05/1980
avverso la sentenza n. 24/2012 CORTE ASSISE APPELLO di
NAPOLI, del 08/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
che ha concluso per

Udito, per 1 parte civile, l’Avv

Data Udienza: 04/12/2013

udito il PG in persona del sost. proc. gen. dott. G. Izzo, che ha concluso chiedendo dichiararsi
inammissibile il ricorso,
udito il difensore avv. R. Ferone che ha illustrato il ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO

2. Per tali fatti, giudicato con rito abbreviato, fu condannato in primo grado alla pena di
anni 15 e mesi 2 di reclusione, tenuto conto anche della recidiva.
La corte di assise di appello di Napoli, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale riforma
della pronuncia di primo grado, ha rideterminato la pena nei confronti del predetto in quella di
anni 14 e mesi 8 di reclusione.
3. Ricorre per cassazione il difensore ed articola tre censure.
3.1. a) violazione di legge e mancata assunzione di prova decisiva cui consegue
contraddittorietà della motivazione. Invero era stata richiesta perizia medico-legale per
accertare la reale incidenza della condotta dell’imputato in relazione all’evento morte della
vittima. L’espletamento della perizia ” avrebbe permesso di accertare se vi fosse o meno
oggettività nella prospettazione effettuata dall’accusa o piuttosto fosse, quanto meno,
plausibile la ricostruzione prospettata dalla difesa, alla luce delle gravi carenze in tema di
concausalità manifestate dalla consulenza tecnica di accusa”. Si era rappresentato che era
necessario determinare l’effettivo apporto causale delle patologie cliniche delle quali la vittima
era portatrice. A tale quesito la corte d’assise d’appello, pur prendendo atto che la richiesta
della Difesa era rivolta anche ad accertare se la caduta al suolo della vittima fosse dipesa dalla
spinta dell’imputato o dalle difficoltà motorie della vittima stessa, ha poi disatteso tale
premessa e, nella motivazione, attraverso una argomentazione apodittica e che non tiene
conto della premessa logica, ha negato la necessità della perizia. Secondo la corte territoriale,
infatti, poiché si è in presenza di omicidio preterintenzionale, una volta accertata l’esistenza del
nesso causale tra l’azione atta a percuotere e l’evento letale, null’altro era necessario
accertare. Ebbene, tale ragionamento muove da premesse del tutto diverse rispetto a quelle
formulate con l’atto d’appello. Oltretutto, il giudice di secondo grado parte dal presupposto che
certamente ricorra l’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale, laddove tale ipotesi dovrebbe
essere suffragata proprio alla luce della perizia richiesta. Infatti: se la perizia avesse accertato
che la caduta al suolo della vittima fosse dipesa esclusivamente da problemi di deambulazione
della stessa, non sarebbe rimasta integrata l’ipotesi criminosa di cui all’articolo 584 cp.
3.2. b) inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 192 cpp e contraddittorietà
della motivazione in relazione all’articolo 125 del medesimo codice. E invero, per quel che
riguarda il delitto di rapina tentata, il giudice di appello fonda il suo convincimento unicamente
sulle dichiarazioni del coimputato Scippa Salvatore, senza tener conto che, ai sensi del terzo
comma dell’articolo 192 cpp, le dichiarazioni del predetto avrebbero dovuto essere valutate
unitamente ad altri elementi di prova, che nel caso di specie mancano. La teste oculare, vale a
dire la moglie della vittima, nel corso dell’incidente probatorio, non ha mai fatto riferimento a
una violenza diretta contro l’imputato, ma si è limitata a dichiarare che l’imputato e il marito
“si afferrarono” vicendevolmente. Contraddicendo tale emergenza procedinnentale, la corte
d’appello sostiene che la moglie della vittima aveva notato che Sannuto aveva bloccato con
forza l’avambraccio del marito.
3.3. c) carenza dell’apparato motivazionale e violazione degli articoli 133 cp, 125 cpp,
62 bis cp. Invero, in tema di quantificazione del trattamento sanzionatorio, la corte
napoletana, con poche battute, aggira la richiesta avanzata con i motivi di appello. Essa fa
riferimento genericamente ai gravi precedenti penali dell’imputato, sostenendo, contrariamente
a ciò che evidenzia il suo certificato penale, che lo stesso sia portatore di precedenti specifici e
reiterati. La corte poi sostiene che il ricorrente non è meritevole di attenuanti generiche per
aver posto in essere un’azione dalla violenza sproporzionata. Ciò contrasta con la ricostruzione
dei fatti operata dalla moglie della vittima, la quale chiarisce che Sannuto, al quale -come si è
premesso- il marito si era aggrappato per non cadere, aveva semplicemente intenzione di

1. Sannuto Vincenzo è imputato di concorso in tentata rapina aggravata e di concorso
in omicidio preterintenzionale della vittima della rapina.

liberarsi dalla presa. Non si vede, allora, in che cosa consisterebbe “l’allarmante violenza” della
quale si fa parola nella sentenza impugnata.

1. Secondo il capo d’imputazione, Sannuto Vincenzo e Scippa Salvatore, in concorso tra
loro, anche al fine di assicurarsi il profitto o l’impunità con riferimento al reato di tentata rapina
in danno di un turista straniero, posero in essere atti diretti a commettere lesioni nei confronti
dello stesso. Tali atti, materialmente compiuti dal Sannuto, consistettero nell’afferrare il
braccio sinistro della vittima, vale a dire il braccio al cui polso lo stesso portava l’orologio (che i
due avevano intenzione di sottrarre alla vittima), nell’intraprendere con la vittima una
colluttazione, nel tirarla, prima, verso di sé e, successivamente, nello spingerla a terra. A
seguito della caduta, l’anziano turista straniero riportò lesioni politraumatiche, cui seguì, dopo
10 giorni dal ricovero in ospedale, la morte.
1.1.
Così
essendo costruita
l’imputazione
relativa
al
delitto di
omicidio
preterintenzionale, non si comprende quale sia la pertinenza della argomentazione contenuta
nel ricorso, in base alla quale sarebbe stato indispensabile accertare quale ruolo potrebbero
avere avuto nella causazione dell’evento-morte le pregresse patologie dalle quali risultava
affetta la vittima. In realtà, neanche il ricorrente pone in dubbio che la morte sia sopraggiunta
a seguito della caduta al suolo, di talché la presenza di eventuali concause, ai sensi dell’articolo
41 comma primo cp, comunque non potrebbe mandare esente da responsabilità chi quella
caduta ebbe a provocare.
1.2. Si sostiene però, come anticipato, da parte del Difensore, che non sarebbe rimasto
chiarito se la caduta al suolo della vittima sia stata determinata dall’azione violenta del
Sannuto, ovvero dal fatto che la vittima stessa era insicura sulle gambe.
Ebbene, da un lato, non si comprende come la perizia medico-legale avrebbe potuto chiarire
tale circostanza, dall’altro, resta il fatto che, se anche la caduta al suolo fosse stata
conseguenza dei problemi di deambulazione della vittima, nondimeno tale caduta sarebbe
comunque stata determinata dall’aggressione portata dal Sannuto, al quale il turista si era
aggrappato, come si sostiene nello stesso ricorso, proprio per non cadere al suolo. Ne
consegue che, se Sannuto non avesse usato violenza nei confronti del turista, costui non si
sarebbe aggrappato al suo aggressore e, conseguentemente, non sarebbe stat i6 “scosso”
violentemente dal Sannuto e non sarebbe caduto al suolo; quantomeno non sarebbe caduto
nelle circostanze accertate nel corso del procedimento.
1.3. Neanche va dimenticato che il delitto di cui all’articolo 584 cp rimane integrato, non
solo quando l’agente abbia effettivamente percosso o leso la vittima, ma anche quando abbia
posto in essere atti semplicemente diretti a commettere uno dei delitti di cui all’articolo 581 o
582 cp. Ne consegue che, avendo il Sannuto tentato di sottrarre l’orologio dal braccio del
turista, avendo afferrato -appunto- il braccio sinistro della vittima (con una violenza tale da
provocare una lesione), lo stesso sicuramente tenne la condotta descritta dall’articolo predetto.
La caduta al suolo della vittima, che sia stata determinata dalla spinta impressagli dal Sannuto,
o dalla incapacità della vittima stessa di reggersi sulle gambe a seguito dell’aggressione subita,
è comunque -per quel che emerge dalla sentenza impugnata, non contraddetta sul punto
neanche dal ricorrente- da porsi in relazione all’atto di aggressione sopra descritto.
La censura -dunque- sintetizzata sub a) appare del tutto eccentrica e completamente
incongruente, tanto con la trama argonnentativa della sentenza, quanto con il preciso dettato
normativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Quanto al tentativo di rapina, non è affatto vero che il giudice di appello fondi il suo
convincimento unicamente sulle dichiarazioni del coimputato, atteso che, come si legge a
pagina 6, lo stesso Sannuto ebbe a rilasciare dichiarazioni autoaccusatorie. Furono peraltro
eseguite anche intercettazioni che, a loro volta, convalidarono la ricostruzione dei fatti
successivamente fornita dallo Scippa; né va dimenticato che il braccio sinistro della vittima
presentava evidenti tracce di lesioni. Tale seconda cesura dunque è infondata.
3. Il diniego di attenuanti generiche è stato adeguatamente giustificato dalla corte
napoletana, con argomentazioni articolate e precise. Se dunque fosse pur vero che Sannuto
non sia portatore di precedenti specifici, resta il fatto che lo stesso era già pregiudicato nel

2

4. In considerazione di quanto premesso, il ricorso merita rigetto e iricorrente va
condannato alle spese del grado.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma in data 4.XII. 2013.-

momento in cui commise i fatti per i quali è processo (tanto che gli è stata contestata la
recidiva, non negata dallo stesso Difensore), così come resta il fatto che lo stesso infierì su di
una persona anziana, in cattive condizioni di salute, che si trovava in una città straniera e che
-dunque- era in obiettiva condizione di inferiorità psicofisica.
La corte ha anche considerato la condotta processuale del ricorrente, il quale si è deciso ad
ammettere i fatti solo quando ciò era inevitabile, essendo stato chiamato in causa dal complice
ed essendo stato riconosciuto dalla moglie della vittima.
Per tutte le ragioni appena enunciate, il giudice di secondo grado, pur nel rirnodulare (in
melius) la pena, avendo ritenuto illegale quella applicata in primo grado, ha negato, certo non
illogicamente, le attenuanti di cui all’articolo 62 bis cp.

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