Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9093 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9093 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BENCIVENGA BARTOLOMEO N. IL 31/01/1965
avverso la sentenza n. 1680/2005 CORTE APPELLO di ANCONA, del
12/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
enerale in

Udito, r la parte civile, l’Avv

Data Udienza: 04/12/2013

udito il PG in persona del sost. proc. gen. dott. G. Izzo, che ha concluso chiedendo dichiararsi
inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1. Bencivenga Bartolomeo è imputato di concorso in furto pluriaggravato per essersi,
operando insieme con altra persona, impossessato dell’autovettura Fiat Punto tg AV 977 VS,
sottraendola al proprietario Affede Silvano, che l’aveva lasciata sulla pubblica via, chiusa a
chiave; fatto avvenuto in data 20 aprile 1999 nel comune marchigiano di Montecassiano.

3. Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato e ricorre personalmente lo stesso
imputato. I due atti di ricorso hanno però identico contenuto.
4. Si deducono quattro censure.
4.1. Con la prima censura, si sostiene la illegittimità costituzionale dell’articolo 10 della
legge 251 del 2005, norma transitoria relativa al diverso regime della prescrizione del reato. Si
sostiene in merito che il reato, essendo stato consumato nel 1999, si è prescritto in quanto non
appare conforme a Costituzione utilizzare due diversi termini prescrizionali, a seconda del
differente sviluppo procedimentale della causa. La legge sopra richiamata ha introdotto una
norma transitoria che applicava ai giudizi pendenti in appello le norme pregresse sulla durata
della prescrizione, ma non espressamente quelle sui criteri per il calcolo della massima durata
in caso di atti interruttivi. Dunque: la norma di cui all’articolo 161 cp, se più favorevole, deve
considerarsi applicabile. Se così non si può ragionare, è necessario sollevare incidente di
costituzionalità innanzi al Giudice delle leggi.
4.2. Con la seconda censura, si deduce inosservanza delle norme processuali stabilite a
pena di nullità e, in particolare, la erronea applicazione dell’articolo 414 cpp. In realtà, il
procedimento a carico del Bencivenga è stato attivato senza un formale provvedimento di
riapertura delle indagini, precedentemente archiviate. Sostiene la corte d’appello che tale
provvedimento non è necessario in quanto l’originario procedimento era carico di ignoti. Così
non è, in base alla opinione della più autorevole dottrina e agli arresti di gran parte della
giurisprudenza.
4.3. Con la terza censura, si deduce mancata e/o erronea applicazione dell’articolo 195
cpp, atteso che è stato fatto uso delle dichiarazioni del maresciallo Carbone, appartenente
all’arma dei carabinieri, il quale ha riferito circa le dichiarazioni di suoi commilitoni operanti in
altro comune ed in altra regione (Veneto). È stato dunque violato il quarto comma dell’articolo
195 del codice di rito, con la conseguenza che le dichiarazioni del Carbone non sono utilizzabili
e con l’ulteriore conseguenza che non può affermarsi che il ricorrente sia stato trovato in
possesso dell’auto sottratta tempo prima all’Affede. Neanche può essere utilizzata la
dichiarazione di Affede Lucia, figlia del derubato, la quale ha riferito di essersi recata in Veneto
per ritirare l’autovettura sottratta al padre. Ella ha dichiarato che furono i carabinieri a riferirle
che l’auto era stata rinvenuta nella disponibilità dell’imputato e di una donna. Ebbene, non
viene neanche chiarito quali siano i carabinieri e quindi non si è potuto fare applicazione del
primo comma dell’articolo 195. Peraltro, il riconoscimento operato da Affede Lucia è afflitto da
assoluta genericità e inaffidabilità perché fu effettuato su fotografie di individui della cui
identità non si è certi.
4.4. Con la quarta censura si deduce contraddittorietà della motivazione e insufficienza
delle prove raccolte a carico dell’imputato per il reato di furto. La corte di appello deve
ricorrere a forzature logiche della motivazione per affermare la responsabilità del Bencivenga.
In realtà, l’unico elemento a carico di costui è il fatto che egli ha precedenti specifici.
L’imputato non si trovava in Montecassiano, quando il furto fu consumato. Le impressioni di
Affede Lucia non possono essere poste a base del convincimento del giudice. Ella ha
semplicemente riferito di aver notato presso il suo bar il passaggio di personaggi ritratti nelle
foto mostrate dai carabinieri veneti, personaggi che solo con uno sforzo di immaginazione
possiamo ritenere essere il Bencivenga e una donna. In effetti, in atti non v’è alcun verbale di

2. Il tribunale di Macerata, riconoscendolo colpevole del predetto delitto, lo ha
condannato alla pena di giustizia. La corte di appello di Ancona, con la sentenza di cui in
epigrafe, ha confermato la pronuncia di primo grado.

riconoscimento. Il fatto che qualcuno abbia riferito che sulla persona del Bencivenga siano
state trovate le chiavi dell’auto rubata è di per sé un fatto neutro, in quanto neanche si può
escludere che dette chiavi siano state affidate al Bencivenga dalla donna che era con lui in
Veneto e che egli nulla sapesse del pregresso furto. In realtà questa donna aveva
semplicemente affidato a Bencivenga le chiavi dell’auto e, dunque, a tutto voler concedere,
l’imputato avrebbe dovuto esser chiamato a rispondere di ricettazione. Ciò tuttavia,
comportando la modifica del fatto, avrebbe dovuto determinare l’annullamento della sentenza
impugnata e la trasmissione degli atti al PM.

1. A parte la (manifestamente infondata) eccezione di costituzionalità, le censure
seguenti non rappresentano altro che “la riedizione” delle censure già proposte dinanzi alla
corte di appello e motivatamente respinte. Ne consegue la inammissibilità del ricorso e,
dunque, la condanna del ricorrente alle spese del grado e al versamento di somma a favore
della cassa delle ammende. Si stima equo determinare detta somma nella misura di C 1000.
2. Quanto alla pretesa incostituzionalità della disciplina transitoria in tema di
prescrizione, è appena il caso di ricordare che la corte costituzionale si è sul punto pronunziata
(sent. 393/2006) sancendo, da un lato, la irragionevolezza della norma che fissava nella
dichiarazione di apertura del dibattimento il discrimen tra vecchia e nuova normativa e
chiarendo, dall’altro, che tale doveva essere, viceversa, considerata la pronunzia della
sentenza di primo grado. La medesima corte ha poi rigettato (sent. nn. 72 e 324 del 2008),
ovvero dichiarato inammissibili (ordin. 91, 93, 226 del 2007 e 43, 223, 343, 384 del 2008) le
ulteriori questioni sollevate, così, implicitamente ribadendo la validità della decisone del 2006.
3. Quanto alla pretesa nullità per la mancanza di un provvedimento di riapertura delle
indagini, è evidente che il ricorrente non si confronta con la pronuncia delle sezioni unite
esplicitamente citata nella sentenza della corte d’appello di Ancona.
Le predette sezioni ebbero modo di chiarire che non è richiesta l’autorizzazione del G.I.P. alla
riapertura delle indagini dopo il provvedimento di archiviazione per essere rimasti
sconosciuti gli autori del reato, in quanto il regime autorizzatorio prescritto dall’art. 414 cpp è
diretto a garantire la posizione della persona già individuata e sottoposta ad indagini, mentre
nel procedimento contro ignoti l’archiviazione ha la semplice funzione di legittimare il
congelamento delle indagini, senza alcuna preclusione allo svolgimento di ulteriori, successive
attività investigative, ricollegabili direttamente al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale
(SU sent. n. 13040 del 2006, ric. PM in proc. ignoti, RV 233198).
4. Non a caso, poi, la dottrina e la giurisprudenza che cita il ricorrente sono entrambe
antecedenti all’anno 2006.
Nella misura in cui la seconda censura trascura quanto esplicitamente posto in evidenza dalla
sentenza di appello ‘essa è generica e quindi inammissibile.
5. Lo stesso vizio affligge la terza censura, atteso che la corte d’appello ha chiarito che
il fatto che l’imputato sia stato trovato in un comune del Veneto in possesso dell’auto rubata,
alcuni giorni prima i nelle Marche è provato, oltre tutto, dal verbale di sequestro e dal verbale di
arresto, nonché dal verbale di restituzione dell’autovettura ad Affede Lucia. Si tratta di atti
irripetibili, i cui verbali sono, di conseguenza, pacificamente acquisibili al fascicolo del
dibattimento e possono costituire elennent« sui quali il giudice fonda il suo convincimento. A
parte ciò, si può aggiungere, ad abundantiam, che le dichiarazioni del maresciallo Carbone non
necessariamente devono discendere da contatti verbali con i suoi commilitoni, ma ben possono
essere conseguenza della lettura degli atti relativi all’arresto del Bencivenga in Veneto; essi,
dunque, costituiscono conoscenza che il militare aveva per ragioni di ufficio e sulla quale può
certamente riferire nel corso del dibattimento.
5.1. Quanto alle dichiarazioni di Affede Lucia esse sono pienamente utilizzabili, sia
perché il primo comma dell’articolo 195 del codice di rito prevede che la fonte diretta sia
chiamata a deporre su richiesta della parte e tale richiesta, per quel che si legge negli stessi
motivi di ricorso, non risulta essere stata avanzata, sia perché la donna, recatasi in Veneto,

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. La quarta censura, oltre ad essere generica per i motivi sopra già illustrati, è anche
manifestamente infondata. Posto che Bencivenga fu trovato sicuramente in possesso delle
chiavi dell’auto e dell’auto stessa, la corte di appello pone in relazione tale dato con il fatto che
lo stesso, come appena illustrato, sia stato riconosciuto dalla figlia del derubato, la quale ebbe
a dichiarare, ed anche questo si è appena premesso, di aver notato la presenza del predetto
nei luoghi in cui era parcheggiata la autovettura, proprio nella circostanza (qualche tempo
prima) che la stessa venisse sottrattO, “Incrociando”, certo in maniera non illogica, i due dati,
la corte giunge alla conclusione che il possesso della vettura da parte dell’imputato era la
logica conseguenza del fatto che lo stesso l’aveva rubata.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso le condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e al versamento della somma di euro 10004.4-44.-

Così deciso in Roma in data 4.XII. 2013.-

ebbe il possesso della autovettura, restituitale dai carabinieri. In quella occasione, per quello
che ella stessa ha dichiarato, ebbe modo di riconoscere l’imputato e di ricordare che lo aveva
visto qualche giorno prima nei pressi del suo bar, vale a dire in concomitanza con la
sottrazione della predetta autovettura; il fatto che in atti non siano state rinvenute le fotografie
sulle quali è stato operato il riconoscimento è circostanza irrilevante, atteso che il
riconoscimento fotografico costituisce prova atipica che ha la struttura della testimonianza, in
quanto colui che ha eseguito la ricognizione riferisce in dibattimento circa il predetto atto
intellettuale.

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