Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9092 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9092 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VIRZI’ GIOVANNI N. IL 24/06/1945
avverso la sentenza n. 15/2011 TRIBUNALE di CALTAGIRONE, del
07/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULL
: –

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 04/12/2013

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udito il difensore della parte civile, avv. Massimo Favara, che ha
concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7.6.2012 il Tribunale di Caltagirone confermava

era stato condannato, per il delitto di ingiuria in danno di La Canea
Bianca, alla pena di € 200,00 di multa, con la concessione delle attenuanti
generiche, nonché al risarcimento del danno in favore della persona
offesa, costituitasi parte civile. Il Tribunale, in particolare, dopo aver dato
atto della rinnovazione dell’istruttoria, con acquisizione della sentenza di
assoluzione emessa nei confronti dello stesso Virzì per fatti riferentesi al
medesimo contesto temporale, evidenziava, tra l’altro, che tale sentenza
era irrilevante, occupandosi di un reato del tutto diverso (tentato
esercizio arbitrario delle proprie ragioni) e, comunque, non poteva essere
condivisa la soluzione contenuta in tale decisione, atteso che l’attività
istruttoria svolta nel giudizio di primo grado era sufficiente a ricostruire i
fatti nel loro accadimento fenomenico.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione Virzì
Giovanni, lamentando:
– la manifesta illogicità, contraddittorietà, assenza della motivazione
della sentenza impugnata ed il travisamento del fatto, ai sensi dell’art.
606 lett. e) c.p.p. In particolare, il ricorrente ha dedotto che il giudice
d’appello avrebbe completamente omesso di dare spiegazioni in ordine al
movente della condotta illecita e, comunque, la descrizione fattuale
fornita in sentenza risulterebbe totalmente sganciata, sia dagli elementi
probatori emersi nel primo grado di giudizio, che dalla produzione
acquisita (sentenza di assoluzione), determinando altresì il travisamento
del fatto; che la condanna si fonderebbe eminentemente sulle
dichiarazioni della persona offesa, pur risultando tali dichiarazioni
smentite da quelle del testimone della difesa e dell’imputato medesimo;
che la produzione della sentenza di assoluzione era finalizzata a
dimostrare proprio l’inattendibilità della persona offesa e non il ne bis in
idem, pur trattandosi di reati diversi scaturenti dal medesimo episodio
fenomenico; che, infine, non risultano collocate nel giusto ambito le
dichiarazioni rese dalla teste Peschel Ramona;
1

la sentenza del Giudice di Pace di Caltagirone, con la quale Virzì Giovanni

-la ricorrenza delle ipotesi di cui alle lett. b) ed e) dell’art. 606 c.p.p.
per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in ordine
all’art. 599 c.p., nonché per mancanza illogicità e contraddittorietà di
motivazione, atteso che il ricorrente aveva specificamente dedotto al
giudice di appello la ricorrenza della esimente della provocazione, ma sul
punto non vi è stata alcuna motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.

inammissibile, richiedendosi al giudice di legittimità nuove e diverse
valutazioni delle risultanze processuali, non consentite in questa sede.
Nella sua confusa esposizione, il ricorrente lamenta innanzitutto l’omessa
motivazione nella sentenza impugnata in ordine al movente della
condotta illecita attribuita all’imputato, e ~ce non si preoccupipdi
precisare la significatività di tale omissione, in relazione alla condotta
oggetto di contestazione, omissione questa che rende la censura del
tutto generica; comunque il vizio dedotto non è ravvisabile.
La ricostruzione del contesto che ha occasionato la condotta illecita,
invero, può dirsi avvenuta nella sentenza d’appello esattamente negli
stessi termini della sentenza di primo grado, essendo state poste a
fondamento di entrambe le decisioni le dichiarazioni, sintetizzate nella
sentenza di primo grado, rese dalla persona offesa all’udienza del
3.6.2008 e dal marito Ardito Michele. Ai fini del vaglio della congruità e
completezza della motivazione del provvedimento impugnato, il giudice di
legittimità deve aver riguardo – ove si tratti di una sentenza pronunciata
in grado di appello (tanto più se di conferma della precedente decisione:
cd. doppia conforme) – sia alla sentenza di primo grado che alla sentenza
di secondo grado, che si integrano vicendevolmente, dando origine ad
enunciati ed esiti assertivi organici ed inseparabili (Sez. VI, n. 34885 del
7.3.2007). Dunque, nel caso in esame , non si ravvisa il vizio di omessa
motivazione, avendo il giudice di primo grado evidenziato che il Virzì
aveva profferito le espressioni ingiuriose all’indirizzo della La Canea dopo
che costei aveva evidenziato che avrebbe pagato la metà del compenso
per i lavori effettuati dall’imputato nel fondo della stessa, poiché tali lavori
erano stati eseguiti in maniera incompleta.
1.1. Va, poi, evidenziato che la doglianza, del tutto generica, relativa
al travisamento del fatto- presentandosi la descrizione fattuale fornita
nella sentenza impugnata sganciata, sia dagli elementi probatori emersi
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1. Il primo motivo di ricorso, è in parte infondato ed in parte

nel primo grado di giudizio, che dalla produzione acquisita (sentenza di
assoluzione)- è inammissibile. A seguito delle modifiche dell’art. 606,
comma 1, lett. e) c.p.p., ad opera dell’art. 8 I. 20 febbraio 2006 n. 46,
infatti, mentre è consentito dedurre il vizio di “travisamento della prova”,
che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio
convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
incontestabilmente diverso da quello reale, al contrario non è affatto
permesso dedurre il vizio del “travisamento del fatto” stante la

valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti
gradi di merito (Sez. VI, n. 11794 del 11.02.2013).
La versione alternativa dei fatti resa dall’imputato nel ricorso si traduce in
sostanza in una richiesta di un diverso giudizio di merito inammissibile in
questa sede. Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di
cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga
effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula
giurisprudenziale ricorrente (Sez. II, n. 11077 del 17.2.2009; Sez. V, n.
1004 del 30.11.1999). Il vizio di sua manifesta illogicità implica la
correttezza o meno dei ragionamenti che a sua volta tiene conto della loro
struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la
compongono (Sez. II, n. 11077 del 17.2.2009).
1.2. Quanto, poi, alla censura relativa all’inattendibilità delle
dichiarazioni rese dalla persona offesa, confutate peraltro da elementi di
segno contrario, si osserva che anche tale censura è infondata. Vanno in
proposito innanzitutto richiamati i principi affermati da questa Corte,
secondo cui la valutazione della credibilità della persona offesa
rappresenta appunto una questione di fatto, che non può essere rivalutata
in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste
contraddizioni (Sez. I, n. 33267 del 11.6.2013). Orbene, nel caso in
esame il Tribunale, anche richiamando l’attività istruttoria svolta in primo
grado, ha fornito logica, congrua ed adeguata motivazione in ordine alle
ragioni per le quali ha ritenuto la responsabilità dell’imputato, fondata
essenzialmente sulle precise dichiarazioni della persona offesa, nonché
sulle dichiarazioni confermative dell’altro teste escusso, marito della
predetta parte offesa. In particolare, il giudice a quo, in linea con i
principi affermati da questa Corte, secondo i quali le dichiarazioni della

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preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria

persona offesa possono anche da sole essere poste legittimamente a
fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato,
previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità
soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto,
che, peraltro, deve, in tal caso, essere più penetrante e rigoroso rispetto
a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone
(Sez. U., n. 41461 del 19.7.2012), ha adempiuto all’onere di
valutazione, senza incorrere in vizi, considerando specificamente la

particolari e conseguentemente la credibilità oggettiva e soggettiva
delle dichiarazioni rese, integralmente confermate dalla testimonianza

del marito.
1.3. Non incorre, poi, in contraddizioni la sentenza impugnata,
laddove ha valutato l’incidenza della sentenza di assoluzione del Virzì
per il reato di tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni
scaturente dal medesimo contesto temporale, pur dando vita ad un
diverso procedimento penale. Ed invero, il giudice d’appello ha
evidenziato non solo che la sentenza in questione si occupa di un
reato del tutto diverso, senza alcun riferimento alle ingiurie profferite
nei confronti della La Canea, ma anche come non possano condividersi
le conclusioni assolutorie cui è pervenuta la sentenza in questione,
essendo stati raccolti nel primo grado di giudizio elementi sufficienti
per l’affermazione della penale responsabilità. Trattandosi, invero, di
reati diversi che hanno determinato diversi procedimenti penali e
diversa attività istruttoria, senza alcuna influenza, peraltro neppure
addotta, del contenuto delle acquisizioni probatorie relative ad un
procedimento rispetto all’altro, non appare in alcun modo incoerente
la valutazione dell’irrilevanza di tale sentenza di assoluzione ai sensi
del secondo comma dell’art. 530/2 c.p.p., stante la contraddittorietà
delle testimonianze raccolte in quel giudizio, rispetto al giudizio
relativo alle ingiurie.
1.4. Va, ancora, evidenziato che la sentenza impugnata indica
esattamente le ragioni per le quali le dichiarazioni della teste a difesa
dell’imputato, Peschel Ramona, non sono state ritenute attendibili e,
quindi, idonee ad inficiare le dichiarazioni della parte lesa. Alcuna
illogicità, invero, si ravvisa nella parte di motivazione oggetto di
doglianza in cui è stata evidenziata la scarsa genuinità della
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coerenza del racconto della persona offesa, sia in linea generale, che nei

deposizione resa dalla Peschel essendo suggestionata dai continui
suggerimenti del Virzì, laddove la versione resa da quest’ultimo circa
la legittimità di un suo intervento, in quanto la teste, di nazionalità
estera, pronunciava male in italiano alcune parole è questione di fatto
che non può essere valutata in questa sede e, comunque, senz’altro
conferma il dato della non genuinità della deposizione in questione.
2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole del fatto che pur avendo
con i motivi di appello invocato l’applicazione dell’art. 599 c.p. alcuna
doglianza è anch’essa infondata.
Va innanzitutto evidenziato che con i motivi di appello, senza aver
sviluppato alcuna argomentazione specifica in merito alle condizioni dalle
quali sarebbe scaturito lo stato d’ira, il Virzì si è limitato a richiedere
l’applicazione dell’art. 599 c.p.. Va richiamato in proposito il consolidato
indirizzo di questa Corte , secondo cui l’omessa motivazione sul rigetto di
un motivo di appello generico, e perciò inammissibile, non dà luogo a
nullità della sentenza di appello, dal momento che in astratto quel
motivo non sarebbe stato suscettibile di accoglimento, per cui non ne
è derivato alcun pregiudizio all’imputato (Sez. V del 29.11.1979).
Va, altresì, evidenziato che, per altro verso, il silenzio su una
specifica deduzione prospettata col gravame non rileva qualora questa
sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente
considerata perché non è necessario che il giudice confuti
esplicitamente la specifica tesi difensiva disattesa, ma è sufficiente
che evidenzi nella sentenza una ricostruzione dei fatti che conduca alla
reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una
valida alternativa (Sez. IL n. 8619 del 12.2.2009). Ora dalla lettura
della sentenza di primo grado, in uno con quella di appello, emerge
una ricostruzione dei fatti in relazione alla quale non avrebbe potuto
trovare collocazione l’esimente della provocazione (la “La Canea gli
riferiva che avrebbe pagato la metà dei soldi per i suddetti motivi…a
tale risposta il Virzì reagiva in modo molto agito ingiuriandola….”),
sicché anche per tale aspetto il motivo è infondato.
Il ricorso va, dunque, rigettato ed il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese processuali ed al rimborso di quelle sostenute
dalla parte civile come da dispositivo.

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motivazione sul punto è stata spesa nella sentenza impugnata, ma tale

p.q.m.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché al rimborso di quelle sostenute dalla parte civile che
liquida in € 1300,00 oltre accessori come per legge

Così deciso il 4.12.2013

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