Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9090 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9090 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RASERA ATTILIO N. IL 30/09/1954
avverso la sentenza n. 1536/2009 CORTE APPELLO di LECCE, del
22/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
che ha concluso per

Udito, per

parte civile, l’Avv

Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 04/12/2013

udito il PG in persona del sost. proc. gen. dott. G. Izzo, che ha concluso chiedendo rigettarsi il
ricorso,
udito il difensore, avv. G.L. Torrigi, che , illustrando i motivi di ricorso, ne ha chiesto
l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO

2. Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato e deduce:
2.1. a) violazione di legge processuale e in particolare degli articoli 159,160,178,179
cpp e conseguente nullità delle notifiche all’imputato dell’avviso di fissazione dell’udienza
preliminare e del decreto che dispone il giudizio, nonché di tutti gli atti conseguenti. Invero, il
decreto di irreperibilità fu emesso sulla base della sola ricerca, con esito negativo, effettuata
presso la residenza dell’imputato. L’articolo 159 del codice di rito prevede che le ricerche siano
eseguite -cumulativamente e non alternativamente- in tutti i luoghi previsti dalla norma.
Trattasi di nullità assoluta deducibile in ogni stato e grado del procedimento,
2.2. b) omessa motivazione in relazione alla commissione del reato di bancarotta
fraudolenta patrimoniale, atteso che il giudice di secondo grado si è limitato ad aderire alle
considerazioni svolte dal tribunale, basando il suo convincimento unicamente sulla parola del
maresciallo Prota, parola priva di qualsiasi base documentale, ignorando del tutto le
conclusioni cui è giunto il consulente tecnico della difesa. Il giudice di appello non ha tenuto
conto delle incertezze probatorie emerse in ordine all’ammontare delle singole somme
asseritamente distratte dall’imputato,
2.3. c) erronea applicazione della legge penale e carenze dell’apparato motivazionale
ancora in riferimento al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, attesa la possibilità di
diversamente qualificare la condotta ascritta al ricorrente, in termini di bancarotta
preferenziale. È emerso che il Rasera aveva finanziato la società fallita per lire 400 milioni. La
corte d’appello afferma che, se anche si dovesse ritenere che l’imputato si sia rimborsato a
debito della società di tale somma, non per questo verrebbe meno la ipotesi di bancarotta
distrattiva, in quanto i prelievi operati dal ricorrente sarebbero di importo maggiore. Ne
consegue (dovrebbe conseguirne) che, quantomeno per la somma di L. 400 milioni, doveva
essere ritenuta la bancarotta preferenziale, attesa la conclusione alla quale, con riferimento a
casi analoghi, è giunta la giurisprudenza di legittimità,
2.4. d) carenza dell’apparato motivazionale in relazione all’accertamento circa la
responsabilità dell’imputato per quel che riguarda ancora la bancarotta fraudolenta
patrimoniale, atteso che la corte di merito non ha adeguatamente confutato le diverse ipotesi
ricostruttive ipotizzabili, anche sulla base delle dichiarazioni del teste Stefanetti, il quale ha
fornito, quantomeno, un principio di prova contraria, in merito alla quale i giudici di primo e
secondo grado avrebbero dovuto condurre gli adeguati accertamenti,
2.5. e) violazione di legge e omessa motivazione in relazione alla sussistenza
dell’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale, per possibile
diversa qualificazione del fatto come bancarotta semplice documentale. In merito, il giudice di
secondo grado non ha evidenziato un’autonoma valutazione circa la sussistenza del dolo e la
reale volontà omissiva dell’imputato. Non è stato chiarito per qual motivo la mancata, regolare
tenuta delle scritture non possa essere ricondotta a un atteggiamento di mera negligenza del
Rasera. Il consulente tecnico di parte ha riferito di aver reperito negli atti una lettera a firma
dell’imputato, con la quale si contestava la tenuta dei libri e delle scritture contabili fino al
momento in cui egli assunse la carica di amministratore. Da ciò sarebbe stato logico dedurre la
volontà di correttezza e completezza di gestione contabile in capo al ricorrente. Tale
emergenza processuale viceversa è stata del tutto ignorata e, in via del tutto presuntiva, è
stata affermata la natura dolosa della condotta del Rasera,
2.6. f) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla
sussistenza dell’aggravante di quell’articolo 219 comma primo LF, attesa la ipotizza possibilità

1. Rasera Attilio fu condannato dal tribunale di Lecce alla pena di giustizia, con
sentenza 22.2.2012, in quanto riconosciuto colpevole di bancarotta fraudolenta, patrimoniale e
documentale.
La corte di appello di Lecce, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la pronunzia di
primo grado.

di un autorimborso effettuato dall’imputato per la somma di 400 milioni; il che rende
insussistente la circostanza aggravante erroneamente ritenuta dei giudicanti,
2.7. g) omessa motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche e il loro giudizio di prevalenza, atteso che dette circostanze vengono
negate con clausole di stile, che fanno riferimento alla gravità del fatto. Al proposito, è agevole
ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la mera gravità del fatto non è di
ostacolo al riconoscimento delle attenuanti di cui all’articolo 62 bis cp.

1. La prima censura è inammissibile per genericità.
Il presente ricorso è venuto per la prima volta innanzi a questa sezione per l’udienza del 9
aprile del 2013. In quella occasione, ne fu disposto il rinvio a nuovo ruolo allo scopo di
richiedere al giudice a quo la documentazione relativa al subprocedimento sfociato nella
dichiarazione di irreperibilità. La corte salentina nulla ha reperito in atti. Conseguentemente
questo giudice di legittimità non è stato posto in grado di ricostruire nel dettaglio l’iter
procedimentale in questione.
1.1. Il difensore del ricorrente, per parte sua -né nel ricorso, né oralmente- ha mai
sostenuto che il Rasera, che pure risultava assistito da difensore di fiducia (avv. G.L.
Tognozzi), avesse eletto o dichiarato domicilio, di talché, ai sensi del comma VIII bis dell’art.
157 cpp e in assenza di esplicita manifestazione di volontà in senso contrario da parte del
predetto difensore, la notifica dell’estratto contumaciale al solo avv. Tognozzi doveva ritenersi
sufficiente, con conseguente irrilevanza della dichiarazione di irreperibilità. In sintesi, la
doglianza proposta con la prima censura è aspecifica (e dunque inammissibile) in quanto, data
la portata generale del disposto del predetto comma VIII bis, il ricorrente non ha chiarito che,
nel caso in esame, esso non dovesse trovare applicazione.
2. La seconda, la terza e la quarta censura (sub b, c, d) sono infondate, atteso che la
corte d’appello, con motivazione sintetica, ma esauriente, ha chiarito che la condotta
distrattiva fu portata a esecuzione mediante l’emissione di assegni tratti sui conti correnti
bancari della società, assegni a firma dell’imputato, attraverso i quali fu realizzata la
spoliazione del capitale sociale. Peraltro, parte non irrilevante di tali titoli fu emessa nel
periodo in cui l’imputato rivestiva anche formalmente la carica di amministratore. Ciò è più che
sufficiente, in base alla consolidata giurisprudenza di questa sezione, per ritenere che di dette
somme l’imputato si sia appropriato atteso che, una volta accertato che l’imprenditore ha
avuto nella sua disponibilità determinati beni (ma, evidentemente anche “liquidi”), nel caso in
cui egli non renda conto del loro mancato reperimento, né sappia giustificarne la destinazione
per effettive necessità dell’impresa, si deve dedurre che gli stessi siano stati dolosamente
distratti; ciò in quanto il fallito ha l’obbligo giuridico di fornire dimostrazione della destinazione
dei beni acquisiti al suo patrimonio (e, evidentemente, del loro controvalore: cfr. ASN
199907569-RV 213636 + ASN 200907048-RV 243295 e altre).
3. Per quanto riguarda la auspicata diversa qualificazione, si deve rilevare che la
motivazione della sentenza impugnata, prendendo atto della deposizione del teste Stefanetti,
introduce, con una frase concessiva, la possibilità che per la somma di 400 milioni il ricorrente
si sia rimborsato di un prestito effettuato. Al proposito, la giurisprudenza di legittimità non
appare univoca, invero, da un lato, si è ritenuto che le restituzioni ai soci dei conferimenti o
delle anticipazioni effettuate poco prima del fallimento della società, fuori dei casi di legittima
riduzione del capitale, integri una condotta in contrasto con gli interessi della società fallita e
della intera massa dei creditori, consistendo nella appropriazione di parte delle risorse sociali,
distolte dalla loro naturale destinazione a garanzia
dei creditori. La fattispecie deve pertanto
essere inquadrata nel reato di bancarotta per distrazione previsto dall’art. 223 comma
secondo n. 1 della legge fallimentare e non in quello di bancarotta preferenziale(ASN
200423672-RV 229032); dall’altro, si è opinato, viceversa, che integri il reato di bancarotta
preferenziale la restituzione ai soci, effettuatkin periodo di insolvenza, dei finanziamenti
costituiscono crediti liquidi ed esigibili (ASN
concessi dai medesimi alla società,che
201201793-RV 252003).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.1. Nel caso in esame, tuttavia, la restituzione è avvenuta a favore non di un qualsiasi
socio, ma dell’amministratore effettivo (qualifica attribuita in sentenza eiR Rasera e non negata
nel ricorso).Ebbene, si è ritenuto (ASN 201242710-RV 254456) che,qualora il socio creditore si
identifichi con lo stesso amministratore della società, la condotta di quest’ultimo, S volta alla
restituzione, in periodo di dissesto, di finanziamenti in precedenza concessi, integra( l’ipotesi di
bancarotta per distrazione e non quella di bancarotta preferenziale.

5. La censura sub f) è manifestamente infondata, atteso che, come emerge dalla
contestazione, il danno arrecato ai creditori fu di notevole rilevanza.
6. Manifestamente infondata è anche l’ultima censura (sub g),dal momento che la corte
d’appello fa riferimento, non solo2Aa gravità del fatto e del danno causato, ma anche
all’intensità del dolo, nella parte in cui pone in evidenza, accanto all’ingente quantità dei beni
sottratti (centinaia di milioni di lire), la pluralità delle condotte consumate e la •ie , rj durata nel
tempo.
7. Conclusivamente il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato alle spese del
grado.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il g ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma in data 4.XII. 2013.-

4. La censura sub e) è infondata, atteso che la corte d’appello ha rilevato che le più
gravi alterazioni, ovvero omissioni contabili,sono avvenute durante il periodo di gestione del
Rasera; né va dimenticato che proprio gli arbitrari prelievi dai conti correnti non furono
contabilizzati, di talché appare ragionevole ipotizzare, come implicitamente fa la sentenza di
secondo grado, che l’omessa annotazione fosse strumentale al proposito di appropriazione.

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