Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9083 del 24/09/2012


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9083 Anno 2013
Presidente: SERPICO FRANCESCO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sui ricorsi di
1. SAPORITO Ciro, nato a Napoli il 05/10/1960
2. DE BIASE Rosaria, nata a Venezia il 15/06/1962
3. SAPORITO Concetta, nata a Napoli il 01/02/1981
avverso il decreto emesso in data 14/12/2010 dalla Corte di Appello di Napoli
nel procedimento di prevenzione promosso nei loro confronti;
esaminati gli atti, i ricorsi e il provvedimento impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Giacomo Paoloni;
lette le richieste del pubblico ministero in persona del sostituto P.G. dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

Motivi della decisione
1. Su proposta avanzata ai sensi della vigente normativa antimafia dal Questore
di Napoli nei confronti di Ciro Saporito, sottoposto alla misura di prevenzione della
sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in quanto ritenuto inserito fin dal
1990 in una consorteria camorristica operante nei “quartieri spagnoli” della città
partenopea, il Tribunale di Napoli con decreto del 15.12.2004 ha ordinato, ai sensi
dell’art. 2-ter L. 31.5.1967 n. 575 la confisca di beni immobili, già vincolati da
sequestro di prevenzione, costituiti da due appartamenti siti a Napoli intestati alla
moglie e ad una figlia del Saporito come di seguito individuati.
Un primo appartamento di tre vani e accessori acquistato, in regime coniugale di
comunione dei beni, da Rosaria De Biase nel 1997 al prezzo dichiarato nel rogito
notarile (ma con ogni probabilità superiore, atteso il valore del cespite stimato
dall’amministratore giudiziario) di lire 87 milioni, di cui 30 milioni versati in

Data Udienza: 24/09/2012

contanti e 57 milioni con emissione di 29 effetti cambiari con scadenza bimestrale
fino al 2002. Un secondo appartamento acquistato nel marzo 2002 dalla figlia del
Saporito, Concetta, all’epoca ventunenne e -pur coniugata con tale Antonio Cardillo
(“del pari assolutamente impossidente”)- convivente con la propria famiglia di origine.
cui la disponibilità diretta o indiretta da parte del proposto di beni intestati ai
soggetti indicati dall’art. 2-bis co. 3 L. 576/65, quali il coniuge e i prossimi congiunti,
sia oggetto di una presunzione semplice (di fittizietà dell’intestazione a tali “terzi”),
occorrendo -invece- anche in questi casi accertare concreti elementi di fatto
realmente indicativi di una disponibilità uti dominus di siffatti beni (intestati agli
stretti familiari), il Tribunale ha segnalato una serie di concatenati elementi che
suffragano la ridetta disponibilità di Ciro Saporito. La moglie e la figlia di costui
erano, al momento dei rispettivi acquisti, prive di qualsiasi autonoma fonte di
reddito, lavorativa o di altra natura, tale da giustificare le acquisizioni patrimoniali.
In. particolare per l’immobile acquistato da Rosaria De Biase nel 1997, quando Ciro
Saporito è detenuto per associazione camorristica (uscirà dal carcere nel 1998) e la
donna deve affrontare il mantenimento di una famiglia con quattro figli, uno dei
quali disabile. Situazione in cui, non svolgendo alcuna comprovata attività di lavoro,
la donna si è accollata un regolamento cambiario che le impone di versare la non
esigua somma di due milioni di lire ogni due mesi. Alla totale mancanza di redditi
della De Biase si sovrappone l’analoga situazione della figlia Concetta, che nel 2002
non svolge alcun lavoro né dispone di fonti finanziarie proprie o coniugali.
1.2. L’esame delle vicende di acquisto immobiliare, quindi, non consente altra
logica deduzione, ad avviso del Tribunale, se non quella che i beni sequestrati sono
stati acquistati “con i proventi dell’attività illecita svolta dal Saporito” e -per ciò- vanno
confiscati. Prive di pregio si mostrano, infatti, le generiche prospettazione difensive
del proposto e delle terze interessate sull’asserita liceità degli acquisti immobiliari, il
primo dei quali (quello del 1997) sarebbe avvenuto grazie alla percezione della
somma di 50 milioni di lire nel 1996 a titolo di arretrati di indennità relative alla
condizione di handicap di uno dei figli del Saporito e della De Biase al pari della
stessa indennità mensile di accompagnamento di lire 750.000. Al riguardo il
Tribunale ha osservato che effettivamente il giudice tutelare ha autorizzato i due
genitori alla riscossione della somma in parola, ma ne ha vincolato il reimpiego per
l’importo di 40 milioni di lire in buoni postali fruttiferi intestati al figlio minore con
vincolo pupillare. In sostanza la somma non era disponibile a beneficio del Saporito
e della moglie, se non per il limitato importo di dieci milioni, certamente non idoneo
a giustificare un acquisto del valore di 87 milioni di lire (secondo quanto dichiarato
nell’atto notarile di compravendita).
2. Giudicando sull’impugnazione del Saporito e -quali soggetti terzi interessati-

della moglie e della figlia, la Corte di Appello di Napoli con il decreto in data
14.10.2010 ha respinto l’appello e confermato la confisca dei due immobili.
I giudici di appello della prevenzione reale, pur ritenendo condivisibile -in
parziale diverso avviso dal Tribunale- il carattere presuntivo (semplice), riconosciuto
da parte della dottrina e della giurisprudenza, della “fittizietà” degli acquisti operati
dai prossimi congiunti del soggetto pericoloso o sospettato di appartenenza ad un

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1.1. Premesso di non condividere l’assunto (anche giurisprudenziale) secondo

3. Avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli hanno proposto ricorso
per cassazione, con un atto impugnatorio collettivo, Ciro Saporito, Rosaria De Biase
e Concetta Saporito, deducendo i motivi di censura per violazione di legge e difetto e
contraddittorietà della motivazione di seguito riassunti.
Se la partecipazione di Ciro Saporito ad un aggregato camorristico è “cosa
certa” (anche per la sua ammissione dell’addebito, tanto da essere gratificato con
l’attenuante della collaborazione giudiziaria), nella vicenda di prevenzione difetta
l’indispensabile requisito per l’adozione del provvedimento ablativo costituito dalla
sproporzione tra il valore dei beni colpiti e i redditi dei soggetti terzi intestatari
nonché dalla corrispondente dimostrazione che tali beni siano frutto del reimpiego
dei proventi di illecite attività compiute dal capofamiglia Saporito.
I giudici di appello non hanno valutato le produzioni documentali della
difesa, minimizzando la disponibilità della rilevante somma di denaro pervenuta ai
coniugi Saporito-De Biase per l’inabilità di uno dei figli e l’assegnazione di una
indennità di accompagnamento del ragazzo pari a lire 750.000 mensili. E’ vero che il
giudice tutelare aveva vincolato la somma erogata dall’ente pubblico ad un suo

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aggregato mafioso, avuto riguardo alla distinzione introdotta dall’art. 2-bis co. 3 L.
575/65 (in rel. art. 2-ter co. 14 L.cit.) tra prossimi congiunti e altri soggetti terzi, ha
ritenuto sussistenti i presupposti soggettivi e oggettivi della disposta confisca sulla
base dell’analisi degli elementi sintomatici della disponibilità dei beni immobili in
capo al proposto sviluppata dai giudici di primo grado.
Indiscussa profilandosi sotto il profilo soggettivo la pericolosità “qualificata”
di Ciro Saporito, quale appartenente al gruppo camorristico denominato “Teste
Matte”, sulla quale sono intervenuti con decisioni definitive i decreti applicativi
della misura di prevenzione personale, sotto l’aspetto oggettivo per la Corte di
Appello, che non manca di evidenziare la sommarietà dei rilievi espressi dall’atto di
impugnazione, alcun dubbio è consentito in ordine alla palmare sproporzione
sussistente tra il valore degli immobili acquistati dalla moglie e dalla figlia del
Saporito rispetto al loro reddito individuale, dichiarato o comunque accertato, ed
allo stesso apparente reddito dell’intero nucleo familiare del Saporito, nessun serio
credito potendo attribuirsi -per il primo dei due acquisti immobiliari- alla
sopravveniente fonte pecuniaria formata dalle indennità per persona inabile
concesse a beneficio del figlio minorenne Vincenzo Saporito. Il giudice tutelare ha
reso indisponibile pressoché l’intera somma per i coniugi Saporito-De Biase, sì da
rendere implausibile l’acquisto. Ciò senza sottacere le incongruenze emerse sulla
presunta destinazione dell’appartamento al figlio Vincenzo (pur formalmente
intestato alla madre) tra le dichiarazioni del Saporito e della moglie e la totale
assenza di documenti o fonti testimoniali avvaloranti il presunto lavoro in nero
svolto dalla moglie del Saporito (come donna delle pulizie) e dalla stessa figlia
Concetta. Nessun serio riscontro ha ricevuto, quanto all’acquisto dell’immobile
facente capo a quest’ultima, l’addotta tesi che lo stesso sarebbe stato ceduto dal
fratello di Saporito alla nipote Concetta in adempimento della volontà del padre dei
due fratelli Saporito, che avrebbe inteso destinare l’appartamento alla nipote
Concetta. Analogamente il generico assunto che anche gli altri figli conviventi del
Saporito avrebbero lavorato è privo di qualsiasi concreto supporto probatorio,
documentale o dichiarativo.

4. Le censure delineate dai ricorrenti sono indeducibili e manifestamente
infondate e le loro impugnazioni vanno dichiarate inammissibili.
Le critiche enunciate in relazione alla carente prova della pretesa simulazione
degli acquisti familiari di Ciro Saporito non possono ritenersi consentite nell’odierna
sede di legittimità. Le doglianze riproducono, infatti, le stesse enunciazioni critiche
sviluppate con sommari motivi di appello avverso il decreto di prevenzione adottato
dal Tribunale, specificamente esaminati e disattesi dalla Corte di Appello sulla base
di un apparato argomentativo coerente e immune da aporie logiche e giuridiche. Gli
attuali ricorsi introducono profili referenziali che, oltre ad essere carenti di
specificità, impingono direttamente il merito valutativo delle fonti conoscitive e
probatorie diffusamente apprezzate dai giudici di merito ed insuscettibili di
scrutinio o di rivisitazione in sede di legittimità.
In vero le censure contro l’impugnato decreto di prevenzione appaiono
parametrate -pur con la surrettizia sussunzione nella critica di erronea applicazione
dell’art. 2-ter L.575/65- sul vizio di difetto di motivazione, laddove l’art. 4 co. 11 L.
1423/56 circoscrive la ricorribilità in cassazione avverso decreti applicativi di misure
di prevenzione alle sole ipotesi di violazione di legge, escludendo lo scrutinio sulla
insufficienza o illogicità della motivazione del provvedimento decisorio. La
limitazione del sindacato di legittimità alla violazione di legge non consente di
dedurre il vizio di motivazione, di tal che il controllo del provvedimento impugnato
non trascende la verifica della rispondenza degli elementi esaminati dal giudice di
merito ai parametri legali richiesti per l’applicazione delle singole misure di
prevenzione, non estendendosi al controllo del percorso giustificativo della
decisione. A meno che questo sia del tutto assente o soltanto apparente, sì che ricorra
comunque la violazione di legge in termini di violazione dell’obbligo di provvedere
con decreto motivato imposto al giudice di appello dall’art. 4 co. 9 L. 1423/56 (cfr., ex
plurimis: Cass. Sez. 6, 8.3.2007 n. 35044, Bruno, rv. 237277; Cass. Sez. 5, 8.4.2010 n.
19598, Palermo, rv. 247514). Evenienza, quest’ultima, che deve affatto escludersi per
il provvedimento di confisca dei beni immobili adottato nei confronti di Ciro
Saporito e dei suoi prossimi congiunti, confermato dalla Corte di Appello di Napoli
all’esito di una adeguata e logica disamina dei motivi di gravame rimessi alla sua
attenzione e della loro argomentata infondatezza.

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reimpiego in buoni postali, ma tale onere sarebbe stato eluso dai coniugi, che hanno
invece provveduto all’acquisto dell’appartamento. Ne discende che il rilievo della
Corte territoriale sulla disponibilità da parte della De Biase di denaro appena
sufficiente per mantenere la famiglia (con quattro figli e il capofamiglia in carcere) è
frutto di mera congettura, che altresì ignora l’ulteriore dato dell’attività lavorativa
espletata come domestica dalla stessa De Biase, che pure la difesa ha tentato di
dimostrare anche con una attestazione del parroco del quartiere della famiglia.
Nessun serio accertamento è stato svolto, poi, per verificare la veridicità o
meno della provenienza dell’appartamento, di modestissimo valore, acquisito nel
2002 dalla giovane Concetta Saporito dal nonno della giovane e padre del proposto
Ciro Saporito. Così come non è sorretta da dimostrazione l’asserita perdurante
convivenza familiare della stessa Concetta, che pure è sposata ed ha dato vita ad un
proprio e autonomo nucleo familiare.

All’inammissibilità dei ricorsi segue per legge la condanna dei ric oi nazkal
pagamento delle spese del processo e, individualmente, della somm>tii
1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno a quello della somma di euro mille in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 24 settembre 2012
Il consigliere stensore

Con l’ulteriore effetto che le doglianze oggi riproposte dai ricorrenti si
profilano come manifestamente infondate.
In vero la Corte territoriale, senza incorrere in alcuna inversione dell’onere
probatorio, ha preso in esame i temi critici dedotti dagli appellanti e li ha disattesi
sulla base della rilevata sussistenza di plurimi elementi sintomatici della fittizia
interposizione negli acquisti dei beni confiscati alla moglie e alla figlia del proposto,
sotto l’aspetto della palese sproporzione delle fonti di reddito delle due acquirenti e
di quelle fruibili dal loro nucleo familiare. In tale contesto il decreto impugnato ha
messo in evidenza concatenati elementi storico-fattuali, scanditi da gravità,
precisione e concordanza, attestanti l’ipotesi accusatoria del carattere puramente
formale delle intestazioni dei due immobili a moglie e figlia del Saporito e della
correlata permanenza della disponibilità dei beni nell’effettiva e autonoma
disponibilità di fatto del proposto (v. Cass. Sez. 2, 9.2.2011 n. 6977, Battaglia, rv.
249364). Congruamente la Corte di Appello ha rilevato, per un verso, le valenze non
dirimenti (avendo già il Tribunale rimarcato l’inconducenza del dato) delle somme
corrisposte nel 1996 al Saporito e alla moglie, vincolate a beneficio del figlio disabile
minorenne, e la completa assenza di valide prove della supposta attività lavorativa
in nero svolta dalla moglie di Saporito. Per altro verso la stessa Corte ha linearmente
rilevato la mancata dimostrazione della provenienza dell’appartamento di cui è
divenuta titolare Concetta Saporito nel 2002 dal padre dello stesso proposto,
asseritamente pervenuto alla giovane attraverso una intermedia temporanea
intestazione ad un fratello di Ciro Saporito, evenienza illogica e di cui gli interessati
non hanno saputo o potuto offrire alcuna seria prova.

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