Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9082 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9082 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARRAPODI IVAN N. IL 01/03/1970
avverso la sentenza n. 2209/2009 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 13/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
a – Generale in persona
. ‘:_
che ha concluso per

Udito, per la p e civile, l’Avv

Data Udienza: 19/11/2013

udito il PG in persona del sost. proc. gen. d.ssa G. Fodaroni, la quale ha concluso chiedendo
rigettarsi il ricorso,
udito il difensore della PC avv. N. Palmieri, che si è associato alla richiesta del PG e ha
depositato conclusioni scritte e nota spese,
udito il difensore dell’imputato, avv,. V. N. D’Ascola, che ha illustrato il ricorso e ne ha chiesto
l’accoglimento.

1. La corte d’appello di Reggio Calabria, con la sentenza di cui in epigrafe, ha
confermato la condanna per bancarotta fraudolenta (patrimoniale e documentale) di
Marrapodi Ivan, con riferimento al fallimento della IMM srl, dichiarato con sentenza 22 marzo
2001.
Il giudizio è stato celebrato con il rito abbreviato.
1.1. La IMM aveva realizzato il complesso turistico denominato “Rada Azzurra”, allo
scopo di vendere o affittare le unità immobiliari costruite. Marrapodi è accusato di aver
distratto i canoni di locazione per un importo complessivo di lire 159 milioni (capo C) e di avere
distrutto il libro giornale fino al 1993, tenendolo quindi, per gli anni seguenti, in maniera da
non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del giro di affari della società e inoltre di
non aver contabilizzato i contratti di locazione (capo H, punti 1 e 7).
Marrapodi è stato considerato dai giudici di merito amministratore di fatto, mentre
amministratore di diritto risulta tale Mafrica Angelo, il quale ha concordato la pena, in separato
procedimento, ai sensi dell’articolo 444 cpp.
2. Il difensore del Marrapodi, con il ricorso deduce:
2.1. a) violazione dell’articolo 2639 cc in quanto l’imputato non risponde alla descrizione
di amministratore di fatto che il predetto articolo contiene. Invero, perché sia integrata tale
figura, è necessario l’esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici, inerenti alla qualifica
e alla funzione di amministratore. La corte d’appello in realtà deduce la qualifica dalla mera
sussistenza dell’interesse derivante dalla titolarità della S.r.l. Ma una cosa è la titolarità, altra è
la gestione che, invece era in capo al solo Mafrica,
2.2. b) violazione dell’articolo 192 comma terzo cpp e carenze dell’apparato
motivazionale.
Mafrica, le cui dichiarazioni sono state ampiamente utilizzate, in realtà, era un coimputato e,
come tale, interessato ad addossare tutta la colpa sul ricorrente; ciò allo scopo di non essere
chiamato personalmente a restituire i capitali distratti. Peraltro, non risulta rispettato il
protocollo valutativo della chiamata in correità. Mafrica infatti ha reso, in realtà, più versioni,
tra loro contraddittorie. Ne deriva la non credibilità intrinseca di questo dichiarante. Le sue
dichiarazioni non posso neanche qualificarsi spontanee perché, come premesso, le sue accuse
sono chiaramente dirette ad allontanare da sé il rischio della restituzione di quanto sottratto.
Secondo la corte territoriale, viceversa, il Maficra sarebbe credibile perché le sue dichiarazioni
sarebbero coerenti con l’assetto proprietario del complesso “Rada Azzurra”. È però da rilevare
che Mafrica è amministratore del complesso da ben 15 anni e che egli garantì l’operazione
immobiliare con tutto il suo patrimonio. Si tratta quindi di persona realmente coinvolta
nell’amministrazione e negli interessi dell’azienda. È allora evidente che la sentenza di secondo
grado si fonda su valutazioni strettamente soggettive dei giudicanti e su mere, indimostrate
opinioni. Mafrica, in un primo momento, riferì che, dopo la morte del notaio Marapodi, padre di
Ivan, nessuno si occupò della S.r.l. Successivamente se ne sarebbe occupato Ivan è quindi il
fratello Oreste. Viceversa, al curatore ebbe a riferire che il conduttore di numerosi alloggi presi
in affitto, vale a dire Palumbo Filippo, nel 1998 avrebbe versato l’importo dei canoni
direttamente nelle mani di Ivan; successivamente, ha corretto tale versione dei fatti,
sostenendo che il Palumbo avrebbe versato a lui (Mafrica) gli importi ed egli quindi li avrebbe
“girati” a Marapodi Ivan. In realtà, il ricorrente (Marapodi Ivan) risiedeva (e risiede tuttora) a
Roma e non si interessava, né poteva interessarsi, della gestione di “Rada Azzurra”.
Peraltro, le dichiarazioni del Palumbo non sono adeguatamente riscontrate, e anche lo stesso
Palumbo rende più versioni dei fatti (al curatore, al PM, al giudice delegato).

RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La qualifica di amministratore di fatto di Marapodi Ivan è stata desunta da parte dei
giudici di merito per facta concludentia. È stato infatti messo in evidenza come proprio con il
ricorrente avessero rapporti gli istituti bancari, considerandolo non solo il reale dominus
dell’azienda, ma anche il suo gestore. Proprio Marapodi Ivan, d’altra parte, si attivò, presso i
predetti istituiti di credito, per tentare di avviare a soluzione la pesante situazione debitoria di
“Rada Azzurra”.
1.1. Ancora va aggiunto che le scritture contabili furono rinvenute, non nel possesso del
Mafrica, ma nello studio del notaio Marapodi, padre deceduto dell’imputato.
Tali dati “storici”, la corte calabrese pone in correlazione con un argomento logico, vale a dire
che l’azienda era di proprietà della famiglia Marapodi. Non per questo, i giudici del merito
hanno affermato la equivalenza tra proprietà e amministrazione, ma hanno introdotto un -non
illogico- criterio di valutazione.
1.2. Alla morte del padre (notaio Marapodi), degli affari si occupò Marapodi Oreste,
fratello di Ivan; quindi, essendo morto anche Oreste, gli subentrò Ivan. Tali notizie la corte
territoriale ha desunto dalle dichiarazioni del Mafrica, le quali, nel loro nucleo essenziale,
coincidono con quelle provenienti dal Palumbo.
2. Quanto al documento scritto redatto dal Palumbo e raccolto dal curatore, esso era
pienamente utilizzabile, atteso che le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare
sono ammissibili come prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitivi di
una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, atteso che, non solo gli accertamenti
documentali, ma anche le dichiarazioni ricevute dal curatore t costituiscono prove rilevanti nel
processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società (ASN 200439001RV 229330).
3. La corte di appello poi chiarisce anche perché non sia credibile che il Palumbo abbia
firmato “in bianco” il foglio acquisito dal curatore. Inoltre: anche con riferimento alle marginali
oscillazioni nelle dichiarazioni del Palumbo, la corte di merito fornisce adeguata spiegazione.
4. Si sostiene nel ricorso che il Mafrica avrebbe tutto l’interesse ad accusare il ricorrente
per non essere chiamato a restituire i capitali sottratti alla società; non si chiarisce tuttavia per
qual motivo Marrapodi Ivan -reale dominus, come si è detto e come non contestato, della
“Rada Azzurra”- sarebbe rimasto inerte di fronte a tale opera di spoliazione compiuta dal
Mafrica.
5. Infine, la richiesta integrazione probatoria in appello (per di più nell’ambito di un
giudizio celebrato con il rito abbreviato), è un istituto più che eccezionale; né il ricorrente
chiarisce adeguatamente la indispensabilità della audizione del Palumbo, il quale, per incidens,
per quel che si apprende dagli atti, risulta -oltretutto- irreperibile.
6. Per tutte le ragioni sopra specificate, il ricorso va qualificato come infondato e,
conseguentemente, va rigettato. Il ricorrente va condannato alle spese del grado. Lo stesso va

La corte d’appello utilizza poi la dichiarazione scritta del Palumbo, in possesso del curatore. Si
tratta di atto inutilizzabile, perché afflitto da inutilizzabilità cosiddetta patologica, rilevante
anche nel giudizio abbreviato; si tratta infatti di prova assunta fuori dal contraddittorio. In ogni
caso Palumbo ha disconosciuto tali dichiarazioni, precisando che esse furono redatte su di un
foglio che egli aveva firmato in bianco e consegnato al Mafrica. Esiste dunque un evidente
contrasto tra le dichiarazioni di quest’ultimo e quelli del Palumbo.
La corte d’appello poi ha trascurato le dichiarazioni provenienti da altri testi, i quali hanno
affermato di non aver mai avuto contatti con Marapodi Ivan,
2.3. c) mancata assunzione di prova decisiva, vale dire la escussione del Palumbo. La
corte territoriale sostiene che le dichiarazioni di questo teste sarebbero riscontrate ma, per
tutto quanto detto sopra, si deve concludere che ciò non corrisponde al vero.

anche condannato al ristoro delle spese sostenute in questo grado di giudizio dalla PC, che si
liquidano come da dispositivo.
PQM
rigetta ricorsopcondanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al
rimborso delle spese sostenute in questa sede dalla parte civile, che liquida in complessivi euro
3.000 (tremila), oltre accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, addì 19.XI.2013.-

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