Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9081 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9081 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Cremascoli Eugenio, nato a Milano il 3012.1941, e da Pennisi Francesco,
nato a Torino il 6.12.1938, avverso la sentenza pronunciata dalla corte
di appello di Milano il 7.11.2011;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Giovanni D’Angelo, che ha concluso per il rigetto dei
ricorsi;
uditi per i ricorrenti i rispettivi difensori di fiducia che hanno concluso
per l’accoglimento dei ricorsi, – N•tv-

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FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 7.11.2011 la corte di appello di Milano
confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 14.7.2004,

Data Udienza: 13/11/2013

aveva condannato Cremascoll Eugenio e Pennisi Francesco, imputati, in
qualità di componenti del consiglio di amministrazione della società
“Giuliana Cremascoli Chemical s.r.l.”, dichiarata fallita con sentenza del
30.7.1998, del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per
distrazione, alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia.

indicato in relazione ad una serie di finanziamenti infruttiferi effettuati
dalla società fallita in favore della società controllante “Sogepa s.r.l.” e
della società collegata “Iketon Farmaceutici s.r.l.”, mai rimborsati,
nonostante il collegio sindacale avesse in più occasioni segnalato
l’incongruità di tali finanziamenti, le cui risorse avrebbero dovuto essere
destinate, invece, ad estinguere i debiti che la società aveva maturato
nei confronti dell’Erario e degli istituti previdenziali, il cui mancato
pagamento ne aveva determinato il fallimento.
3.

Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiedono

l’annullamento, hanno proposto autonomi ricorsi per cassazione, a
mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, entrambi gli imputati,
articolando plurimi motivi di impugnazione.
3.1 D Cremaschi, in particolare, lamenta: 1) vizio di motivazione, sotto il
profilo della motivazione apparente della sentenza impugnata, per avere
la corte territoriale omesso di considerare che i finanziamenti non sono
configurabili come atti distrattivi, ma come atti di gestione della società
e che l’intera operazione non ha natura distrattiva, non essendo i
finanziamenti in questione privi di remunerazione, come si desume da
una serie di elementi non valutati dalla corte di appello.
Il curatore fallimentare della società fallita, infatti, non ha riferito nulla
in ordine ai servizi forniti dalla “Sogepa” alla “Giuliana Cremascoli
Chemical s.r.l.”, mentre il curatore fallimentare della “Sogepa” ha
affermato di avere rinvenuto numerose fatture emesse dalla società a
compensazione del debito nei confronti della suddetta “Giuliana
Cremascoli Chemical s.r.l.” per prestazioni di servizi durate sino al
fallimento; inoltre l’esistenza di crediti della “Iketon Farmaceutici s.r.l.”
nei confronti della “Giuliana Cremascoli Chemical s.r.l.” offerti in

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2. I suddetti imputati sono stati ritenuti responsabili del delitto innanzi

compensazione è stata riconosciuta dal giudice delegato del fallimento
della “Iketon”, mentre i bilanci evidenziano una crescita dell’ammontare
dei crediti della “Giuliana Cremascoli Chemical s.r.l.” verso la “Iketon”
dal 1993 al 1997; il ricorrente contesta, altresì, nel merito l’analisi
effettuata dalla corte territoriale sul contenuto dei bilanci della società

agli artt. 223, co. 2, n. 1), I. fall., e 2634, co. 3, c.c., non potendosi
ritenere ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo se
compensati da vantaggi conseguiti o fondatamente prevedibili; 3)
violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata con
riferimento all’elemento soggettivo, in quanto, se la responsabilità del
Cremascoli, sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, si ritiene
sussistente in applicazione del meccanismo della responsabilità
concorsuale di cui all’art. 110, c.p., va rilevato che, da un lato l’imputato
non ha partecipato alle assemblee nel corso delle quali sono stati
deliberati i finanziamenti di cui si discute, apponendo successivamente
la sua firma ai relativi verbali, dall’altro, ove si volesse ritenere il
contrario, la sua sarebbe stata una mera partecipazione formale ad un
atto di gestione, che appare inidonea a dimostrare la consapevolezza da
parte del ricorrente delle finalità distrattive degli atti; nel caso, invece,
in cui si ritenga che la suddetta responsabilità trovi il suo fondamento
nell’art. 40, co. 2, c.p., fermo restando che non è possibile configurare a
carico del Cremascoli una responsabilità penale solo in virtù della
posizione rivestita dall’imputato all’interno della società fallita,
occorrendo dimostrare che egli si sia rappresentato l’evento nella sua
portata illecita ed abbia accettato che il reato venisse portato a
compimento, omettendo di attivare i poteri impeditivi connessi al suo
ruolo, va osservato che nel caso in esame tale dimostrazione non è stata
fornita, non costituendo segnali di allarme all’uopo dotati di apprezzabile
valore sintomatico le segnalazioni del collegio sindacale, che non hanno
mai avuto ad oggetto condotte distrattive.
3.2 Identiche doglianze vengono prospettate nel ricorso presentato
nell’interesse del Pennisi, nel quale si insiste in particolar modo sulla

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fallita per gli anni 1990, 1991 e 1992; 2) violazione di legge in relazione

circostanza che l’imputato, scienziato e psicoterapeuta, non possa essere
chiamato a rispondere del reato di cui si discute per la sua semplice
qualità di componente del consigli di amministrazione della società
fallita, non essendo egli dotato delle necessarie competenze tecniche per
comprendere la natura distrattiva delle operazioni compiute, non

dibattimentale nel giudizio di primo grado dallo stesso curatore
fallimentare, all’incontro tra i sindaci e gli amministratori del 30.4.1992;
infine il ricorrente eccepisce l’intervenuta estinzione per prescrizione del
reato.
4. Il ricorso non può essere accolto, per infondatezza dei motivi che lo
sostengono.
5. Ed invero, come correttamente affermato dalla corte territoriale, i
finanziamenti effettuati dalla “Giuliana Cremascoli Chemical s.r.l.” nei
confronti delle altre due società vanno configurati come atti distrattivi, in
quanto essendo privi di remunerazione essi vanno qualificati come
“sottrazione di risorse economiche che avrebbero potuto e dovuto essere
destinate al soddisfacimento dei creditori”, rappresentati principalmente
dall’Erario e dagli istituti previdenziali, “verso i quali la fallita aveva una
fortissima esposizione debitoria” (cfr. pp. 12 e 14 dell’impugnata
sentenza), circostanza, quest’ultima, non contestata dai ricorrenti.
Tale situazione era perfettamente nota agli organi cui era demandata
l’amministrazione della società, in quanto, come rilevato dalla corte
territoriale, senza che la circostanza abbia formato oggetto di
contestazione da parte dei ricorrenti, “il collegio sindacale sin dal 1990
aveva ripetutamente posto in luce gli omessi versamenti di debiti
all’erario e ad enti previdenziali e addirittura aveva espressamente
consigliato di interrompere la politica di finanziamento fruttifero a favore
della Sogepa”, convocando il 30.4.1992 una riunione alla quale
parteciparono tutti i componenti del consiglio di amministrazione
(circostanza, quest’ultima, sulla partecipazione alla riunione di tutti i
componenti del consiglio di amministrazione, invece, contestata dai

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avendo, inoltre, preso parte, come dichiarato nel corso dell’istruttoria

ricorrenti) per esortare l’interruzione della politica di finanziamento alla
controllante “Sogepa” (cfr. pp. lle 12 dell’impugnata sentenza).
Appare, dunque, evidente, come la fattispecie ricostruita dai giudice di
merito sia riconducibile ai principi affermati da tempo da un condivisibile
orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di

distrazione del patrimonio societario i finanziamenti a società collegate,
quali sono la “Sogepa s.r.l.” e la “Iketon Farmaceutici s.r.l.”, se non
avvengono in cambio di adeguata contropartita o se non sono assistiti da
valide garanzie.
Invero, poiché nella vigente normativa il gruppo o collegamento di
società è privo di personalità giuridica – la quale permane
individualmente in capo alle società componenti – la nozione di interesse
sociale deve essere valutata tenendo conto della autonomia soggettiva
delle singole società del gruppo e della impossibilità per i creditori di
“inseguire” i beni su cui rivalersi, nel caso in cui gli stessi, usciti dalla
disponibilità della società collegata (cfr. Cass., sez. V, 06/10/1999, n.
12897, Tassan Din e altro).
Il trasferimento di risorse infragruppo, ovvero tra società appartenenti
allo stesso gruppo imprenditoriale, infatti, specialmente quando venga
effettuato a vantaggio di una società già in difficoltà economiche, non è
consentito e deve essere qualificato come vera e propria distrazione ai
sensi e per gli effetti previsti dall’art. 216 I. fall, sul rilievo che le società,
pur appartenendo allo stesso gruppo, sono persone giuridiche diverse e,
pertanto, i creditori della società depauperata mai potrebbero rivalersi
dei loro crediti inseguendo i beni ceduti da una società ad una altra
dotata, ovviamente, di una autonoma personalità giuridica, posto che la
garanzia dei creditori è data proprio dal patrimonio sociale, che viene
depauperato allorché vengano effettuati trasferimenti di beni ad altra
società, con conseguente diminuzione della garanzia (cfr. Cass., sez. V,
15/07/2008, n. 39546
B.G.).

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bancarotta fraudolenta, costituiscono fenomeni di dissipazione o

Il carattere infruttifero dei finanziamenti, in uno con la rilevante
esposizione debitoria in precedenza indicata, rende, dunque, evidente la
natura distrattiva dell’intera operazione, rispetto alla quale la presenza
di eventuali crediti vantati dalla società fallita nei confronti delle società
collegate (di cui è stato del pari dichiarato il fallimento) costituisce un

mero post factum irrilevante ai fini della consumazione del delitto di
bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, avvenuta con la
dichiarazione di fallimento, determinata in misura rilevante proprio dalle
esposizioni debitorie nei confronti dei creditori della “Giuliana Cremascoli
Chemical s.r.l.” sulle quali non si è prodotto nessun effetto estintivo in
conseguenza della invocata compensazione dei rapporti credito/debito
tra le anzidette società.
Né va taciuto l’improprio richiamo alla previsione dell’art. 2634, co. 3,
c.c., in tema di “vantaggio compensativo” nell’ipotesi del collegamento o
del gruppo di società, in quanto, come affermato da un condivisibile
insegnamento del Supremo Collegio, in tema di bancarotta fraudolenta
patrimoniale, per escludere la natura distrattiva di un’operazione
infragruppo non è sufficiente allegare tale natura intrinseca, dovendo
invece l’interessato fornire l’ulteriore dimostrazione del vantaggio
compensativo ritratto dalla società che subisce il depauperamento in
favore degli interessi complessivi del gruppo societario cui essa
appartiene (cfr. Cass. pen., sez. V, 6/10/2011, n. 48518, rv. 251536),
che, nel caso in esame, in cui come si è detto, tutte le società collegate
risultano fallite, non è stata fornita.
Inammissibili, perché riguardanti profili di merito, sono, poi, le censure
formulate con riferimento alla lettura dei bilanci societari operata dalla
corte territoriale.
5.1 Infondati devono ritenersi anche i rilievi in ordine all’elemento
soggettivo del reato formulati da entrambi i ricorrenti.
Al riguardo appare sufficiente ribadire un principio da tempo affermato
nella giurisprudenza di legittimità, che questo collegio intende ribadire,
secondo cui in tema di reati fallimentari il componente del consiglio di
amministrazione risponde penalmente per mancato impedimento del

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reato anche quando egli sia consapevolmente venuto meno al dovere di
acquisire tutte le informazioni necessarie all’espletamento del suo
mandato, così violando gli obblighi gravanti su di lui, posto in una
posizione di garanzia (cfr. Cass., sez. V, 29/03/2012, n. 23091, B., rv.
252803; Cass., sez. V, 14.12.2011, n. 3714, C., rv. 252947)

In questa prospettiva il dolo va inteso non già quale intenzionalità di
insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile
diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio
economico, che, nel caso in esame, risulta dimostrata, a prescindere
dalla partecipazione o meno degli imputati alla citata riunione del
30.4.1992, dai numerosi e reiterati allarmi del collegio sindacale in
ordine alla esposizione debitoria della società ed alla opportunità di
cessare i finanziamenti infruttiferi per destinarli al pagamento dei debiti
verso l’Erario e gli istituti previdenziali, che i componenti del consiglio di
amministrazione avevano il precipuo dovere di conoscere e che
effettivamente conoscevano, in conseguenza della loro partecipazione
attiva alla vita della società attraverso il compimento di atti di gestione,
avendo firmato bilanci, relazioni ed avendo altresì partecipato ad
assemblee ordinarie e straordinarie, come puntualmente rilevato dalla
corte territoriale (cfr. p. 14 dell’impugnata sentenza).
5.2 Del pari infondato è il rilievo sulla intervenuta estinzione del reato
per prescrizione.
Ed invero, trovando applicazione nel caso in esame la normativa
previgente alla riforma della disciplina della prescrizione, il relativo
termine, pari ad anni quindici, nella sua massima estensione, tenuto
conto, cioè, degli atti interruttivi intervenuti e della sospensione del
relativo decorso, disposta per complessivi mesi quattro e giorni dodici,
sarebbe venuto a scadenza solo il 12 dicembre 2013, essendosi il reato
consumato alla data della sentenza dichiarativa di fallimento del
30.7.1998.
6. Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi di cui in premessa
vanno, dunque, rigettati, con condanna di ciascun ricorrente, ai sensi
dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

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P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso in Roma il 13.11.2013.

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