Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9069 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9069 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: BEVERE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAVENTO SALVATORE N. IL 08/12/1953
avverso la sentenza n. 3093/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
28/09/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO BEVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. EoLe.,ou‘SkQ
che ha concluso per ./q , \

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. \bui CLUP

Yeoccei,

4a/Cc_A- O

Data Udienza: 07/11/2013

Il ricorso è manifestamente infondato in quanto i motivi propongono,in chiave critica, valutazioni
fattuali, sprovviste di specifici e persuasivi addentellati storici, nonché prive di qualsiasi coerenza
logica, idonea a soverchiante e a infrangere la lineare razionalità, che ha guidato le conclusioni
della corte di merito.
Con esse,in realtà , il ricorrente pretende la rilettura del quadro probatorio e, contestualmente , il
sostanziale riesame nel merito. Questa pretesa è tanto più inammissibile nel caso in esame :
la struttura razionale della motivazione — facendo proprie le analisi fattuali e le valutazioni logicogiuridiche della sentenza di primo grado – ha determinato un organico e inscindibile accertamento
giudiziale, avente una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa, che è saldamente ancorata agli
inequivoci risultati dell’istruttoria dibattimentale ,costituiti dalle dichiarazioni delle persone offese
e di altre persone presenti ai fatti nonché dalla documentazione medica, alla luce dei quali è
emerso che
a) il 12.4.05, la Alabiso è intervenuta su sollecitazione della collega Viviani , in un confronto
polemico con il Pavento; questi, non avendo gradito l’intervento dell’impiegata , ha
pronunciato parole offensive ,l’ha sbattuta contra una vetrata e ha cercato di darle un pugno;
b) l’intervento dei colleghi ha evitato il protrarsi del comportamento violento dell’imputato;
c) il referto del pronto soccorso e gli altri documenti sanitari, acquisiti nel corso dell’istruttoria
dibattimentale, hanno accertate le conseguenze lesive di questo comportamento;

FATTO E DIRITTO
Con sentenza 28.9.2012, la corte di appello di Milano ha confermato la sentenza 9.1.09 del
tribunale della stessa sede con la quale Pavento Salvatore, allora responsabile del personale del
comune di Milano, è stato condannato ,previa concessione delle attenuanti generiche
equivalenti ,alla pena di 5 mesi di reclusione,a1 risarcimento dei danni e alla rifusione delle
spese in favore delle partici civili, perché ritenuto colpevole dei reati,uniti dal vincolo della
continuazione, di lesioni e ingiuria in danno dell’impiegata Alabiso Paola e di lesioni in danno
del marito Lamedica Elio.
Il difensore del Pavento ha presentato ricorso per i seguenti motivi :
l .violazione di legge in riferimento agli artt. 120 e 124 c.p. e agli artt. 129 e 529 c.p.p.,vizio di
motivazione in relazione alla sussistenza dell’aggravante ex art. 583 c.p. : la sentenza non ha
data adeguata risposta alle osservazioni critiche sulla sussistenza di un rapporto di causalità tra
le lesioni fisiche cagionate alla Alabiso, giudicate guaribili in gg 5 e la sindrome depressiva
della durata di oltre 40 giorni, sindrome non accertata nel contraddittorio . La conseguente
esclusione dell’aggravante rende improcedibile l’azione penale per difetto di querela, in quanto
Alabiso e Lamedica hanno presentato due separate denuncie, prive di istanza punitiva, in
quanto tale non può essere considerata l’espressione concernente la riserva di adire le vie legali.
La corte di appello , a pag 5, fa riferimento ad una successiva querela del Lamedica, senza
indicare la data della presentazione .
2. mancata assunzione di una prova decisiva in relazione al reato di lesioni in danno di
Lamedica, costituita dalla testimonianza dell’impiegato comunale Mancuso Roberto;
3. vizio di motivazione : i giudici di merito hanno ritenuto irrazionalmente attendibili i testi di
accusa ,nonostante le denunciate contraddizioni rilevate nelle loro dichiarazioni e nonostante
l’accertato risentimento che tutti nutrivano nei confronti del dirigente del personale. Non è stata
riconosciuta credibilità alla teste Pisati, sebbene sia superiore gerarchico della Pavento e degli
altri testi.
4. violazione di legge in riferimento al mancato riconoscimento dell’esimente della accertata
reciprocità della ingiurie Al ricorrente rileva che i reati sono estinti per prescrizione e chiede la
conseguente declaratoria di estinzione dei medesimi .

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di E 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma, 7.11.2013
Il presidente
Il consigliere es
ore.
Alfredo Maria Lombardi
Antonio Bev

d) nel pomeriggio dello stesso giorno, il marito della persona offesa ha chiesto spiegazioni al
Pavento, il quale ha reagito con violenza e la documentazione medica ha attestato le ulteriori
conseguenze patologiche del reiterato comportamento violento dell’imputato.
La credibilità delle persone offese e degli altri testi presenti ai fatti è stata esaminata con specifica
precisione e con razionale esito positivo ai fini della dimostrazione della tesi di accusa, mentre i
giudici di merito hanno razionalmente e insindacabilmente rilevato la non credibilità della teste di
difesa Pisati, la quale ,non solo non è affatto intervenuta durante l’asserita — e risultata indimostrataaggressione attribuita alla Alabisio, ma ha dimostrato la propria partigianeria, avendo promosso
procedimento disciplinare contro la persona offesa, il cui esito è stato poi annullato dal giudice del
lavoro.
Tale ricostruzione dei fatti , totalmente dimostrativa della fondatezza della tesi di accusa, è stata
razionalmente ritenuta non smentita dalla condotta offensiva ,attribuita inizialmente alla donna, in
quanto l’insindacabile esisto dell’istruttoria dibattimentale ha attribuito al Pavento la prima
pronuncia di parole ingiuriose.
Quanto al motivo concernente la mancata assunzione di prova decisiva, si rileva che, ai fini della
configurazione del vizio previsto dall’art. 606 lett. d) c.p.p. , è indispensabile che la prova decisiva
indicata dal ricorrente abbia ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non una prova
dichiarativa di parte (come nel caso della richiesta dell’esame del teste indicato dalla difesa), che
debba essere vagliata unitamente agli altri elementi di prova acquisiti, non per elidere l’efficacia
dimostrativa di questi ultimi, ma per effettuare un confronto , all’esito del quale si prospetta l’
ipotesi di un astratto quadro storico-valutativo, favorevole alla parte ricorrente, da sovrapporre alla
ricostruzione dei fatti e alla valutazione effettuate dai giudici di merito. Si tratta di proposizioni
inammissibili, in quanto tese a provocare le non consentite “rilettura” e rivalutazione delle
emergenze processuali.
Le ulteriori censure sulla procedibilità dell’azione penale sono già state esaurientemente e
convincentemente valutate infondate dal giudice di appello, secondo cui le persone offese hanno
presentate due separati atti di “denuncia/querela”, da esse sottoscritti,presentati alla procura della
Repubblica, dai quali emerge inequivocabilmente la volontà di avviare un accertamento penale,
finalizzato ad ottenere la punizione del responsabile . La corte ha rilevato che comunque il
Lamedica ha presentato ulteriore atto nel termine di legge , contenente una formale richiesta di
punizione.
La manifesta infondatezza dei motivi del ricorso comporta la declaratoria di inammissibilità del
gravame. Va rilevato che,successivamente alla pronuncia della sentenza di appello, è maturato il
termine di prescrizione che non porta però alla declaratoria di estinzione del reato. Secondo un
condivisibile orientamento interpretativo, la inammissibilità, conseguente alla manifesta
infondatezza dei motivi, non consente l’instaurazione , in sede di legittimità, di un valido rapporto
di impugnazione e impedisce di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità ex art. 129 cpp, ivi
compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione (S.U. n.32 del 22.11.2000 rv 217266;. sez.
2, n. 28848 dell’85.5.2013 rv 256463).
Alla declaratoria di inammissibilità del gravame segue la condanna al pagamento delle spese
processuali e della somma di E 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

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