Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9059 del 10/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9059 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: IANNELLI ENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAFARELLI VINCENZO N. IL 24/02/1953
avverso l’ordinanza n. 5286/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
09/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENZO IANNELLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 10/01/2014

Letti gli atti, la ordinanza impugnata, il ricorso; Udita la relazione del cons. Enzo Jannelli;
Udite le conclusioni del S. Procuratore generale, Fulvio Baldi, per il rigetto del ricorso.
-1- Cafarelli Vincenzo, ristretto in custodia cautelare in carcere in forza dell’ ordinanza emessa il
24.6.2013 dal gip del tribunale di Napoli per il delitto di tentata estorsione aggravata in concorso ex
artt.110, 629 comma 2 c.p.e 7 1. n. 203/1991 ai danni del nipote Verdicchio Luigi, ricorre per
cassazione avverso l’ ordinanza del predetto tribunale che, in sede di riesame ed in data 9.7.2013,
confermava il pregresso provvedimento restrittivo.
-2- In breve i fatti come ricostruiti dai giudici di merito: la condotta estorsiva dell’ indagato si
inquadra in un ampio contesto temporale e fattuale che vede la famiglia Verdicchio, titolare di una
importante rl‘commerciale in franchising rifornita dalla società a r.l. M&N, gestita da Verdicchio
Luigi, oggetto danneggiamenti ,mediante l’esplosione di colpi di arma da fuoco, incendi degli
immobili e di mezziktrasporto, dall’ Ottobre 2009 fino al 20.4.2013, a fronte della richiesta, e del
rifiuto della famiglia Verdicchio, tra gli altri, di Verdicchio Luigi, di cedere alla richiesta,
rivoltagli da tale Lai Vittorio nel Novembre- Dicembre 2011, di denaro a favore di persone che,a
dire del Lai, agivano per conto e nell’ interesse della “gente di Marcianise” .In altra occasione
sempre il Lai aveva riferito alla madre della persona offesa che le richieste provenivano dai ”
camorristi di Marcianise”. Il Verdicchio Luigi avrebbe dovuto pagare ogni mese tremila euro. Due
o tre giorni dopo dalle richieste estorsive questi era stato avvicinato dallo zio, per l’appunto
Cafarelli Vincenzo, esercente una attività commerciale in concorrenza con la famiglia Verdicchio,
tra l’altro in posizione conflittuale con la sorella Teresa ,madre della persona offesa: l’imputato
offriva la sua attività di intermediazione presso gli estortori per ridurre l’ importo della richiesta
estorsiva. A fronte della netta posizione dei Verdiglio determinata a non subire il ricatto, i
danneggiamenti e gli incendi, continuavano fino al 20.4.2013.
-3- Quattro le ragioni di doglianza costitutive dei motivi di ricorso che richiamano a sostegno l’ art.
606 comma 1 lett. b) ed e) codice di rito: a) violazione dell’art. 309 ,comma 5 c.p.p. per essere
fondata la motivazione della decisione sulle dichiarazioni rese il 4.5.2013 dalla persona offesa al
P.M., ma il cui relativo verbale non era stato trasmesso,insieme agli atti su cui si fondava l’
ordinanza cautelare, al tribunale della libertà; b) carenza, illogicità e contraddittorietà della
motivazione in ordine agli indizi di colpevolezza. Già la gravità indiziaria verrebbe tratta dai
giudici della cautela dal ruolo di mandante attribuito all’ imputato, mentre il capo di imputazione gli
attribuisce,colpevolizzandola, la condotta consistita nell’ “essersi offerto per far ottenere uno
sconto sui richiesi tre fiori al mese”. Sarebbe non concludente, poi, trarre gli indizi gravi dalle
conversazioni intercettate tra la persona offesa e tale Farina Michele, che indica per l’appunto l’
imputato quale mandante, per essere egli inaffidabile, come inaffidabile sarebbero le dichiarazioni
della persona offesa per avere egli tentato di coprire le responsabilità del Farina, dipendente della
persona offesa alla quale era stato imposto dal predetto Lai Vittorio, in ordine ai continui furti
commessi a suo danno e per aver in un primo tempo escluso il colloquio avuto con lo zio, per poi
ammetterlo successivamente; c) carenza di motivazione in ordine alla contestazione della
aggravante di cui all’ art. 7 1. n, 203/2001, per avere l’ordinanza in un primo passaggio
motivazionale messo in dubbio la finalità dell’ imputato di agevolare l’associazione criminale e
non invece di perseguire l’ interesse personale volto ad ostacolare l’attività commerciale
concorrenziale dei Verdicchio , per poi successivamente recuperare l’attualità della aggravante
sottolineando il metodo mafioso della condotta posta in essere; d) carenza ancora di motivazione in
ordine alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari ricollegate alla personalità dell’ imputato,
gravato solo da un risalente precedente penale costituto dall’emissione di un assegno a vuoto,ed alla
gravità dei fatti, senza considerare la possibilità che quelle esigenze avrebbero potuto essere
contenute con una misura meno afflittiva, quale quella degli arresti domiciliari.
-4- Il ricorso non è fondato e pertanto va rigettato.
La prima ragione di doglianza denuncia la violazione del diritto di difesa la cui tutela normativa è
affidata per l’appunto alla prescrizione dell’art. 309 comma 5 c.p.p. Ma sembra fin troppo chiaro
che alcuna violazione del diritto di difesa, come alcuna trasgressione all’ onere del P.M. di

trasmettere gli atti su cui si fonda la misura cautelare personale può ravvisarsi allorchè quell’ onere
viene adempiuto mediante l’integrale riproduzione del contenuto dei predetti atti nell’ordinanza che
ha disposto la misura cautelare, in quanto, in tal caso, la difesa viene messa nelle condizioni di
avere piena cognizione degli atti posti a base della misura restrittiva (tra le altre, Sez. 5,
15.7/16.11.2011, Minichini, Rv. 251696). Anche la seconda doglianza nella parte in cui segnala la
possibile violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e fatto accertato in
sentenza deve disattendersi: invero non sussiste la violazione del principio come richiamato dalla
difesa qualora l’imputato, cui sia stato contestato di essere l’autore materiale anche solo di una parte
della condotta criminosa, come nel caso di specie, sia riconosciuto responsabile a titolo di concorso
morale, considerato che tale modifica non comporta una trasformazione essenziale del fatto
addebitato, né può provocare menomazioni del diritto di difesa, ponendosi in rapporto di continenza
e non di eterogeneità rispetto alla originaria contestazione. Invero deve in questa sede ribadirsi che
l’accusa di partecipazione materiale al reato necessariamente implica, a differenza di quanto
avverrebbe nell’ipotesi inversa, la contestazione di un concorso morale nella commissione del
reato. Inammissibile poi è la censura nella parte, la seconda, in cui muove critiche meramente di
merito al discorso giustificativo giudiziale: sul piano dei valori della probabilità, propri della fase
investigativa, e non già della certezza processuale,tracimano con evidenza i confini del campo
proprio del discorso di legittimità, isolare l’ intervento dell’ imputato, che subito dopo il fatto
estorsivo, avvicina la persona offesa proponendo la sua intermediazione per ridurre il quantum della
pretesa estorsiva, dal contesto spaziale e temporale complessivo, costituito per l’appunto da un
coacervo significativo di circostanze indizianti: i fatti estorsivi riprendono subito dopo il rifiuto
della persona offesa, l’ “intermediario” ha interesse alla compressione della attività imprenditoriale
della persona, in concorrenza con la propria, una persona informata dei fatti., in chiaro
collegamento con gli estortosi, riferisce dei collegamenti mafiosi dell’ imputato con i promotori
e/o esecutori degli estortori. Il che consente di ribadire la correttezza del discorso dei giudici di
merito in merito alla attualità dell’aggravante contestata del metodo mafioso configurato e
caratterizzante la condotta dell’ imputato:condotta oggettivamente idonea ad esercitare sulla vittima
del reato, con il richiamare il suo collegamento con l’ associazione camorristica a cui si
ricollegavano gli attentati, la particolare coartazione psicologica evocata dall’ art. 7, legge n. 203
del 1991. Decisamente poi inammissibile è 1′ ultima doglianza funzionale a prospettare la
possibilità di una misura restrittiva meno afflittiva in correlazione con la ritenuta minore gravità del
fatto contestato: invero allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza della gravità degli indizi
di colpevolezza per i suoi riflessi sulla misura in concreto da adottare, alla Corte suprema spetta
solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti
che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che
l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la
congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. E
proprio in base ad una valutazione che segnala la vicinanza dell’ imputato ad esponenti della
criminalità organizzata, l’ indole del predetto giudicata particolarmente aggressiva verso persone a
cui lo legano ben stringenti vincoli familiari i giudici di merito hanno ritenuto, a fronte di un
evidente pericolo di recidiva, quel pericolo non arginabile se non con la restrizione carceraria.
Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo
ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali .Si provveda
norma dell’art. 94 comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma l’ 8.1.2014

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