Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9046 del 10/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9046 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
DETTORI TIZIANA nata il 04/08/1962, avverso la sentenza del
15/04/2013 della Corte di Appello di Cagliari;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Fulvio Baldi che ha
concluso per l’inammissibilità;
udito il difensore avv.to Marco Fausto Piras che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;
FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza del 15/04/2013, la Corte di Appello di Cagliari
confermava la sentenza con la quale, in data 02/04/2009, il giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale della medesima città, aveva
ritenuto DETTORI Tiziana colpevole del reato di truffa aggravata perché,
pur risultando presente al lavoro nei giorni 12 – 13 e 14 del settembre
2009, secondo il sistema di rilievo automatico installato in ufficio
mediante badge, si accertava che non era in Sardegna.

Data Udienza: 10/01/2014

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputata, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti
motivi:
2.1. VIOLAZIONE DELL’ART. 110 COD. PEN. per avere entrambi i giudici

concorso con altra persona rimasta sconosciuta «senza che tuttavia
venga svolta alcuna argomentazione in sentenza e nessuna attività
investigativa sia stata espletata o tentata» in relazione alla circostanza,
più volta denunciata, che l’imputata, presso il suo ufficio, a più riprese
aveva subito furti e telefonate minatorie.
2.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 640 COD. PEN. per non avere la Corte
adeguatamente motivato in ordine all’elemento psicologico del reato,
tanto più che il danno subito dall’Amministrazione era stato quantificato
in soli C 122,03 ossia una somma talmente esigua da risultare
economicamente non apprezzabile, e, comunque, puntualmente
recuperata. Era stata la stessa Corte, peraltro, a sostenere che la
Dettori, incensurata «commise il reato per leggerezza in un periodo
particolarmente tribolato della sua vita».
2.3. MOTIVAZIONE MANIFESTAMENTE ILLOGICA nella parte in cui dalla
lettura della sentenza impugnata non era possibile ricavare ogni oltre
ragionevole dubbio la penale responsabilità della Dettori in ordine al
reato ascrittole e cioè per non avere adeguatamente confutato la tesi
difensiva da essa dedotta che non poteva dirsi smentita anche perché
non era stata disposta una perizia grafologica la quale avrebbe
permesso di individuare l’autore della lettera anonima che indicava la
Dettori quale colpevole del delitto di truffa.

3. Il ricorso è manifestamente infondato e, quindi inammissibile.
Il fatto materiale è pacifico ed incontestato.
La tesi difensiva della ricorrente ruota tutta intorno al seguente
argomento: 2einon aveva richiesto il congedo ordinario per quei giorni
facendo affidamento sulla prassi dell’ufficio per cui era possibile
assentarsi e regolarizzare in seguito la propria posizione presentando

2

di merito ritenuto che il reato fosse stato commesso dall’imputata in

domanda di ferie. In considerazione della suddetta prassi, pertanto, int
non aveva timbrato il cartellino né il martedì pomeriggio né il mercoledì,
sicchè, poichè lasciava il badge nella sua scrivania i cui cassetti non
potevano essere chiusi

«qualcuno aveva voluto commettere una

calunnia reale ai suoi danni, sapendo della sua assenza, simulandone la

La suddetta tesi difensiva – sulla quale sono sostanzialmente
impostati i motivi sub 1 e 3 – è stata ampiamente presa in esame da
entrambi i giudici di merito i quali, con sentenze accuratissime e
minuziose, l’hanno confutata punto per punto, sicchè non si vede
proprio in cosa dovrebbe ravvisarsi il vizio motivazionale dedotto invero in modo generico – in questa sede.
Di poco momento deve ritenersi, infine, anche la pretesa mancata
motivazione in ordine all’elemento psicologico atteso che le frasi
estrapolate dalla motivazione non indicano affatto che l’imputata non
fosse consapevole di violare la norma penale; né è ipotizzabile un reato
impossibile, sotto il profilo della mancanza dell’elemento oggettivo del
danno, perché, come ammette la stessa ricorrente, un danno, seppure
minimo la Pubblica Amministrazione lo subì.

4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a
norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in C 1.000,00.
P.Q.M.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e
CONDANNA
la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

3

presenza in ufficio e poi presentando l’esposto anonimo».

Roma 10/01/2014
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IL CONSIGLIERE S

DENTE

(Dott. Secon• Libero Carmenini)
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(Dott. G. Ra

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