Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9043 del 27/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9043 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: FIALE ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) ROSSI GINESIO N. IL 04/06/1978
2) ROSSI EMMA N. IL 07/04/1985
3) CIPOLLA ALESSANDRA N. IL 30/08/1988
4) MIGLIORI ROBERTA N. IL 30/08/1979
5) ROSSI MARIO N. IL 30/05/1959
avverso l’ordinanza n. 3/2012 TRIB. LIBERTA’ di LATINA, del
19/01/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
lege/sentite le conclusioni del PG Dott. m i”40 fpipernto
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Uditi difensor Avv44
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Data Udienza: 27/11/2012

RITENUTO IN FATI-0

del Tribunale di Latina, con provvedimento del 19.12.2011, disponeva Il
ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen. e dell’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre
2007, n. 244 (Legge finanziaria 2008) – il sequestro “per equivalente” di beni immobili e
mobili registrati appartenenti a Rossi Ginesio, Rossi Emma, Cipolla Alessandra,
Migliori Roberta e Rossi Mario, fino alla concorrenza dell’importo di euro 505.962,31,
ritenendoli tutti nella disponibilità di Rossi Ginesio e Rossi Mario (rispettivamente
amministratore di diritto e di fatto della sr.!. “EDIL C.A.R.M.”) e correlando l’applicazione
della misura a condotte illecite a questi ultimi contestate in relazione al delitto di cui
all’art. 4 del d.Lgs. n. 74/2000 (dichiarazioni infedeli dirette ad evadere le imposte
societarie sui redditi e sul valore aggiunto relative agli anni 2008 e 2009).
Sull’istanza di riesame avanzata nell’interesse dei due indagati e dei formali
intestatari dei beni sequestrati, il Tribunale di Latina ha confermato il provvedimento di
sequestro con ordinanza del 19 gennaio 2012.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame hanno proposto ricorso congiunto
per cassazione i difensori degli indagati e dei formali intestatari dei beni, i quali hanno
eccepito:
— la inconfigurabilità del fumus del reato ipotizzato, che sarebbe stato riconnesso
soltanto all’accertamento induttivo della Guardia di Finanza, così utilizzandosi
illegittimamente in ambito penale la presunzione tributaria di cui all’art. 32 del d.P.R. n.
600/1973 in una vicenda nella quale non sarebbe emersa l’irregolare tenuta della
contabilità. Gli interessati, in ogni caso, avrebbero fornito una prova idonea a vincere la
presunzione tributaria, seppure con i limiti probatori propri della fase cautelare,
dimostrando la provenienza della ricchezza sequestrata dalla vendita di beni di famiglia;
— la illegittimità del sequestro dei beni personali di soggetti terzi in carenza della
dimostrazione che quei beni fossero nella disponibilità dei due indagati ed oggetto di
intestazioni fittizie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
2. I giudici del riesame – a giudizio del Collegio – correttamente hanno ravvisato
la sussistenza del fumus delicti del reato di cui all’art. 4 del d.Lgs. n. 74 del 2000
(dichiarazione infedele), valutando gli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza e
tenendo compiutamente conto delle contrarle deduzioni difensive.
Secondo gli accertamenti fiscali elementi attivi per un ammontare di gran lunga
inferiore a quello effettivo sono stati indicati nelle dichiarazioni prodotte dalla s.r.i. “EDIL
C.A.R.M.” ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (con superamento
congiunto delle soglie di punibilità già poste dallo stesso art. 4 anteriormente alle
modifiche aggravatrici ad esso apportate dalla legge 14.9.2011, n. 148).
3. La verifica fiscale risulta correlata alle seguenti emergenze fattuali e
considerazioni:
Gineslo Rossi è amministratore di diritto e rappresentante legale della s.r.i. “EDIL
C.A.R.M.”; egli non ha altre fonti di reddito se non quella riferibile all’attività della
società.
— Mario Rossi, che di fatto ha gestito la società, è il padre di Ginesio: egli non risulta
avere fonti di reddito lecite e, per gli anni 2008 e 2009, non ha presentato alcuna
dichiarazione dei redditi; tuttavia ha conti correnti bancari intestati alla sua persona ed
ha introitato due bonifici effettuati dal figlio per i rispettivi importi di euro 40.000,00 e
92.740,52.

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– Emma Rossi è figlia di Mario e sorella di Ginesio: ha percepito un modesto stipendio
erogatole dal Comune di Terracina, ma risulta intestataria di numerosi veicoli, anche di
grossa cilindrata, acquistati tra il 2005 e il 2010; è delegata ad operare sui conti correnti
della s.r.l. “EDIL C.A.R.M.”, su quelli del fratello e del padre e su un conto corrente
intestato alla cooperativa sociale “Mare”, costituita nel marzo 2011 al solo fine di
acquistare il ramo d’azienda della “EDIL C.A.R.M.” preposto allo svolgimento dell’attività
di costruzione, manutenzione e ristrutturazione di edifici civili ed industriali.
— Roberta Migliori è convivente di Mario Rossi: ha beneficiato di bonifici eseguiti in suo
favore da Ginesio ed è priva di capacità contributiva nonostante abbia propri conti
correnti bancari e risulti proprietaria di un’autovettura di grossa cilindrata acquistata nel
2010, di due unità immobiliari nel Comune di Terracina, acquistate nell’aprile del 2009, e
di due terreni acquistati nel 2010 e nel 2011; è la rappresentante legale della cooperativa
sociale “Mare” che ha acquistato il ramo d’azienda della “EDIL C.A.R.M.” dianzi indicato
con sostanziale finalità liquidatoria della “EDIL C.A.R.M.”.
— Alessandra Cipolla negli anni 2008 e 2009 non ha dichiarato alcun reddito. Ella però,
nel 2008, ha acquistato due unità immobiliari in Latina ed altra unità immobiliare nonché
un terreno in Terracina. Aveva la delega ad operare su un conto corrente intestato a
Ginesio Rossi, dal quale nel gennaio del 2008 sono stati tratti in suo favore due bonifici di
euro 5.000,00 ciascuno. Documenti e visure catastali relative alle unità immobiliari
acquistate in Latina sono stati rinvenuti presso la sede della “EDIL C.A.R.M.” e presso
detta sede veniva anche spedita la corrispondenza condominiale.
La Guardia di Finanza ha considerato che i soggetti anzidetti sostanzialmente non
avevano fonti di reddito diverse ed ulteriori rispetto a quelle costituite dai proventi della
società “EDIL C.A.R.M.”.
Ha ritenuto, pertanto, che le somme di denaro transitate sui conti correnti ad essi
intestati provenissero dalla società in verifica e costituissero ricavi di quest’ultima, sicché
per la ricostruzione dell’attivo sodetario ha conteggiato anche gli accrediti e gli addebiti
registrati sui rispettivi conti personali e privi di giustificazione contabile (oltre a quelli
riferiti ai conti correnti della società), senza tenere conto delle c.d. “operazioni neutre”
(quali giroconti, interessi, bolli ed in generale operazioni costituenti meri spostamenti
finanziari non comportanti variazione reale della disponibilità economica).
Al fini del computo ha utilizzato, in sostanza, la presunzione tributarla di cui all’art.
32, 1° comma – n. 2, del d.P.R. n. 600/1973.
4. La giurisprudenza di questa Corte – con riferimento alla configurabilità del reato
di cui all’art. 4 del d.Lgs. n. 74/2000 ed alla individuazione della relativa soglia di
punibilità – ha affermato che:
— per imposta evasa deve intendersi l’intero tributo effettivamente dovuto, che va
correlato al risultato economico conseguito e deve essere determinato – sulla base delle
risultanze probatorie acquisite nel processo penale – dalla contrapposizione dei ricavi e
dei costi d’esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato
fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formali che caratterizzano
l’ordinamento tributario.
In particolare – secondo Cass.: 27.9.2010, n. 34871 e 28.5.2008, n. 21213 – “incombe
esclusivamente sul giudice penale il compito di procedere, al fine di verificare l’avvenuto
o meno superamento della soglia di punibilità, all’accertamento e quindi alla
determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può
venire a sovrapporsi ed anche entrare In contraddizione con quella eventualmente
effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale
tributaria”;
— in tema di reati tributari, non può farsi ricorso alla presunzione tributaria secondo cui
tutti gli accrediti registrati sul conto corrente si considerano ricavi dell’azienda (art. 32,
1° comma, del d.P.R. n. 600/1973), in quanto spetta al giudice penale la determinazione
dell’ammontare dell’imposta evasa procedendo d’ufficio al necessari accertamenti,
eventualmente mediante il ricorso a presunzioni di fatto (vedi Cass.: 6.2.2009, n. 5490 e
4.10.2011, n. 35858);
2

5. Quanto poi al secondo motivo di ricorso, ribadisce il Collegio l’orientamento già
espresso da questa Corte, secondo il quale deve sicuramente ammettersi la possibilità di
sottoporre a sequestro ‘per equivalente” beni formalmente intestati ad un soggetto al
quale non sono mossi addebiti in quanto si ritengo che l’intestazione sia fittizia e la
proprietà effettiva faccia capo piuttosto a chi è indagato.
In questi casi, nella fase cautelare del sequestro, l’intestazione fittizia deve
palesarsi in termini non di certezza ma di qualificata probabilità (vedi Cass., Sez. V,
20.12.2000, Butti).
Una siffatta valutazione deve ritenersi essere stata sufficientemente effettuata
nella fattispecie in esame, ove il Tribunale ha illustrato, con riguardo alle posizioni dei
singoli soggetti considerati, gli elementi Indiziari ritenuti idonei [pur sempre allo stato
attuale delle indagini] a configurare la riconducibilità alla s.r.l. “EDIL C.A.R.M.” di beni
aventi una diversa intestazione formale.
La difesa ha fatto riferimento a tre vendite immobiliari effettuate da Ginesio Rossi
negli anni 2005, 2007 e 2008, assumendo che quegli avesse conseguentemente
effettuato donazioni in danaro ai propri congiunti: il Tribunale, però, ha rilevato che di tali
donazioni non è stata rinvenuta alcuna traccia documentale ed un quadro dimostrativo
più consistente neppure è stato delineato in ricorso.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
ROMA, 27.11.2012
Il Consigliere rei

Il

sidente

— il giudice penale, comunque, può utilizzare legittimamente i verbali di constatazione
redatti dalla Guardia di Finanza ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta
evasa, nonché ricorrere all’accertamento induttivo di cui all’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973
quando le scritture contabili imposte dalla legge non siano state tenute o siano state
Irregolarmente tenute. I delitti tributari, infatti, sono reati che comprendono nell’ambito
della fattispecie astratta alcuni elementi appartenenti alla legislazione tributaria, che
vanno recepiti senza che essi possano mutare significato e contenuto. A fronte di una
contabilità irregolare il reddito evaso, per ovvie ragioni, non può essere ricavato in via
meramente aritmetica, mentre gli indici presuntivi tributari consentono di risalire,
attraverso un ragionamento induttivo, dal particolare accertato al complessivo imponibile
desunto da tali elementi di presunzione (vedi Cass., 15.7.2011, n. 28053).
4.1 Tenuto conto degli anzidetti orientamenti giurisprudenziali, il Collegio
ribadisce il principio (già affermato da Cass., Sez. III, 28.6.2012, Zedda) secondo il quale
l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello tributario non esclude che, ai fini
della formazione del suo convincimento, il giudice penale possa avvalersi degli stessi
elementi che determinano presunzioni secondo la disciplina tributaria, a condizione che
gli stessi siano assunti non con l’efficacia di certezza legale, ma come dati processuali
oggetto di libera valutazione ai fini probatori.
Ciò sl è verificato nella fattispecie in esame, ove – a fronte di una contabilità
societaria che la Guardia di Finanza ha considerato incompleta e non regolare – gli
elementi indiziari sono stati tratti anche dalle movimentazioni sui conti correnti bancari
intestati ai ricorrenti attraverso il ricorso a presunzioni di fatto sia pure valutate con i
limiti propri del procedimento incidentale.

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