Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9040 del 27/11/2012


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Penale Ord. Sez. 3 Num. 9040 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: FIALE ALDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) ORLANDO MILENA N. IL 09/07/1972
avverso l’ordinanza n. 222/2005 TRIB.SEZ.DIST. di CASARANO, del
26/09/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
lette/s~,c,le conclusioni del PG Dott. 6 1~1,4, xlvIILL

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Data Udienza: 27/11/2012

RITENUTO IN FATTO

Nella fase esecutiva il P.M. competente ha ingiunto alla condannata la
demolizione, ma ella non vi ha ottemperato ed ha promosso incidente di esecuzione,
prospettando di avere presentato richiesta di ‘condono edilizio” ex lege n. 326/2003
nonché domanda di sanatoria straordinaria dell’Illecito paesaggistico in applicazione della
legge n. 308/2004.
Il Tribunale di Lecce – Sezione distaccata di Casarano, quale giudice
dell’esecuzione, all’esito del procedimento in camera di consiglio di cui all’art. 666, commi
30 e 4°, cod. proc. pen., con ordinanza del 26.9.2011, ha rigettato l’istanza sui rilievi
che:
— le opere abusive realizzate non sono condonabili, perché insistenti in una zona
sottoposta a vincolo paesaggistico, non potendo riconoscersi effetti, ai fini che qui
interessano, al c.d. “condono paesaggistico” introdotto dal comma 37 dell’unico articolo
della legge n. 308/2004;
— dagli accertamenti di fatto effettuati dai giudici del merito si evince, inoltre, un
ulteriore profilo di incondonabilità delle opere medesime, In quanto esse non possono
ritenersi ultimate entro il termine legislativamente previsto del 31.3.2003.
Avverso tale ordinanza l’interessata ha proposto ricorso, ribadendo
sostanzialmente le prospettazioni già proposte al giudice dell’esecuzione (un precedente
analogo ricorso risulta rigettato, inoltre, da questa Corte con sentenza del 14.7.2011).
CONSIDERATO IN DIRITTO
L. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, poiché manifestamente
infondato. Esso, inoltre, esplicita censure che sostanzialmente costituiscono mera
reiterazione dell’istanza rivolta al giudice dell’esecuzione.
2, Non vi è dubbio che la presentazione di una domanda di condono edilizio,
accompagnata dal versamento dell’oblazione autodeterminata, possa determinare, nella
fase esecutiva, la sospensione dell’attuazione concreta dell’ordine di demolizione.
Il rilascio della concessione sanante, invero, dopo il passaggio in giudicato della sentenza
di condanna, mentre non ha effetto estintivo dei reati e delle pene (rendendo operanti,
rispetto ad essi, soltanto i particolari effetti di cui all’art. 38, 3 0 comma, della legge n.
47/1985), può comportare invece l’inapplicabilità ed anche la revoca dell’ordine di
demolizione disposto ai sensi dell’art. 31, 9 0 comma, del T.U. n. 380/2001 [vedi Cass.:
Sez. IV, 12.11.2002, n. 37984, Mortillaro; Sez. III: 4.2.2000, n. 3683, P.M. in proc.
Basile; 29.7.1998, n. 1854, Caffaro; 20.6.1997, n. 2475, Coppola; 20.6.1997, n. 2474,
Morello; 20.6.1997, n.2472, Filieri; 28.11.1996, Ilardi. Decisioni tutte conformi alla
motivazione della sentenza delle Sezioni Unite 24.7.1996, ric. P.M. in proc. Monterisi].
Questa Corte Suprema ha evidenziato, in proposito, che l’ordine di demolizione in
oggetto, pur costituendo una statuizione sanzionatoria giurisdizionale (che,
conseguentemente, deve essere eseguita dal giudice), ha natura amministrativa e non è
suscettibile di passare in giudicato, essendo sempre possibile la sua revoca quando risulti
assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbia
conferito all’immobile altra destinazione o abbia provveduto alla sua sanatoria.
3. Nella fattispecie in esame, però, quanto alla ritenuta inapplicabilità della
normativa di “condono edilizio” posta dall’art. 32 del D.L. n. 269/2003, deve rilevarsi che

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Orlando Milena è stata condannata – per reati edilizi perpetrati in zona
sottoposta a vincolo paesaggistico – con sentenza del 14.2.2006 del Tribunale di Lecce Sezione distaccata di Casarano, avente autorità di cosa giudicata dal 23.12.2007.
Con la stessa sentenza è stata ordinata la demolizione delle opere abusive, ai
sensi dell’art. 31, 9 0 comma, del T.U. n. 380/2001.

– secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema – spetta al giudice penale
verificare la sussistenza del presupposti affinché detta normativa possa essere applicata.
Nell’ambito di tale potere di controllo, il giudice deve accertare:
– il tipo di intervento realizzato e le dimensioni volumetriche dell’immobile;
– la “ultimazione” dei lavori (secondo la nozione fornita dall’art. 31 della legge n.
47/1985) entro il termine previsto;
– la tempestività della presentazione, da parte dell’imputato (o di eventuali altri soggetti
legittimati) di una domanda di sanatoria riferita puntualmente alle opere abusive
contestate nel capo di imputazione;
– l’avvenuto “integrale versamento” della somma dovuta ai fini dell’oblazione, ritenuta
congrua dall’Amministrazione comunale.
Trattasi di compiti propri dell’autorità giurisdizionale – conformi al dettato degli
artt. 101, 2° comma, 102, 104, 1° comma, e 112 Cost. – che non possono essere
demandati neppure con legge ordinaria all’autorità amministrativa in un corretto rapporto
delle sfere specifiche di attribuzione.
Il giudice dell’esecuzione penale, nell’eventualità in cui i presupposti anzidetti (o
anche uno solo di essi) siano inesistenti, deve dichiarare non integrata la fattispecie
comportante l’inapplicabilità (ovvero la revoca) dell’ordine di demolizione disposto ai
sensi dell’art. 31, 9 0 comma, del T.U. n. 380/20017 ed adottare le conseguenti
determinazioni.
3.1 Nella vicenda che ci occupa si vede in ipotesi di opera abusiva non
suscettibile di sanatorla, ai sensi dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003, poiché:
— si tratta di nuova costruzione realizzata, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area
assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici (ipotesi esclusa dal
condono dal comma 26, lett. a) [vedi, tra le molteplici decisioni in tal senso, Cass., Sez.
III: 12.1.2007, n. 6431, Sicignano (con ampia confutazione delle divergenti posizioni
dottrinaria. integralmente condivisa da questo Collegio); 5.4.2005, n. 12577, Ricci;
1.10.2004, n. 38694, Canu; 24.9.2004, n. 37865, Musio. Vedi pure, in relazione ai
pretesi profili di illegittimità costituzionale della interpretazione anzidetta, l’ordinanza di
manifesta inammissibilità della Corte Costituzionale n. 150 del 22.4 – 45.20091;
— risulta accertato inoltre dai giudici del merito, in punto di fatto, che solo in data
17.4.2003 (eccedente il termine ultimo di “condonabilità” fissato dalla legge al
31.3.2003) venne realizzata la copertura del manufatto abusivo.
Con deduzioni logiche e corrette, dunque, nell’ordinanza impugnata è stata
affermata l’incondonabilità dell’opera illecita.
Quanto poi al c.d. “condono paesaggistico” – introdotto dal comma 37
dell’unico articolo della legge n. 308/2004 ed applicabile ai reati paesaggistici compiuti
entro e non oltre il 30 settembre 2004 – deve rilevarsi che, alla stregua di tale
disposizione, l’autore dell’illecito paesaggistico – dopo avere provveduto al pagamento
della sanzione pecuniaria di cui all’art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004, maggiorata da un
terzo alla metà, ed a quello di una sanzione pecuniaria aggiuntiva, determinata,
dall’autorità amministrativa competente, tra un minimo di 3.000,00 euro ed un massimo
di 50.000,00 euro – beneficla dell’estinzione del reato di cui all’art. 181 del D.Lgs. n.
42/2004 e di “ogni altro reato in materia paesaggistica”.
La procedura è legislativamente delineata in termini estremamente scarni, in
quanto viene previsto soltanto che il proprietario, il possessore o il detentore a qualsiasi
titolo dell’immobile o dell’area interessati all’intervento, devono presentare la domanda
per l’accertamento della “compatibilità paesaggistica” dei lavori eseguiti all’autorità
preposta alla gestione del vincolo e che tale autorità deve pronunciarsi previo parere
della Soprintendenza.
Le disposizioni in esame non prevedono, inoltre, la sospensione del procedimento
penale per il tempo correlato all’esaurimento della procedura e non hanno alcun
collegamento con la normativa del condono edilizio di cui al D.L. n. 269/2003, che
continua a trovare i limiti dianzi enunciati in relazione agli abusi commessi in zona
vincolata.

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5. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale, deve
rilevarsi che non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, sicché, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., a detta declaratoria consegue l’onere del pagamento
delle spese processuall, nonché del versamento di una somma, in favore della Cassa delle
ammende, equitativamente fissata nella misura di euro 1.000,00 In ragione dei motivi
dedotti.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese dei
procedimento ed al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
ROMA, 27.11.2012.

P.Q.M.

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