Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9040 del 10/01/2014
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9040 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: RAGO GEPPINO
SENTENZA
su ricorso proposto da:
SCANNAPIECO CARMINE nato il 11/12/1960, avverso la sentenza del
15/10/2012 della Corte di Appello di Salerno;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Fulvio Baldi che ha
concluso per il rigetto;
FATTO
1. Con sentenza del 15/10/2012, la Corte di Appello di Salerno
confermava la sentenza pronunciata in data 30/01/2012 dal giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale della medesima città nella parte in
cui aveva ritenuto SCANNAPIECO Carmine colpevole dei reati di usura
aggravata ai sensi dell’art. 644/5 n° 3-4 cod. pen. ed estorsione
aggravata ex art. 61 n° 2 cod. pen. ai danni di Consalvo Germano.
2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, in proprio, ha
proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:
Data Udienza: 10/01/2014
2.1. MANIFESTA ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE per avere la Corte
ritenuto la responsabilità di esso ricorrente in ordine al reato di usura
nonostante la mancanza di prove; le dichiarazioni della parte offesa non
avessero trovato alcun riscontro; la valutazione del CTU fosse
puramente ipotetica;
che esso ricorrente avesse commesso sia il reato di usura che quello di
estorsione, laddove, al più, avrebbe potuto essere configurabile il solo
reato di usura in quanto «se minaccia vi è stata, è stata esternata
nell’immediatezza del prestito e non già in un momento successivo […]
ed era finalizzata alla conclusione dell’accordo, e, pertanto, costituisce
una modalità di attuazione del delitto di usura»;
2.3. VIOLAZIONE DELL’ART. 62 BIS COD. PEN. per non avere la Corte
concesso le attenuanti generiche;
2.4. VIOLAZIONE DELL’ART. 644/5 N° 3 – 4 COD. PEN. per avere la Corte
ritenuto che il Consalvo si trovasse in stato di bisogno e che fosse un
imprenditore laddove nessuna prova, né sullo stato di bisogno né
sull’attività imprenditoriale, era stata fornita.
DIRITTO
1. Il ricorso, nei termini in cui le doglianze sono state dedotte, è
manifestamente infondato.
2.
Quanto
alla
manifesta
illogicità
della
motivazione,
contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, la Corte ha
ampiamente motivato sulla sussistenza di entrambi i reati contestati. In
particolare, a pag. 10 della sentenza, ha disatteso la doglianza con la
quale l’imputato aveva sostenuto che il materiale probatorio fosse
insufficiente.
Trattasi della medesima censura riproposta, alla lettera, in questa
sede (cfr pag. 5 sentenza di appello in cui vengono illustrati i motivi di
gravame con il primo motivo di ricorso), sicchè, la doglianza, essendo
meramente reiterativa e di puro merito, va dichiarata inammissibile:
2
2.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 81 COD. PEN. per avere la Corte ritenuto
infatti, le censure riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute
null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di
legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già
ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con
motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati
3.
Quanto alla doglianza in ordine all’insussistenza del reato di
estorsione, la Corte ha ampiamente chiarito, in punto di fatto, le ragioni
per le quali il suddetto reato doveva ritenersi integro sotto tutti gli
aspetti (pag. 8 ss): di conseguenza, la censura, essendo meramente
reiterativa e basata su puri elementi di fatto, peraltro smentiti da
entrambi i giudici di merito, va ritenuta inammissibile. Corretta deve
ritenersi
anche
la
qualificazione giuridica
alla
stregua
della
giurisprudenza di questa Corte (Cass. 6918/2011 riv 249399).
4.
Quanto alla censura in ordine all’insussistenza delle aggravanti
di cui all’art. 644/5 n° 2-3 cod. pen. è sufficiente il rinvio a pag. 9 della
sentenza impugnata dove la Corte chiarisce, anche alla stregua della
consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass.
12791/2012 riv 255357), che il tasso praticato era di natura usuraria.
Generica è la censura in ordine alla mancata prova sull’attività
imprenditoriale del Cosalvo (agente di commercio che si occupava della
vendita di infissi) che la Corte dà per pacifica ed incontestata (cfr pag.
3).
5.
Quanto, infine, alla doglianza in ordine alla mancata
concessione delle attenuanti generiche, la motivazione addotta sul punto
dalla Corte territoriale a pag. 11 deve ritenersi ampia, congrua e logica
e, quindi, non censurabile in questa sede di legittimità, essendo stato
correttamente esercitato il potere discrezionale spettante al giudice di
merito in ordine al trattamento sanzionatorio ed al diniego delle
attenuanti generiche atteso che la Corte ha anche motivato in ordine ai
pretesi elementi a favore dell’imputato (formalmente incensurato).
3
elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.
6. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a
norma dell’art. 606/3 cod.proc.pen., per manifesta infondatezza: alla
relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616
cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende
ricorso, si determina equitativamente in C 1.000,00.
P.Q.M.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e
CONDANNA
Il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 10/01/2014
di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal