Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9038 del 20/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9038 Anno 2013
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Micheletti Giuseppe Giovanni, nato a Staiti, 1’11.10.56

avverso la ordinanza del Tribunale di Messina del 19.10.11

Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Visto il parere scritto del P.G. che ha concluso per un annullamento con rinvio
limitatamente alla determinazione della pena finale con riferimento all’art. 78 c.p.;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Decidendo in sede di esecuzione,
il Tribunale, con il provvedimento qui impugnato ha determinato la pena da irrogare a
Micheletti Giuseppe Giovanni in misura pari a:
– anni ventinove di reclusione (per i reati di cui ai capi 2 e 54-144, giudicati con la sentenza della Corte
d’Assise d’appello di Milano del 14.2.00);

Data Udienza: 20/11/2012

- anni sette di reclusione (peri reati di cui ai capi a, b, c, d ed e, giudicati con la sentenza della Corte d’Assise
d’appello di Palermo del 6.6.03, quale aumento in continuazione rispetto al più grave reato di cui al capo 2 giudicato
con la sentenza della Corte d’Assise d’appello di Milano del 14.2.00);
– anni due e mesi otto di reclusione (per i reati residui di cui ai capi al, b ed f giudicati con la sentenza del
Tribunale di Milano del 17.7.09, quale aumento in continuazione rispetto al più grave reato di cui al capo 2 giudicato
con la sentenza della Corte d’Assise d’appello di Milano del 14.2.00);
– anni sffitte di reclusione per i reati di cui ai capi cl e c7 (giudicati con la sentenza del Tribunale di Messina del
28.9.10, quale aumento in continuazione rispetto al più grave reato di cui al capo 2 giudicato con la sentenza della
Corte d’Assise d’appello di Milano del 14.2.00).

Con istanza depositata il 16.2.11 Micheletti Giuseppe Giovanni aveva chiesto la revoca
della esecuzione delle sentenze, divenute irrevocabili, della Corte di Assise di appello di Milano
in data 14,2.00 e del Tribunale di Milano in data 17.7,09 relativamente alla condanna per il
reato associativo ex art. 74 del DPR n. 309/90, assumendo che il fatto di cui a detta
contestazione coincideva con quello per il quale il Micheletti era stato condannato dal Tribunale
di Messina con sentenza del 28.9.10, anche essa divenuta irrevocabile, con la conseguente
necessità, ex art. 669 c.p.p., di disporre l’esecuzione della sola condanna meno grave inflitta
con tale ultima sentenza.
Con successiva istanza del 14.3.11, la difesa del Micheletti aveva sostenuto che pure il
reato associativo finalizzato al traffico di stupefacenti di cui alla sentenza di condanna della
Corte appello di Palermo in data 6 6.03 – anche essa divenuta, medio tempore, irrevocabile
– coincideva con i fatti di cui alle già citate sentenze.
Con la ordinanza qui impugnata, il Tribunale di Messina, quale giudice dell’esecuzione,
ha accolto la richiesta di revoca della sentenza del Tribunale di Milano in data 17.7.09,
relativamente al reato associativo ed ha, però, rigettato l’analoga istanza diretta ad ottenere la
revoca della esecuzione delle condanne inflitte con le sentenza della Corte di Assise di appello
di Milano in data 14.2.00 e della Corte di appello di Palermo del 6.6.03. Nell’occasione, il
Tribunale ha applicato la disciplina della continuazione tra le condanne di cui alle predette
sentenze (con riferimento a quella del Tribunale di Milano, limitatamente ai reati diversi da quello associativo), ed
ha rideterminato, conseguentemente, le pene, per i vari reati.

2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, il condannato ed il suo difensore hanno
proposto ricorso deducendo:
Micheletti

2.1. violazione di leage e vizi di motivazione. Secondo il ricorrente, infatti,
l’ordinanza impugnata, richiamando due precedenti pronunce – rispettivamente della Corte di
appello di Palermo del 2004 e del Tribunale di Brescia del 2007 – ha fatto riferimento a
provvedimenti che avevano ad oggetto richieste diverse da quelle formulate nel presente
procedimento con un sostanziale fraintendimento del getitum e conseguente assenza
motivazione.
Vi sarebbe, poi, carenza assoluta di motivazione in ordine al rigetto dell’istanza,
presentata dal Micheletti in data 23.9.11, con la quale si chiedeva il riconoscimento di alcuni
presofferti ex art. 657 c.p.p..
L’ordinanza, infine, sarebbe errata nei punti relativi al trattamento sanzionatorio
complessivo, essendo stati determinati aumenti di pena, per la continuazione, maggiori di
quelli previsti dalle originarie sentenze.
Il difensore
2.2. Violazione degli art. 74 del DPR n. 309/90. 669 c,p.p., nonché mancanza ed
illogicità della motivazione.
In sintesi, si denuncia il vizio logico della motivazione dell’ordinanza per avere effettuato,
ai fini dell’accertamento del vincolo della continuazione, la comparazione tra le imputazioni così come contestate nelle varie sentenze – senza tener conto degli accertamenti di fatto che

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Con il medesimo provvedimento, il Tribunale ha applicato l’indulto in misura pari ad un
anno ed undici mesi di reclusione sull’aumento di pena, a titolo di continuazione stabilito in
anni sette di reclusione per i reati di cui alla sentenza del Tribunale di Messina del 28.9.10.

e

2.3. violazione degli art. 78 e 81 C.P., nonché mancanza ed illogicità della
motivazione.
Si sostiene, infatti, che, nella rideterminazione della pena, in applicazione del criterio del
cumulo giuridico, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto tener conto del limite di trenta anni
che la pena complessivamente inflitta non poteva superare, con la conseguenza che il
Tribunale avrebbe dovuto determinare la pena in anni trenta di reclusione, applicando su tale
pena la diminuzione per l’indulto, e non limitarsi a indicare i singoli aumenti di pena per la
continuazione anche oltre detto limite.
2.4. vlojazione degli art. t31 c,p- 442 c.p.P., norIché mancanza o illockità della
motivazione.
Alcuni dei reati di cui alle pronunce di condanna erano stati giudicati con il rito abbreviato
ed altri con il rito ordinario. Pertanto, sulla pena complessivamente rideterminata per il reato
continuato, avrebbe dovuto essere applicata la riduzione di un terzo ex art. 442 c.p.p..

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Motivi della decisione – Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.
Va, innanzitutto, premesso che, sebbene si sia al cospetto di due separati ricorsi,
essendo le argomentazioni simili e reciprocamente esplicative dei medesimi punti, si ritiene di
poterle trattare congiuntamente.
Nel fare ciò, deve essere tenuto presente che, in tema di esecuzione, vale il principio,
più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, della “relativa stabilità dei provvedimenti
esecutivi” ( in tal senso, Sez. IV, 4.6.09, Marianl, Rv. 244976 che si è allineata alle S.U. del 24.5,04, Rv, 228117); ciò, in
analogia a quelli cautelari.
Pertanto
con riferimento al motivo unico del Micheletti ed al primo e secondo motivo del

difensore – (premesso che, nella specie, la questione della violazione del principio di ne bis in idem tra la sentenza
della Corte di appello di Palermo e la sentenza della Corte di Assise di appello di Milano era stata dedotta e decisa),

può affermarsi che, nel caso in esame, con la decisione da parte del giudice dell’esecuzione in
ordine alle questioni ad esso proposte, si è formata la preclusione del c.d. giudicato esecutivo,
che si estende alle questioni dedotte, ma non a quelle non dedotte ma deducibili (sez. I, 11.3.09,
Cat Berro, Rv. 243810).

Deve, infatti, ricordarsi che il principio della preclusione processuale derivante dal
divieto di “bis in idem”, opera anche in sede esecutiva, «iscrivendosi in esso la regola che
impone al giudice dell’esecuzione di dichiarare inammissibile la richiesta che costituisca mera
nproposizione di altra già rigettata, basata sui medesimi elementi» (sez. I, 15.1.09, Anello, Rv. 242533;
Sez. III, 22.3.06, Cocina, Rv. 235522).

In particolare, poi, per quel che attiene al lungo argomentare del ricorrente a proposito
del metodo di lettura dei fatti oggetto delle sentenze in comparazione, deve osservarsi che le
critiche, pur motivate e ragionate sulla base di richiami puntuali – come bene stigmatizzato
anche dal P.G. nel proprio parere – finiscono per coinvolgere questioni di valutazione di fatto di
esclusiva pertinenza del giudice del merito (salvi i limiti di una sua argomentazione non
manifestamente illogica e non contraddittoria, che, però, nel caso in esame non sono stati travalicati).

Sotto tali aspetti, perciò, il ricorso è da respingere.

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emergono dalle medesime, dai quali si poteva evincere l’esistenza di un unico fenomeno
associativo sviluppatosi nel tempo e con diramazioni in regioni diverse.
Nel caso in esame, perciò, avrebbe dovuto essere effettuata una valutazione del quadro
complessivo emergente dall’accertamento di fatto contenuto nelle diverse sentenze, e non la
mera comparazione di una singola sentenza con altra singola sentenza.
Con il gravame, si deduce altresì, l’erronea attribuzione del valore di giudicato
all’ordinanza della Corte di appello di Palermo con la quale era stata rigettata una analoga
istanza di revoca della sentenza della Corte di Assise di appello di Milano;

Trasferendo i principi appena illustrati al caso in esame, risulta evidente la fondatezza
degli ultimi due motivi di ricorso del difensore perché, detto in sintesi, il giudice dell’esecuzione
avrebbe dovuto applicare, sugli aumenti per la continuazione, la eventuale riduzione per il rito
e determinare la pena complessiva in anni trenta ove quella base, e gli aumenti per la
continuazione, pur con le precisate riduzioni, avessero comportato una pena superiore ai
trenta anni.
Inevitabile, quindi, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, limitatamente alla
determinazione della pena, con rinvio degli atti al Tribunale di Messina perché provveda in
parte qua, secondo le indicazioni fin qui fornite.
Nell’annullare la decisione impugnata nei termini appena precisati, si possono considerare
assorbite anche le censure del Micheletti sul punto e quelle relative al presofferto.

P.Q. M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.

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Devono, invece, ritenersi fondati i motivi di ricorso con i quali si deduce l’errata
applicazione degli art. 78 c.p. e 442 c.p.p..
Ed infatti, in tema di determinazione del reato più grave, ai fini della applicazione della
continuazione nella fase della esecuzione in relazione ai reati giudicati con il rito abbreviato,
occorre considerare la specifica disposizione dell’art. 187 disp. att. c.p.p. in base alla quale è
violazione più grave quella per cui è stata inflitta la pena più severa, anche quando per alcuni
reati si sia proceduto con giudizio abbreviato.
Pertanto, come chiarito anche dalla giurisprudenza di legittimità (sez. I, Perrone, Rv. 245915) in
fase esecutiva, ove il giudizio relativo al reato satellite sia stato celebrato con rito abbreviato,
l’aumento di pena di cui all’art. 81 c.p. è soggetto alla riduzione premiale di cui all’art. 442
c.p.p.. Ancora più chiaramente, è stato detto (sez. I, 17.2.04, Pennisl, Rv. 227929) che, allorché il
giudice dell’esecuzione riconosca la continuazione tra più reati, alcuni dei quali oggetto di
condanna all’esito di giudizio abbreviato, «la riduzione spettante a norma dell’art. 442 c.p.p.
deve essere riconosciuta anche quando, risultando violazione più grave quella giudicata con il
rito ordinario, la pena autonomamente determinata per il reato definito con il rito speciale,
sulla quale è stata operata la diminuzione ai sensi del citato art. 442, si trasformi in aumento
“ex” art. 81 c.p., che va, pertanto, ridotto di un terzo».
Consegue da ciò che la riduzione per il rito abbreviato precede (e non segue) la somma
degli addendi della sanzione finale da irrogare per il reato continuato ed, a fortiori, precede
anche al eventuale applicazione del criterio moderatore nel caso in cui la somma ottenuta
ecceda il limite del cumulo giuridico.
Questo è quanto si evince proprio dall’esame della decisione di queste sezioni unite
(25.10.07, Volpe, Rv. 237692) secondo cui « la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito
abbreviato si applica dopo che la pena è stata determinata in osservanza delle norme sul
concorso di reati e di pene stabilite dagli artt. 71 ss. c.p.., fra le quali vi è anche la disposizione
limitativa del cumulo materiale, in forza della quale la pena della reclusione non può essere
superiore ad anni trenta». In particolare, in motivazione, questa S.C. ha osservato che – ferma
restando, nella fase del giudizio, l’applicazione della diminuzione del rito sul cumulo giuridico
risultante dal contenimento della pena operato in virtù del criterio moderatore – una volta che
ci si trovi in fase esecutiva, l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p., segue
necessariamente la riduzione della pena già disposta ex art. 442. Le sezioni unite hanno anche
spiegato, a riguardo che la «obiettiva discrasia delle regole applicative dei distinti giudizi di
cognizione e di esecuzione trova solida e razionale base giustificativa oltre che
nell’oggettiva diversità delle situazioni processuali… soprattutto nella efficacia preclusiva
derivante dal principio di intangibilità del giudicato».

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione della pena complessiva e
rinvia al Tribunale di Messina; rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 20 novembre 2012

Il Presidente

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