Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9038 del 10/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9038 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
a Eboli il 28.3.1955, e di

Pierro

Pasquale,

nato

Conte

Vincenzo,

nato a Napoli 1’1.2.1950, avverso la

sentenza della Corte di Appello di Salerno, in data
14 febbraio 2012, di riforma della sentenza del
Tribunale di Salerno, in data 3 aprile 2008;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il
ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal
consigliere dott. Franco Fiandanese;
Udito il pubblico ministero in persona del
sostituto procuratore generale dott. Fulvio Baldi,
che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

Data Udienza: 10/01/2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Salerno, con sentenza in data 3
aprile 2008, dichiarava Pierro Pasquale e Conte
Vincenzo colpevoli di truffa aggravata ai danni
dello Stato e il Pierro anche dei reati di cui agli

2000.
La Corte di Appello di Salerno,con sentenza in data
14 febbraio 2012, in esito ad appello degli
imputati, riformava la pronuncia del primo giudice,
dichiarando non doversi procedere in ordine ai
reati ascritti ai capi c) e d) della rubrica perché
estinti per prescrizione e riduceva la pena con
riferimento al reato di cui al capo b) ad anni due
mesi dieci di reclusione ed euro 1.500 di multa nei
confronti di Pierro Pasquale e ad anni uno di
reclusione ed euro 300 di multa nei confronti di
Conte Vincenzo.
Secondo l’accusa il Pierro, nella sua qualità di
amministratore unico della società agricola Piana
del Sele fino al 2002 e poi della P.A.M. negli anni
2003 e 2004, il Conte nella sua qualità di delegato
del Pierro con l’incarico di compilare i registri e
le pratiche connesse alla gestione del personale,
con artifizi e raggiri consistenti nel denunciare

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artt. 37 legge n. 689 del 1981 e 5 D.Lgs. n. 74 del

falsi braccianti agricoli, consentivano a ciascuno
di questi di beneficiare indebitamente della
indennità di disoccupazione per un ammontare
complessivo di euro 4.239.441,38 con corrispondente
pari danno per l’I.N.P.S., nonché procuravano ai

suddetti braccianti l’ingiusto profitto di maturare
il requisito contributivo di anzianità ai fini
pensionistici.
Propongono ricorso per cassazione i difensori degli
imputati.
Il difensore di

Conte Vincenzo

deduce i seguenti

motivi:
l) Nullità della sentenza in relazione all’art. 640
c.p.
Il ricorrente afferma che il Conte ha ricevuto due
deleghe per poter ritirare, in nome e per conto del
Pierro, presso l’I.N.P.S. di Battipaglia, alcuni
registri e non esiste la prova certa che egli abbia
mai prestato attività professionale retribuita in
favore del Pierro. Ma, anche se si volesse ritenere
esistente un rapporto professionale tra l’imputato
e il Pierro, esso non potrebbe essere letto come
consapevole partecipazione all’attività
delinquenziale posta in essere dal coimputato,
poiché le denunce aziendali, eventualmente redatte

3

i

dal Conte su indicazione del Pierro, se contengono
indicazioni non corrispondenti al vero non possono
essere

attribuite

al

consulente

ma

solo

all’assistito che ha fornito tali indicazioni.
2) nullità della sentenza in relazione all’art. 157
in quanto non vi sarebbe prova di alcuna

protrazione di prestazioni professionali,

di

qualsiasi natura, a far data dal 18 giugno 2001,
con la conseguenza della estinzione del reato per
prescrizione.
Il difensore di

Pierro Pasquale

deduce

mancanza,

contraddittorietà e illogicità della motivazione.
Il ricorrente afferma che, essendo stato accertato
che la società di cui Pierro era amministratore non
aveva presentato da anni dichiarazione dei redditi
e dell’IVA, ma era notoriamente operante, non si
possono ritenere non veritiere le dichiarazioni di
giornate lavorative presentate annualmente
all’I.N.P.S. sulla scorta di dati presunti e non
provati, non essendovi elementi certi da cui potere
dedurre il fatturato o le attività svolte dalla
suddetta società.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Il motivo di ricorso di

Pierro Pasquale

è

manifestamente infondato per la parte in cui

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c.p.,

contesta l’esistenza e la logicità di un apparato
giustificativo della decisione, che invece esiste e
non è manifestamente illogico; non consentito per
la parte in cui pretende di valutare, o rivalutare,
gli elementi probatori al fine di trarre proprie

merito chiedendo alla Corte di legittimità un
giudizio di fatto che non le compete.
Secondo il costante insegnamento di questa Suprema
Corte esula, infatti, dai poteri della Corte di
cassazione quello di una “rilettura” degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al
giudice di merito, senza che possa integrare il
vizio di legittimità la mera prospettazione di una
diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali.
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una
inammissibile ricostruzione dei fatti mediante
criteri di valutazione diversi da quelli adottati
dal giudice di merito, il quale, con motivazione
ampia ed esente da vizi logici e giuridici, ha
esplicitato le ragioni del suo convincimento,
facendo riferimento agli accertamenti operati dalla
Guardia di Finanza, confermati dalle dichiarazioni

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conclusioni in contrasto con quelle del giudice del

testimoniali

assunte

e

dalla

documentazione

acquisita presso l’abitazione dell’imputato, dalle
quali si desume che “l’azienda del Pierri dichiarò
un numero esorbitante di braccianti agricoli e per
un numero surreale di ore, di gran lunga superiori

dalla stessa e necessari per i propri bisogni
produttivi”.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.,
valutati i profili di colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso, al versamento della somma, che si ritiene
equa, di euro 1000,00 a favore della cassa delle
ammende.
Deve, invece, essere accolto il motivo di ricorso
con il quale Conte Vincenzo eccepisce l’intervenuta
prescrizione, eccezione che era stata formulata con
l’atto di appello, con il quale si chiedeva di
rideterminare la data del commesso reato in quella
del 18 giugno 2001, nella quale venne effettuata
l’ultima prestazione professionale dell’imputato in
favore del Pierro. Sul punto la sentenza di appello
ha omesso di pronunciarsi, ma sia dalla sentenza di

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a quelli sicuramente e costantemente utilizzati

primo grado (pag. 5) che da quella di secondo grado
(pag. 5) tale data risulta effettivamente
confermata, in quanto emergente dalle agende e
dalle rubriche rinvenute presso l’abitazione del
Pierro; pertanto, in mancanza di evidenze contrarie

applicazione del principio del

favor rei

e in

assenza di elementi che consentano di applicare in
questa sede formule più favorevoli ex art. 129
c.p.p., deve annullarsi la sentenza impugnata nei
confronti di Conte Vincenzo per estinzione del
reato a seguito di intervenuta prescrizione.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei
confronti di Conte Vincenzo perché estinto il reato
per prescrizione.
Dichiara inammissibile il ricorso di Pierro
Pasquale, che condanna al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 alla
cassa delle ammende.

risultanti dal testo delle medesime sentenze, in

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