Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9037 del 10/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9037 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Tiziano Ciro,

nato a Napoli

il 21.4.1967, avverso la sentenza della Corte di
Appello di Milano, in data 25 giugno 2013, di
conferma della sentenza del Tribunale di Monza, in
data 24 ottobre 2011;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e

il

ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal
consigliere dott. Franco Fiandanese;
Udito il pubblico ministero in persona del
sostituto procuratore generale dott. Fulvio Baldi,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Data Udienza: 10/01/2014

La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data

25 giugno 2013, confermava la condanna pronunciata
il 24 ottobre 2011 dal Tribunale di Monza nei
confronti di Tiziano Ciro alla pena di mesi cinque
di reclusione in ordine al reato di cui all’art.

risarcire i danni alla parte civile società S.C.R.
s.p.a.
Secondo

l’accusa,

il

Tiziano,

quale

legale

rappresentante della T.E.A. Impianti s.r.1.,
dissimulando lo stato di insolvenza della stessa
società, posta in liquidazione il 27 luglio 2006,
con più azioni esecutive di un medesimo disegno
criminoso, nel periodo da maggio ad agosto 2006,
contraeva con la società F.C.R. s.p.a. ripetute
obbligazioni di pagamento per forniture di
componenti per impianti di condizionamento, per un
importo complessivo di euro 16.366,22 con il
proposito di non adempierle.
Propone

ricorso

per

cassazione

personalmente, deducendo

l’imputato
mancanza,

contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione.
Il ricorrente denuncia l’omesso esame delle
doglianze contenute nei motivi di appello, con i

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641 c.p. Il Tiziano veniva, altresì, condannato a

quali

la

difesa

aveva

argomentato

circa

l’insussistenza della condotta di dissimulazione
dello stato di insolvenza, lamentando, inoltre, che
erroneamente il primo giudice avesse ritenuto il
Tiziano quale effettivo titolare della società

della stessa società era la ex moglie
dell’imputato, il quale era un dipendente e, come
tale, non poteva conoscere la situazione economico

finanziaria della T.E.A. Non solo, ma il Tiziano,

avendo acquisito un’importante subappalto era
certamente convinto di riuscire ad adempiere alle
obbligazioni contratte. Inoltre, la società T.E.A.
si era trovata in difficoltà economiche
successivamente alla data in cui aveva ordinato le
forniture alla F.C.R.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati
ovvero non consentiti nel giudizio di legittimità e
devono essere dichiarati inammissibili.
I motivi di ricorsi) sono manifestamente infondati
per la parte in cui contestano l’esistenza o la
logicità di un apparato giustificativo della
decisione, che invece esiste e non è manifestamente
illogico; non consentiti per la parte in cui

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T.E.A. impianti, mentre il legale rappresentante

pretendono di valutare, o rivalutare, gli elementi
processualmente emersi al fine di trarre proprie
conclusioni in contrasto con quelle del giudice del
merito chiedendo alla Corte di legittimità un
giudizio di fatto che non le compete.

Suprema Corte, secondo il quale esula dai poteri
della Corte di cassazione quello di una “rilettura”
degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente
più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n.
6402, Dessimone, riv. 207944; tra le più recenti:
Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia,
Rv. 229369).
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una
inammissibile ricostruzione dei fatti mediante
criteri di valutazione diversi da quelli adottati
dal giudice di merito, il quale, con motivazione
ampia ed esente da vizi logici e giuridici, ha
esplicitato le ragioni del suo convincimento,
evidenziando che l’imputato è il soggetto che di

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Occorre ribadire il costante insegnamento di questa

fatto ha gestito la T.E.A. e l’affare di cui è
processo e che al momento degli ordinativi era
consapevole delle condizioni economiche della
suddetta società la cui crisi era già sussistente
in data antecedente agli ordinativi della merce.

condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.,
valutati i profili di colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso, al versamento della somma, che si ritiene
equa, di euro 1000,00 a favore della cassa delle
ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 10 gennaio 2014.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la

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