Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9032 del 27/10/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9032 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MONTAGNO BOZZONE FRANCESCO N. IL 26/02/1961
avverso la sentenza n. 1805/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
02/04/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 27/10/2015

.,

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 2 aprile 2014 la Corte di appello di Catania ha
confermato la sentenza del Tribunale della sede, sezione distaccata di
Bronte, in data 21 gennaio 2010, con la quale Montagno Bozzone Francesco
era stato condannato alla pena di un anno e tre mesi di reclusione per il
reato di cui all’art. 9, comma secondo, legge n. 1423 del 1956, perché il 18
aprile, il 13 maggio e il 2 agosto del 2007, era stato notato in compagnia

all’interno di un bar dove si tratteneva in dialogo con i predetti per un certo
tempo.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
l’imputato tramite il difensore, il quale deduce carenza di motivazione in
ordine alla ritenuta sussistenza del fatto ed alla pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
1.1. In punto di confermata responsabilità la sentenza impugnata, con
motivazione adeguata e coerente, esente da vizi logici e giuridici, spiega le
ragioni per cui la frequentazione di persone pregiudicate, accertata in tre
occasioni, integri il reato contestato, sottolineando che la conoscenza dei
precedenti penali dei suoi interlocutori non poteva sfuggire a Montagno
Bozzone, considerati il suo curriculum e spessore criminale, e, in ogni caso,
lo stesso avrebbe dovuto rendersi edotto delle qualità dei soggetti
frequentati, al fine di rispettare gli obblighi impostigli.
Di puro merito e, perciò, non consentita in questa sede è la deduzione
del ricorrente circa la brevità dei contatti che egli avrebbe trattenuto con
Parasiliti e Barbagallo.
1.2. Manifestamente infondata è anche la censura in punto di entità
della pena, che risulta, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente,
adeguatamente determinata alla luce dei criteri indicati nell’art. 133 cod.
pen.

2. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616,
comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
1

dei pregiudicati Parasiliti Paracelo Salvatore e Barbagallo Giuseppe,

2000), anche la condanna al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare, tra il
minimo ed il massimo previsti, in euro mille.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa

Così deciso il 27 ottobre 2015.

delle ammende.

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