Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9030 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9030 Anno 2014
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
STUCCHI ROBERTO CARMELO N. IL 25/07/1958
avverso la sentenza n. 4066/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
06/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona degpott.
(/”A fr.,UAL
ep
che ha concluso per I i
A,mik
4.41‘

5,>;

la disposizione stabilisce attualmente, all’esito delle

modifiche apportate dall’art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in I. n.
134 del 2012, che le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unic

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(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la

t
5
grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione «(…) 5)
per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti»), ed attualmente la formulazione
(introdotta dal D. Lgs. n. 40 del 2006) dell’art. 366, comma 1, n. 6,
c.p.c. (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a
la specifica indicazione degli atti

pena di inammissibilità: «(…) 6)

processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il

ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio
dell’autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando
l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la
decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere
adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso,
della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni
che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse
univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito
circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad
essa vengono rivolte (Cass. civ. Sez. II, sentenza 2 dicembre 2005, n.
26234, CED Cass. n. 585217; Sez. lav., sentenza 17 agosto 2012, n.
14561, CED Cass. n. 623618).
Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al
giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che «la
teoria dell’autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba
essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza
che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui
compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è
onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la
completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificamente
indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in
precedenza), posto che anche in sede penale – in virtù del principio di
autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato -deve
ritenersi precluso a questa Corte l’esame diretto degli atti del processo,
a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla
stessa articolazione del ricorso» (Sez. I, sentenza n. 16706 del 18……

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ricorso si fonda»), si è osservato che il ricorso per cassazione deve

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marzo – 22 aprile 2008, CED Cass. n. 240123; Sez. I, sentenza n. 6112
del 22 gennaio – 12 febbraio 2009, CED Cass. n. 243225; Sez. V,
sentenza n. 11910 del 22 gennaio – 26 marzo 2010, CED Cass. n.
246552, per la quale è inammissibile il ricorso per cassazione che
deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur
richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale
trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto,

doglianze; Sez. VI, sentenza n. 29263 dell’ 8 – 26 luglio 2010, CED
Cass. n. 248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il
vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza
del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche
sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e
non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui
esame diretto è alla stessa precluso; Sez. II, sentenza n. 25315 del 20
marzo – 27 giugno 2012, CED Cass. n. 253073, per la quale in tema di
ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o
travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare
l’atto asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia
effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità o
anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione).

In proposito, va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto:
«In tema di ricorso per cassazione, va recepita e applicata anche in
sede penale la teoria della “autosufficienza del ricorso”, elaborata in
sede civile; ne consegue che, quando i motivi riguardino specifici atti
processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa
o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto
mediante l’allegazione o la completa trascrizione dell’integrale contenuto
degli atti specificamente indicati, non potendo egli limitarsi ad invitare la
Corte Suprema alla lettura degli atti indicati, posto che anche in sede
penale è precluso al giudice di legittimità l’esame diretto degli atti del
processo»

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così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative

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1.2. La mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione,
come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore
tale da risultare percepibili ictu ocuii, dovendo il sindacato di legittimità
al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le
deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano

spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza
vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere
tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte Suprema, Sez. un.,
sentenza n. 24 del 24 novembre 1999, CED Cass. n. 214794; Sez. un.,
sentenza n. 12 del 31 maggio 2000, CED Cass. n. 216260; Sez. un.,
sentenza n. 47289 del 24 settembre 2003, CED Cass. n. 226074).
Devono tuttora escludersi la possibilità, per il giudice di legittimità, di

<>
(Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED
Cass. n. 254584).

2.1.3. Risulta, pertanto, evidente che, «se il motivo di ricorso si
limita a riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina
all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale
è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto
che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente
‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata,
è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di redazione del motivo di
ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello) potrebbe essere
invocata come implicita denuncia del vizio di omessa motivazione da
parte del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli nell’atto di
impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il giudice d’appello
abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del

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dispositivo si contesta).

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motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilità. E ciò
per almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che vale
anche per l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello)
non è mediata dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del
vizio di omessa motivazione (e tanto più nel caso della motivazione
cosiddetta apparente che, a differenza della mancanza “grafica”,
pretende la dimostrazione della sua mera “apparenza” rispetto ai temi

è pure onerata dell’obbligo di argomentare la decisività del vizio, tale da
imporre diversa conclusione del caso».

2.1.4. Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o
parziale, del motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di
ricorso (ed in alcune circostanze costituisce incombente essenziale
dell’adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso), ma solo
quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con
autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora
indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso
e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta
dei principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei
provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei
parametri della prima sentenza con i motivi d’appello e della seconda
sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena
applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione»

(Sez. VI,

sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n.
254584).

LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA D’APPELLO
3. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente

iter

motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 1307 del 26
settembre 2002 – 14 gennaio 2003, CED Cass. n. 223061).

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tempestivamente e specificamente dedotti); denuncia che, come detto,

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3.1. In presenza di una doppia conforma affermazione di
responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione
della sentenza d’appello

per relationem

a quella della decisione

impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo
grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già
esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione

impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente
riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato
il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato
organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per
giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici
dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle
determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione,
sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano
una sola entità (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 1309 del 22 novembre
1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III, sentenza n.
13926 del 10 dicembre 2011 – 12 aprile 2012, CED Cass. n. 252615).

L’AFFERMAZIONE DI RESPONSABILITA’ <>.
4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione
<> sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in

ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di
questa Corte Suprema – per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10
luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel
testo novellato dell’art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna è possibile
soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della
responsabilità dell’imputato (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 19575 del
21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785; Sez. II, sentenza n. 16357 del 2
aprile 2008, CED Cass. n. 239795).
In argomento, si è più recentemente, e conclusivamente, affermato
(Sez. II, sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012 – 13 febbraio 2013,
CED Cass. n. 254025) che <>.

precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed

IL RICORSO
5. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno
ricorso.

6. Il primo, il quarto, il quinto ed il nono motivo possono essere
esaminati congiuntamente: si tratta di motivi generici e manifestamente
infondati.

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4

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6.1. Quanto all’affermazione di responsabilità, il ricorrente ha
reiterato più o meno pedissequamente doglianze già costituenti oggetto
di appello e già disattese dalla Corte di appello, senza adeguatamente
confrontarsi con il percorso argomentativo seguito dalla sentenza
impugnata, che, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e
pertanto incensurabili in questa sede, richiamando anche la sentenza di
primo grado, come è fisiologico in presenza di una doppia conforme

ragioni poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità,
valorizzando essenzialmente le acquisite dichiarazioni testimoniali
(motivatamente ritenute attendibili), dalle quali è emerso che l’imputato
aveva ricevuto dalla p.o. LISCO ALESSANDRA una somma di denaro
destinata all’acquisto, per conto della donna, di una autovettura, in
realtà mai versata alla concessionaria; tardiva e palesemente inaffidabile
è apparsa la giustificazione solo in un secondo momento fornita di aver
affidato la somma ad un terzo intermediario che se ne sarebbe
appropriato, smentita dai dipendenti della concessionaria, non
documentata ed all’evidenza inconsistente, tenuto conto che l’imputato
non ha mai fatto il nome di tale soggetto né indicato le modalità della
presunta consegna del denaro ricevuto dalla LISCO.
A tali rilievi il ricorrente non ha opposto alcunché di decisivo, se non
generiche ed improponibili doglianze fondate su una personale
rivisitazione dei fatti di causa, senza documentare, nei modi che si è
visto essere di rito (§ 1.1. ss. di queste Considerazioni in diritto)
eventuali travisamenti.

6.2. La Corte di appello ha specificamente indicato le ragioni per le
quali riteneva la sussistenza delle circostanze aggravanti contestate
(effettivamente configurabili in relazione ai rapporti negoziali
intercorrenti tra l’imputato e la p.o. mandante, ed all’entità della
somma oggetto di appropriazione), aggiungendo che non «emergono
elementi di alcun genere per ritenere che al momento del fatto lo
STUCCHI fosse non imputabile per difetto di capacità di intendere e di
volere, sempre lucido essendo ovviamente apparso a mandanti e .z:
impiegati della venditrice, né rilevano gesti autolesivi commessi dopo

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affermazione di responsabilità, ha compiutamente indicato (f. 1 s.) le

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l’incasso della somma le cui ragioni non risultano provate in alcun
modo e considerata l’ampia disamina sul punto del giudice di primo
grado».

6.2.1. Peraltro, la doglianza inerente alla violazione dell’art. 89 c.p. è
anche inammissibile ex art. 606, comma 3, c.p.p., essendo stata
formulata per la prima volta in sede di legittimità, e non anche come

riportato nella sentenza impugnata, che l’odierno ricorrente avrebbe
avuto il dovere processuale di contestare specificamente nell’odierno
ricorso, se incompleto o comunque non corretto.

6.3. Del tutto generico appare, infine, il nono motivo, poiché il
ricorrente, come ordinariamente imposto dall’art. 581, comma 1, lett.
C), c.p.p., non avrebbe dovuto limitarsi a lamentare l’omessa
motivazione sul contenuto di propri motivi di appello, ma avrebbe
dovuto indicare, con la necessaria specificità, in qual modo l’omessa
considerazione delle argomentazioni svolte in gravame avrebbe inficiato
la complessiva tenuta dell’iter argomentativo seguito dal provvedimento
impugnato.
Al contrario, nel caso di specie, il ricorrente si è limitato a lamentare
l’omessa considerazione del contenuto di suoi motivi di gravame, senza
indicarne, con la dovuta specificità, il contenuto e la asserita rilevanza,
ovvero senza indicare le ragioni per le quali la lamentata omissione
risultava decisiva, compromettendo la complessiva congruità e
correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione impugnata.

7. Il secondo motivo è infondato.

7.1. E’ noto al collegio che, in ordine all’ammissibilità o meno
dell’invio a mezzo telefax di istanze di rinvio per legittimo impedimento
(e, più in generale, tout court di istanze) la giurisprudenza di questa
Corte Suprema è estremamente divisa, potendo nel suo ambito essere
enucleati ben quattro orientamenti.

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motivo di appello, come si evince dal riepilogo dei motivi di appello

e

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7.1.1. Un orientamento particolarmente rigoroso ritiene che l’istanza
di rinvio per legittimo impedimento trasmessa a mezzo telefax è sempre
inammissibile, richiamando le previsioni di cui agli artt. 121 c.p.p. (che
prevede per gli atti di parte l’obbligo del deposito in cancelleria) e 150
c.p.p. (che riserva l’utilizzo del telefax ai soli funzionari di cancelleria)
(così, tra le altre, Sez. V, sentenza n. 38968 dell’Il ottobre 2005, CED
Cass. n. 232555, in fattispecie nella quale il giudice di merito non aveva

valutato l’istanza; Sez. V, sentenza n. 46954 del 14 ottobre 2009, CED
Cass. n. 245397, in fattispecie nella quale l’istanza di rinvio per
concomitante impegno professionale del difensore era stata rigettata, e
questa Corte Suprema aveva considerato inammissibili le successive
doglianze difensive perché l’istanza – a cagione della forma di
presentazione prescelta – non avrebbe dovuto neanche essere
esaminata; Sez. V, sentenza n. 11787 del 19 novembre 2010, dep. 24
marzo 2011, CED Cass. n. 249829, in fattispecie nella quale l’istanza nonostante la forma di presentazione prescelta – era pervenuta
all’attenzione del giudice di merito in tempo utile, ma non era stata
esaminata; Sez. V, sentenza n. 602 del 18 novembre 2011, dep. 12
gennaio 2012, CED Cass. n. 252667, che ha ritenuto priva di efficacia la
rinuncia al gravame in sede di legittimità, sottoscritta dal difensore
all’uopo delegato dall’interessato, proposta via fax, non seguito dalla
spedizione dell’originale via posta o mediante altro sistema idoneo a
garantirne l’autenticità della provenienza, considerato che l’art. 121
c.p.p. statuisce l’obbligo per le parti di presentare le memorie e le
richieste al giudice mediante deposito in cancelleria mentre il ricorso al
telefax, quale forma particolare di notificazione, è riservato dall’art. 150
del codice di rito ai funzionari di cancelleria).

7.1.2.

Un orientamento di segno diametralmente contrario ritiene

sempre e comunque ammissibile la presentazione di istanze a mezzo
telefax, valorizzando l’evoluzione tecnologica del sistema delle
comunicazioni e delle notificazioni e, sotto il profilo più squisitamente
normativo, la previsione di cui all’art. 420-ter, comma 5, c.p.p. (a
norma del quale, ai fini del rinvio, è sufficiente che l’impedimento della
parte «risulti», ovvero sia «prontamente comunicato» in

17

4

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qualunque modo), ed inoltre ritenendo non ostativo il disposto dell’art.
121 c.p.p., poiché il prescritto deposito in cancelleria può avvenire con
qualsiasi mezzo, e quindi ben può aver luogo a mezzo telefax (così, fra
le altre, Sez. III, sentenza n. 10637 del 20 gennaio 2010, CED Cass. n.
246338, che ha ritenuto affetta da nullità assoluta, insanabile e
rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del processo, la sentenza
emessa dal giudice d’appello che aveva omesso di pronunziarsi su una

richiesta di rinvio per legittimo impedimento del difensore, documentato
e dedotto a mezzo fax trasmesso in data antecedente all’udienza; Sez.
V., sentenza n. 43514 del 16 novembre 2010, CED Cass. n. 249280, in
fattispecie nella quale l’istanza di rinvio per legittimo impedimento a
comparire – dovuto a ragioni di salute – dell’imputato risultava
trasmessa a mezzo fax in cancelleria due giorni prima dell’udienza,
portata all’attenzione del giudice di merito quando questi si era già
ritirato in camera di consiglio per la decisione, e per tale ragione non
esaminata: questa Corte Suprema ha annullato il provvedimento
impugnato con rinvio, rilevando, in conseguenza dell’omessa valutazione
dell’istanza, il verificarsi di una violazione dei diritti difensivi tutelati a
pena di nullità d’ordine generale; Sez. V, sentenza n. 21987 del 16
gennaio 2012, CED Cass. n. 252954, che ha annullato la sentenza
impugnata perché non si era pronunziata su una istanza di rinvio per
legittimo impedimento trasmessa a mezzo fax: nella specie, l’istanza
recava l’annotazione di pervenuto il giorno dell’udienza alle ore 10.40,
ed il verbale di udienza era stato “chiuso” alle ore 11.15; non risultava
che il giudice ne fosse stato portato a conoscenza, ma la Corte Suprema
ha ritenuto che, in considerazione degli indicati orari, sarebbe stato
possibile tempestivamente esaminare l’istanza).

7.1.3. Un orientamento che sembra meglio specificare il principio
affermato dall’orientamento più “permissivo” sostiene che la richiesta di
rinvio per legittimo impedimento a comparire dell’imputato può essere
inoltrata a mezzo fax, e non risulta per tale ragione irricevibile, purchè
l’impedimento addotto sia improvviso (ovvero dipenda da «circostanze
improvvise ed assolutamente imprevedibili»): in questi casi, sarebbe,
peraltro, onere dell’instante dimostrare la sussistenza delle ragioni che

18

4

19
legittimino il ricorso al fax (così Sez. VI, sentenza n. 13524 del 29
gennaio 2009, CED Cass. n. 243413).

7.1.4.

Un orientamento intermedio ritiene che chi trasmette

un’istanza di rinvio per legittimo impedimento a mezzo fax assume l’alea
della mancata trasmissione di essa al giudice in tempo utile per essere
valutata, ed ha l’onere di verificare che l’istanza sia effettivamente

pervenuta in cancelleria, e sia stata recapitata al giudice per tempo;
tuttavia, se l’istanza in tal modo inviata pervenga ugualmente
all’attenzione del giudice prima della conclusione dell’udienza cui

si

riferisce, egli dovrà valutarla (Così, fra le altre, Sez. V, sentenza n.
14575 del 16 marzo 2005, CED Cass. n. 231102, per la quale la
segnalazione di un impedimento del difensore di fiducia con contestuale
richiesta di rinvio, spedita via fax ai sensi dell’art. 150 c.p.p., pervenuta
alla cancelleria prima dell’inizio dell’udienza ma trasmessa al giudice
dopo la celebrazione del dibattimento, non costituisce motivo di nullità
della sentenza in quanto la scelta di un mezzo tecnico non previsto
specificatamente dalla legge per il deposito delle istanze, ai sensi
dell’art. 121 c.p.p., espone il richiedente al rischio dell’intempestività
con cui l’atto può pervenire alla conoscenza del giudice; Sez. II,
sentenza n. 37535 dell’8 luglio 2009, CED Cass. n. 244888, in
fattispecie nella quale la richiesta di rinvio per legittimo impedimento
spedita a mezzo fax era comunque pervenuta a conoscenza del giudice
prima dell’udienza cui essa si riferiva, e si è pertanto ritenuto che egli
avesse il dovere processuale di valutarla; Sez. IV, sentenza n. 38160 del
23 giugno 2009, CED Cass. n. 245315; Sez. III, sentenza n. 9162 del 29
ottobre 2009 – dep. 8 marzo 2010, CED Cass. n. 246207, in fattispecie
nella quale l’istanza trasmessa a mezzo fax risultava pervenuta alla
cancelleria “competente” a dibattimento ormai concluso, e si è ritenuto
che l’omessa delibazione di una richiesta di rinvio per legittimo
impedimento a comparire, inoltrata dal difensore istante a mezzo fax,
non comporta alcuna violazione del diritto di difesa, in quanto la scelta
di un mezzo tecnico non autorizzato per il deposito espone il difensore al
rischio dell’intempestività con cui l’atto stesso può pervenire a
conoscenza del destinatario; Sez. fer., sentenza n. 32941 del 25 agosto

19

.4

20
2011, CED Cass. 251089, per la quale la richiesta di rinvio dell’udienza
per impedimento difensivo può essere inoltrata anche a mezzo telefax al
giudice che, però, ha l’obbligo di esaminarla solo se ne abbia avuto
conoscenza in tempo utile; sez. IV, sentenza n. 10886 del 9 febbraio
2012, CED Cass. n. 251992, in fattispecie nella quale il ricorrente aveva
1A: covh4
proposto) straordinario ex art. 625-bis c.p.p. asserendo che la III

Sezione di questa Corte Suprema non aveva valutato una istanza di

rinvio per legittimo impedimento del difensore, asseritamente inviata a
mezzo fax, ma della quale non vi era traccia in atti: la IV Sezione ha
ritenuto che la parte, avendo optato per la trasmissione dell’istanza a
mezzo fax, aveva assunto su di sé il rischio di un esito non positivo della
trasmissione).

7.2. A pare del collegio, il contrasto può essere superato aderendo
all’orientamento intermedio, già accolto da questa Sezione (sentenza n.
37535 dell’8 luglio 2009, CED Cass. n. 244888), temperato da quello
accolto da una isolata decisione della VI Sezione (sentenza n. 13524 del
29 gennaio 2009, CED Cass. n. 243413).

7.2.1. Deve premettersi che il deposito cui allude l’art. 121 c.p.p. è
senz’altro soltanto quello operato “tradizionalmente” di persona in
cancelleria: l’utilizzo di mezzi tecnologici è, infatti, disciplinato
specificamente (dall’art. 150 c.p.p.) soltanto come mezzo di
notificazione, non come possibile sostituto del deposito in cancelleria.

7.2.2. Non può peraltro ritenersi che l’impiego del telefax sia sempre
e comunque inidoneo a dare certezza circa l’intervenuta trasmissione,
con esito positivo, dell’atto “faxato”.
In tal senso va necessariamente richiamato l’orientamento per il
quale la notificazione di un atto all’imputato o ad altra parte privata, in
ogni caso in cui possa o debba effettuarsi mediante consegna al
difensore, può essere eseguita con telefax o altri mezzi idonei a norma
dell’art. 148, comma 2-bis, c.p.p., poiché il telefax è «uno strumento
tecnico che dà assicurazioni in ordine alla ricezione dell’atto da parte del
destinatario, attestata dallo stesso apparecchio di trasmissione mediante

20

4

21

il cosiddetto “OK” o altro simbolo equivalente»

(Sez. un., sentenza n.

28451 del 28 aprile 2011, CED Cass. n. 250121; Sez. II, sentenza n.
24798 del 3 giugno 2010, CED Cass. n. 247727).
Se il telefax fosse sempre e comunque uno strumento di trasmissione
dall’esito incerto, il predetto orientamento sarebbe all’evidenza
inaccoglibile, poiché incerto sarebbe di necessità anche l’esito della
trasmissione dell’atto da notificare.

Né – in ossequio al principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 della
Costituzione come canone interpretativo privilegiato – può ritenersi che
il telefax dia certezza dell’esito della trasmissione solo quando sia
adoperato dai funzional•addetti all’effettuazione delle notificazioni, e
non anche quando sia adoperato dalle parti private per la trasmissione
di istanze.

7.2.3. Né può attribuirsi decisivo rilievo alla presunta impossibilità
della verifica dell’autenticità degli atti “faxati”, poiché il problema appare
senz’altro superabile ove il difensore (anche di ufficio) necessariamente
presente in udienza faccia propria l’istanza (come è prassi in concreto
generalizzata), e comunque attraverso gli ordinari controlli di rito,
sempre esperibili dal giudice senza formalità.

7.2.4. E’ ineludibile il rilievo che il deposito di istanze a mezzo fax
non è in generale consentito dall’art. 121 c.p.p.
Peraltro, è altrettanto ineludibile l’ulteriore rilievo che nessuna
sanzione (di irricevibilità, più che di inammissibilità) è prevista dal
vigente ordinamento processuale per il caso in cui la parte abbia
irritualmente optato per una tal forma di trasmissione.

D’altro canto, può ritenersi senz’altro pacifico che il giudice abbia
l’onere di valutare tutte le istanze di rinvio per legittimo impedimento
dell’imputato o del difensore che vengano tempestivamente presentate
(cfr. Sez. VI, sentenza n. 42110 del 14 ottobre 2009, CED Cass. n.
245127, per la quale

l’omessa

valutazione dell’istanza di rinvio

dell’udienza per legittimo impedimento a comparire da.. difensore
e

determina il difetto di assistenza

dell’imputato,

21

con la conseguente

72

nullità assoluta di cui agli artt. 178, comma 1, lett. c) e 179, comma 1,
c.p.p.; nei medesimi termini, quanto alle istanze di rinvio per legittimo
impedimento a comparire dell’imputato, persino quando redatte in
lingua straniera, Sez. V, sentenza n. 38774 del 24 ottobre 2002, CED
Cass. n. 223362).

Può, peraltro, accadere che la parte, in presenza di un impedimento

tempestivamente in cancelleria l’istanza di rinvio per legittimo
impedimento con la relativa documentazione (è il caso che può
verificarsi in presenza delle tanto frequenti – ma non per questo
necessariamente strumentali – malattie che si manifestano in prossimità
delle udienze).

Deve anche considerarsi che il riconoscimento della possibilità

di

inviare indiscriminatamente istanze di rinvio per legittimo impedimento
(o di qualsiasi altra natura) a mezzo fax, ad un qualsiasi numero di fax
dell’ufficio giudiziario procedente, si presterebbe ad evidenti “tattiche”
processuali strumentali, senz’altro poco nobili, ma certamente non
inverosimili, in particolare negli uffici di grandi dimensioni.

7.2.5. Per l’insieme di tali ragioni, e valorizzando il dettato di cui
all’art. 121 c.p.p., deve ritenersi che l’impiego del fax per l’invio di
istanze sia irregolare; peraltro, le istanze in tal modo inviate non sono
irricevibili, né inammissibili, ma espongono unicamente la parte instante
al rischio della mancata tempestiva trasmissione dell’istanza al giudice
competente a valutarla.
In tali casi, per essere legittimata a proporre doglianze inerenti
all’eventuale omessa valutazione dell’istanza di rinvio per legittimo
impedimento trasmessa a mezzo fax, la parte – che abbia di sua volontà
scelto un mezzo irregolare di trasmissione dell’istanza, ovvero che a ciò
sia stata costretta dal sopravvenire di un impedimento improvviso ed
imprevedibile, e dall’impossibilità di darne altrimenti comunicazione al
giudice procedente – ha l’onere di verificare che l’istanza trasmessa a
mezzo fax sia effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice

22

improvviso, si trovi nell’impossibilità di depositare o far depositare

23
competente a valutarla, e sia stata tempestivamente portata
all’attenzione di quest’ultimo.

7.2.6. Va, conclusivamente, affermato il seguente principio di diritto:

«L’utilizzazione del telefax per inviare al giudice procedente una
richiesta di rinvio per legittimo impedimento (dell’imputato o del

dell’istanza da parte dell’ufficio giudiziario destinatario, è comunque
irregolare, perché l’art. 121 c.p.p. prevede per le parti l’obbligo di
presentare le memorie e le richieste indirizzate al giudice mediante
deposito in cancelleria; tuttavia, le istanze in tal modo inviate non sono
né irricevibili, né inammissibili, ed il giudice che ne sia portato
tempestivamente a conoscenza deve valutarle.
In ragione della predetta irregolarità, incombe, peraltro, sulla parte
instante il rischio della mancata tempestiva trasmissione dell’istanza al
giudice competente a valutarla; in tal caso, per essere legittimata a
proporre doglianze inerenti all’omessa valutazione dell’istanza, la parte
(che abbia di sua volontà scelto un mezzo irregolare di trasmissione
dell’istanza, ovvero che a ciò sia stata costretta dal sopravvenire di un
impedimento improvviso ed imprevedibile, e dall’impossibilità di darne
altrimenti comunicazione al giudice procedente) ha l’onere di verificare
che l’istanza trasmessa a mezzo fax sia effettivamente pervenuta nella
cancelleria del giudice competente a valutarla, e sia stata
tempestivamente portata all’attenzione di quest’ultimo».

7.2.7.

Nel caso di specie, dall’esame del verbale di udienza

dibattimentale d’appello 6 dicembre 2012 [cui il collegio è legittimato ad
accedere, dovendo valutare una questione di natura processuale, a
seguito della denuncia di un error in procedendo ex art. 606, comma 1,
lett. c), c.p.p., rispetto al quale la Corte Suprema di cassazione è
“giudice anche del fatto” (Sez. un., sentenza n. 42792 del 31 ottobre
2001, CED Cass. n. 220092)], risulta che non vi è menzione dell’istanza

23

difensore), pur non inidonea a dare certezza dell’intervenuta ricezione

24

de qua, che deve, pertanto, ritenersi non portata tempestivamente a
conoscenza del collegio.
L’imputato, optando per una forma irregolare di invio, ha
necessariamente assunto su di sé l’alea della mancata tempestiva
valutazione dell’istanza da parte del collegio competente a valutarla; egli
non ha documentato il corretto assolvimento dell’onere di verificare che

cancelleria del giudice competente a valutarla, e fosse stata
tempestivamente portata all’attenzione di quest’ultimo, né l’assoluta
impossibilità di far pervenire nei modi previsti dal’art. 121 c.p.p. al
Tribunale l’istanza e la documentazione ad essa allegata.
Il motivo è, pertanto, infondato.

8. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Invero, ai sensi dell’art. 108, comma 3, c.p.p. la rinunzia al mandato
è efficace soltanto dal momento in cui il difensore rinunziante venga
effettivamente sostituito da altro difensore (nominato di fiducia o di
ufficio) e sia decorso il termine per la difesa eventualmente all’uopo
accordato.

8.1. Peraltro, il motivo appare anche dedotto in palese carenza di
interesse, atteso che il ricorrente non ha indicato il pregiudizio in ipotesi
subito, ovvero l’atto che sarebbe stato compiuto in assenza di un
difensore.

8.2. Deve, infine, escludersi che la nomina di un difensore di ufficio
immediatamente reperito in udienza, senza seguire le procedure di cui
all’art. 97, comma 2, c.p.p., sia nulla, sia perché tale procedura più
rapida è specificamente prevista dall’art. 97, comma 4, c.p.p., sia
perché l’eventuale irregolarità non è in alcun modo sanzionata, né incide
di per sé sul concreto ed utile esercizio del diritto di difesa, a meno che
non risulti prova del contrario (e, nella specie, il ricorrente non ha
indicato il vulnus in ipotesi subito).

24

l’istanza trasmessa a mezzo fax fosse effettivamente pervenuta nella

25
In proposito, si è, infatti, già osservato (Cass. pen., Sez. III,
sentenza n. 5496 del 2 dicembre 2008, dep. 9 febbraio 2009, CED Cass.
n. 242475) che l’inosservanza della regola prevista dall’art. 97, comma
2, c.p.p. può configurare una nullità generale solo se la parte che la
deduce dimostri che tale inosservanza abbia cagionato in concreto una
lesione o menomazione del diritto di difesa.

congiuntamente.
L’ottavo motivo è fondato limitatamente alla doglianza inerente al
beneficio della sospensione condizionale della pena, apparentemente
negato in dispositivo, ma inequivocabilmente ritenuto in motivazione e
senz’altro concedibile, alla stregua degli stessi rilievi dei giudici di
merito.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata limitatamente alla
mancata applicazione della sospensione condizionale della pena, che va
disposta.

9.1. Ciò comporta la manifesta infondatezza del sesto motivo,
peraltro generico (perché non tiene adeguatamente conto delle
argomentazioni della Corte di appello, che non confuta con la dovuta
specificità).
Invero, a prescindere dal rilievo che la Corte di appello ha
puntualmente indicato, nel merito, le ragioni per le quali riteneva
l’imputato

immeritevole del

dell’accertato

tempus

chiesto

commissi

considerazione che con la
contestualmente applicato

condono,

delicti,

in considerazione

appare

assorbente la

sentenza di condanna non può essere
l’indulto e disposta

la sospensione

condizionale della pena, in quanto quest’ultimo beneficio – che si è visto
essere implicitamente stato accordato, e comunque dover essere
accordato all’imputato – prevale sul primo (Sez. un., sentenza n. 36837
del 15 luglio 2010, CED Cass. n. 247940).

9.2. Generica (perché ancora una volta non tiene adeguatamente
conto delle argomentazioni della Corte di appello, che non confuta con la

25

9. Il sesto motivo e l’ottavo motivo vanno esaminati

26
dovuta specificità) e manifestamente infondata è anche l’ulteriore
doglianza di cui all’ottavo motivo, inerente alla mancata concessione del
beneficio della non menzione.
La concessione del beneficio della non menzione della condanna nel
certificato del casellario giudiziale è rimessa all’apprezzamento
discrezionale del giudice sulla base di una valutazione delle circostanze di

esposizione delle ragioni della decisione (Cass. pen., Sez. III, sentenza n.
7608 del 17 novembre 2009, dep. 25 febbraio 2010, CED Cass. n.
246183).
La Corte di appello, correttamente conformandosi al predetto
principio, ha legittimamente motivato il diniego del beneficio
valorizzando «la necessità di un’emenda, conseguente all’osservazione
della attuazione di una personale difesa posta in essere ribaltando su
altri soggetti innocenti le proprie responsabilità (il diverso mandatario,
l’imprenditore della società concessionaria)>>.

9.2.1. Né il diniego del beneficio di cui all’art. 175 c.p. può apparire
contraddittorio in relazione alla concessione della sospensione
condizionale della pena.
Questa Corte Suprema (Sez. VI, sentenza n. 34489 del 14 giugno
2012, CED Cass. n. 253484) ha, in argomento, già chiarito che il
beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario
giudiziale è diverso da quello della sospensione condizionale della pena
perché, mentre quest’ultima ha l’obiettivo di sottrarre alla punizione il
colpevole che presenti possibilità di ravvedimento e di costituire,
attraverso la possibilità di revoca, un’efficace remora ad ulteriori
violazioni della legge penale, il primo persegue lo scopo di favorire il
ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione della pubblicità
quale particolare conseguenza negativa del reato, sicché non è
contraddittorio il diniego di uno dei due benefici e la concessione
dell’altro.

26

cui all’art. 133 c.p., senza che sia necessaria una specifica e dettagliata

I
77

5
4

10. Il settimo motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte di
appello correttamente osservato che

«la pena appare adeguata al

fatto, né attese le modalità dell’azione e la durata dell’attività consistita
nel “raggiro” delle vittime, si ritiene di dover attribuire maggior valore
alle circostanze attenuanti generiche riconosciute come equivalenti» .
Trattasi di rilievi in fatto esaurienti, logici, non contraddittori, come
tali senz’altro incensurabili in sede di legittimità, a fronte dei quali privi

vita dell’imputato.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla
mancata applicazione della sospensione condizionale della pena, che
dispone. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 5 novembre 2013.

di decisivo contrario rilievo appaiono le invocate disagiate condizioni di

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