Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9029 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9029 Anno 2014
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MIRRA GIUSEPPE N. IL 02/02/1965
avverso la sentenza n. 1224/2009 CORTE APPELLO di SALERNO, del
02/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per diz, F ,,L.gma_,,,, . /v,.: bzi: 4-e/

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Data Udienza: 05/11/2013

1

RITENUTO IN FATTO
1.

La Corte d’appello di Salerno, con la sentenza indicata in

epigrafe, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Nocera
Inferiore che, in data 18 marzo 2008, aveva dichiarato l’odierno
ricorrente colpevole di rapina (così qualificata l’originaria imputazione
di furto con strappo) e lesioni (fatti commessi in Angri il 31 ottobre

pena ritenuta di giustizia.
2.

Contro tale provvedimento, l’imputato (con l’ausilio di un

difensore iscritto all’apposito albo speciale) ha proposto ricorso per
cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione (lamenta che la sentenza della Corte di appello abbia
richiamato per relationem la condivisa sentenza di primo grado, senza
tenere/ adeguatamente conto dei rilievi dell’appellante e delle tesi
difensive);
Il – inosservanza od erronea applicazione della legge penale quanto
alla qualificazione giuridica dei fatti, che non integrerebbero gli estremi
del reato di rapina, bensì gli estremi dell’originariamente configurato
furto con strappo; in proposito ammette che la p.o.,che indossava la
catenina oggetto della condotta contestata/ abbia riportato graffi al
collo e sanguinamento delle gengive, ma lamenta che non sia stata
considerata l’eventualità che tali lesioni fossero conseguenza di una
sua reazione al furto con strappo; lamenta, infine, la mancata
concessione delle attenuanti generiche).

3.

All’odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità

degli avvisi di rito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e
questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato
mediante lettura in udienza.

2007), unificati dal vincolo della continuazione, condannandolo alla

2

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’ SULLA
MOTIVAZIONE
1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per

vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006,
che, a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato
la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine
sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la
propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito,
dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza
delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
giustificare il suo convincimento.

1.1. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni
processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso
qualora comporti il c.d. «travisamento della prova» (consistente
nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della
valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato
probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività
nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purché
siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si
pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate
alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la
loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e
non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame
parcellizzato.

1.1.1. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione
dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» deve, a pena di inammissibilità (Cass.
pen., Sez. I, sentenza n. 20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n.

2

cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come

3
234115; Sez. VI, sentenza n. 45036 del 2 dicembre 2010, CED Cass.
n. 249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale
atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la

(c)

ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato

probatorio

invocato,

nonché

dell’effettiva

esistenza

dell’atto

processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori
ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza
della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità”
all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

1.1.2.

In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella

giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del
ricorso”, inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte
Suprema.
Valorizzando dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n.
5, c.p.c. (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello
o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per
Cassazione: «(…)

5) per omessa, insufficiente o contraddittoria

motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato
dalle parti o rilevabile di ufficio»;

la disposizione stabilisce

attualmente, all’esito delle modifiche apportate dall’art. 54 d.l. n. 83
del 2012, convertito in I. n. 134 del 2012, che le sentenze pronunciate
in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con
ricorso per cassazione «(…) 5) per omesso esame circa un fatto

decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti»), ed attualmente la formulazione (introdotta dal D. Lgs. n. 40

3

(..„

4

4
del 2006) dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (a norma del quale il
ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità:
<<(...) 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda»), si è osservato che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell'autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l'esposizione dei motivi del gravame non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte (Cass. civ. Sez. II, sentenza 2 dicembre 2005, n. 26234, CED Cass. n. 585217; Sez. lav., sentenza 17 agosto 2012, n. 14561, CED Cass. n. 623618). Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che «la teoria dell'autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in precedenza), posto che anche in sede penale - in virtù del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato -deve ritenersi precluso a questa Corte l'esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso» (Sez. I, sentenza n. 16706 del 18 marzo - 22 aprile 2008, CED Cass. n. 240123; Sez. I, sentenza n. 6112 del 22 gennaio - 12 febbraio 2009, CED Cass. n. 243225; Sez. V, sentenza n. 11910 del 22 gennaio - 26 marzo 2010, CED Cass. n. 246552, per la quale è inammissibile il ricorso per c_A 4 che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, 5 cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze; Sez. VI, sentenza n. 29263 dell' 8 - 26 luglio 2010, CED Cass. n. 248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso; Sez. II, sentenza n. 25315 del 20 marzo - 27 giugno 2012, CED Cass. n. 253073, per la quale in tema di ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l'omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare l'atto asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione). In proposito, va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto: «In tema di ricorso per cassazione, va recepita e applicata anche in sede penale la teoria della "autosufficienza del ricorso", elaborata in sede civile; ne consegue che, quando i motivi riguardino specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante l'allegazione o la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente indicati, non potendo egli limitarsi ad invitare la Corte Suprema alla lettura degli atti indicati, posto che anche in sede penale è precluso al giudice di legittimità l'esame diretto degli atti del processo>>

1.2.

La mancanza,

l’illogicità e la contraddittorietà della

motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono

5

inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le

6
risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu ocuii, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato
le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso,

affermati da questa Corte Suprema, Sez. un., sentenza n. 24 del 24
novembre 1999, CED Cass. n. 214794; Sez. un., sentenza n. 12 del 31
maggio 2000, CED Cass. n. 216260; Sez. un., sentenza n. 47289 del
24 settembre 2003, CED Cass. n. 226074).
Devono tuttora escludersi la possibilità, per il giudice di legittimità,
di <>, ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile

ictu ocu/i ed assuma

anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non
è sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e,
quindi, anche contraddittorio).

1.4. Va, infine, evidenziato che non è denunciabile il vizio di
motivazione con riferimento a questioni di diritto.

1.4.1. Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di
questa Corte Suprema (Sez. II, sentenze n. 3706 del 21. – 27 gennaio
2009, CED Cass. n. 242634, e n. 19696 del 20 – 25 maggio 2010, CED
Cass. n. 247123), anche sotto la vigenza dell’abrogato codice di rito
(Sez. IV, sentenza n. 6243 del 7 marzo – 24 maggio 1988, CED Cass.
n. 178442), il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di
legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di
diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o
contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque
esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza,
mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta,
poco importa se e quali argomenti la sorreggano.
E, d’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo
dall’errata soluzione di una questione giuridica, non dall’eventuale
erroneità degli argomenti posti a fondamento giustificativo della
r…..1:::)
soluzione comunque corretta di una siffatta questione (Sez. IV,

7

(d)

8
sentenza n. 4173 del 22 febbraio – 13 aprile 1994, CED Cass. n.
197993).

Va, pertanto, ribadito il seguente principio di diritto:
«nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è
denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice
di merito, allorquando la soluzione di esse sia giuridicamente corretta.

dall’errata soluzione delle suddette questioni, non dall’indicazione di
ragioni errate a sostegno di una soluzione comunque giuridicamente
corretta).

LA NECESSARIA SPECIFICITA’ DEL RICORSO PER
CASSAZIONE
2. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, condivisibilmente,
orientata nel senso dell’inammissibilità, per difetto di specificità, del
ricorso presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento
impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa
(Sez. VI, sentenza n. 32227 del 16 luglio 2010, CED Cass. n. 248037:
nella fattispecie il ricorrente aveva lamentato la “mancanza e/o
insufficienza e/o illogicità della motivazione” in ordine alla sussistenza
dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a
fondamento di un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale;
Sez. VI, sentenza n. 800 del 6 dicembre 2011 – 12 gennaio 2012,
Bidognetti ed altri, CED Cass. n. 251528).
Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. stabilisce che i
provvedimenti sono ricorribili per

«mancanza, contraddittorietà o

manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo
del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo
specificamente indicati nei motivi di gravame».
La disposizione, se letta in combinazione con l’art. 581, comma 1,
lett. c), c.p.p. (a norma del quale è onere del ricorrente «enunciare i
motivi del ricorso, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e
degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta») evidenzia che
non può ritenersi consentita l’enunciazione perplessa ed alternativa dei

8

D’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere soltanto

9
motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente di specificare con
precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla
mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a
una pluralità di tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione
alle varie parti della motivazione censurata.
Il principio è stato più recentemente accolto anche da questa

«È inammissibile, per difetto di

specificità, il ricorso nel quale siano prospettati vizi di motivazione del
provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma
perplessa o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con
precisione se le censure siano riferite alla mancanza, alla
contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali
vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della
motivazione oggetto di gravame>> (Sez. II, sentenza n. 31811 dell’8
maggio 2012, CED Cass. n. 254329).
Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione
risulta priva della necessaria specificità, il che rende il ricorso
inammissibile.

2.1. Infine, secondo altro consolidato e condivisibile orientamento
di questa Corte Suprema (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22
febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n.
34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è
inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga
pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (al più con
l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente
assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata)
senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni
in
..«….
virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.

9

sezione, a parere della quale

10
2.1.1. Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n.
8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che
«La funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica
argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica
argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a
pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare
specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che

impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto
puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli
elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del
provvedimento il cui dispositivo si contesta).

2.1.2. Il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una
“duplice specificità”: «Deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581
c.p.p., lett. C (e quindi contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e
degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al
giudice dell’impugnazione); ma quando “attacca” le ragioni che
sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare
in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente
sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett.
e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua
decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per
giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione
differente>> (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio
2013, CED Cass. n. 254584).

2.1.3. Risulta, pertanto, evidente che, «se il motivo di ricorso si
limita a riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina
all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la
quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento),
posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora
formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di specifica
critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di
……___,
redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del motivo

10

sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di

11
d’appello) potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio
di omessa motivazione da parte del giudice d’appello in ordine a
quanto devolutogli nell’atto di impugnazione. Infatti, quand’anche
effettivamente il giudice d’appello abbia omesso una risposta,
comunque la mera riproduzione grafica del motivo d’appello condanna
il motivo di ricorso all’inammissibilità. E ciò per almeno due ragioni. È
censura di merito. Ma soprattutto (il che vale anche per l’ipotesi delle

censure in diritto contenute nei motivi d’appello) non è mediata dalla
necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa
motivazione (e tanto più nel caso della motivazione cosiddetta
apparente che, a differenza della mancanza “grafica”, pretende la
dimostrazione della sua mera “apparenza” rispetto ai temi
tempestivamente e specificamente dedotti); denuncia che, come
detto, è pure onerata dell’obbligo di argomentare la decisività del vizio,
tale da imporre diversa conclusione del caso».

2.1.4. Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o
parziale, del motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di
ricorso (ed in alcune circostanze costituisce incombente essenziale
dell’adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso), ma solo
quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con
autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora
indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso
e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta
dei principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei
provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei
parametri della prima sentenza con i motivi d’appello e della seconda
sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena
applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione»

(Sez. VI,

sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n.
254584).

LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA D’APPELLO
3. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono

11

12
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter
motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 1307 del 26
settembre 2002 – 14 gennaio 2003, CED Cass. n. 223061).

3. 1 .

In presenza di una doppia conforma affermazione di

della sentenza d’appello

per relationem

a quella della decisione

impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di
primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli
già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello,
nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si
regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni
sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle
quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute
esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente
censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato
organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento
per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici
dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle
determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione,
sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito
costituiscano una sola entità (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 1309 del
22 novembre 1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III,
sentenza n. 13926 del 10 dicembre 2011 – 12 aprile 2012, CED Cass.
n. 252615).

L’AFFERMAZIONE DI RESPONSABILITA’ <>.
4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione
<> sulla colpevolezza
dell’imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma
dell’art. 530, comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un
diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a
quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito
il principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento
costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla
giurisprudenza di questa Corte Suprema – per tutte, Sez. un., sentenza
n. 30328 del 10 luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo
successivamente recepita nel testo novellato dell’art. 533 c.p.p.),
secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza
processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (Cass. pen.,
Sez. II, sentenza n. 19575 del 21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785;
Sez. II, sentenza n. 16357 del 2 aprile 2008, CED Cass. n. 239795).
In argomento, si è più recentemente, e conclusivamente, affermato
(Sez. II, sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012 – 13 febbraio 2013,
CED Cass. n. 254025) che <

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