Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9027 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9027 Anno 2014
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

surricorApropostò da:
MASSARI ORSOLA N. IL 20/10/1962
CIRFERA PATRIZIO N. IL 22/10/1983
avverso la sentenza n. 3606/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
05/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Yt, GA A:(2_
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Data Udienza: 05/11/2013

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I

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe,
ha confermato, per quanto riguarda le affermazioni di responsabilità, la
sentenza con la quale il G.U.P. del Tribunale di Monza, in data 19 marzo
2021, aveva dichiarato PATRIZIO CIRFERA colpevole di concorso nella
rapina aggravata di cui al capo F) e di cessione illecita di sostanze

colpevole di concorso nella rapina aggravata di cui al capo F) e dei furti
aggravati di cui ai capi A) e G), con la recidiva reiterata specifica per
quest’ultima. Alla MASSARI venivano concesse le attenuanti di cui agli
artt. 116, comma 2, e 62-bis c.p., con giudizio di equivalenza alle
aggravanti contestate e ritenute; al CIRFERA le attenuanti di cui agli
artt. 62 n. 6 e 62-bis c.p., con giudizio di equivalenza alle aggravanti
contestate e ritenute. La Corte di appello riduceva, per entrambi, le
pene ritenute di giustizia.
2. Avverso tale provvedimento, gli imputati (la MASSARI con l’ausilio
di un difensore iscritto nell’apposito albo speciale, il CIRFERA
personalmente) hanno proposto ricorsi per cassazione, deducendo i
motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:

ricorso CIRFERA:
I – mancanza di motivazione in ordine all’aumento di pena per la
continuazione.

Ricorso MASSARI:
I – nullità della sentenza per violazione degli artt. 116, comma 1, e
628 c.p. – 125, comma 3, 192, commi 1 e 2, 546, comma 1, lett. e)
c.p.p. e 111 della Costituzione, nonché mancanza, contraddittorietà,
manifesta illogicità della motivazione (lamenta quanto alla rapina di cui

4

al capo F) di avere avuto consapevolezza unicamente della
perpetrazione di un furto, che doveva aver luogo nella casa in cui era
collaboratrice domestica e della quale aveva dato le chiavi ai complici);

stupefacenti commessa il 26 marzo 2011, ed ORSOLA MASSARI

2
H – nullità della sentenza per violazione degli artt. 81, comma 2, e
133 c.p. – 125, 192, 546 c.p.p. e 111 della Costituzione, con mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (lamenta
disparità di trattamento sanzionatorio rispetto ad una coimputata,
quanto agli operati aumenti per la continuazione, nonché omessa
considerazione di una serie di elementi sintomatici della propria

Ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con
le statuizioni conseguenti.

3.

All’odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità

degli avvisi di rito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e
questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato
mediante lettura in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’ SULLA
MOTIVAZIONE
1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per
cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come
vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che,
a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la
possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul
discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria
valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il
giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo
convincimento.

1.1.

4

La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni

processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso

2

meritevolezza).

3
qualora comporti il c.d. «travisamento della prova» (consistente
nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della
valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato
probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività
nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purché
siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si
pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate

loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non
ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.

1.1.1. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione
dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» deve, a pena di inammissibilità (Cass.
pen., Sez. I, sentenza n. 20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n.
234115; Sez. VI, sentenza n. 45036 del 2 dicembre 2010, CED Cass. n.
249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
(b)

individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale

atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la
ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c)

dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato

probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale
su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti
nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno ,
dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

3

alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la

4

1.1.2.

In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella

giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del
ricorso”, inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte
Suprema.
Valorizzando dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5,
c.p.c. (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello o in

«(…) 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa
un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile
di ufficio»;

la disposizione stabilisce attualmente, all’esito delle

modifiche apportate dall’art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in I. n.
134 del 2012, che l*e sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico
grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione <<(...) 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»), ed attualmente la formulazione (introdotta dal D. Lgs. n. 40 del 2006) dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità: <<(...) 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda»), si è osservato che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell'autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l'esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte (Cass. civ. Sez. II, sentenza 2 dicembre 2005, n. 26234, CED Cass. n. 585217; Sez. lav., sentenza 17 agosto 2012,, n. 14561, CED Cass. n. 623618). 4 unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione: 5 Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che <>

10

assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata)

11
(Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED
Cass. n. 254584).

2.1.3. Risulta, pertanto, evidente che, «se il motivo di ricorso si
limita a riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina
all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale
è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto

‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata,
è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di redazione del motivo di
ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello) potrebbe essere
invocata come implicita denuncia del vizio di omessa motivazione da
parte del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli nell’atto di
impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il giudice d’appello
abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del
motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilità. E ciò
per almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che vale
anche per l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello)
non è mediata dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del
vizio di omessa motivazione (e tanto più nel caso della motivazione
cosiddetta apparente che, a differenza della mancanza “grafica”,
pretende la dimostrazione della sua mera “apparenza” rispetto ai temi
tempestivamente e specificamente dedotti); denuncia che, come detto,
è pure onerata dell’obbligo di argomentare la decisività del vizio, tale da
imporre diversa conclusione del caso>>.

2.1.4. Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o
parziale, del motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di
ricorso (ed in alcune circostanze costituisce incombente essenziale
dell’adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso), ma solo
quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con
autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora
indefettíbilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e
con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei
principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei

11

che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente

12
provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei
parametri della prima sentenza con i motivi d’appello e della seconda
sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena
applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione»

(Sez. VI,

sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n.
254584).

3. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente

iter

motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 1307 del 26
settembre 2002 – 14 gennaio 2003, CED Cass. n. 223061).

3.1.

In presenza di una doppia conforma affermazione di

responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione
della sentenza d’appello

per relationem

a quella della decisione

impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo
grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già
esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione
del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza
impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite
dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato
organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per
giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici
dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle
determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione,,,..
sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano

12

LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA D’APPELLO

13
una sola entità (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 1309 del 22 novembre
1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III, sentenza n.
13926 del 1° dicembre 2011 – 12 aprile 2012, CED Cass. n. 252615).

L’AFFERMAZIONE DI RESPONSABILITA’ <>.
4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione

533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno evidenziare
che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone,
ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione
di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è
permeato il nostro sistema processuale.
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha
una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in
precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed
ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di
questa Corte Suprema – per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10
luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel
testo novellato dell’art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna è possibile
soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della
responsabilità dell’imputato (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 19575 del
21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785; Sez. II, sentenza n. 16357 del 2
aprile 2008, CED Cass. n. 239795).
In argomento, si è più recentemente, e conclusivamente, affermato
(Sez. II, sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012 – 13 febbraio 2013,
CED Cass. n. 254025) che «La previsione normativa della regola di
giudizio dell’ “al di là di ogni ragionevole dubbio”, che trova fondamento

13

«oltre ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato dell’art.

14
nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha
introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova
ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di
condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità
dell’imputato».

I RICORSI
Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli

odierni ricorsi.

6. Il ricorso CIRFERA è, all’evidenza, infondato.
La Corte di appello, in accoglimento delle doglianze dell’imputato, ha
già ridotto la pena irrogata dal primo giudice di quattro mesi di
reclusione, e l’imputato non ha indicato l’elemento (non valutato, o mal
valutato) che a suo dire lo avrebbe reso meritevole di un trattamento
ancor più favorevole.

7. Il ricorso della MASSARI è anch’esso del tutto infondato.

7.1.

Quanto al primo motivo, occorre premettere che la

responsabilità del correo può essere esclusa, ai sensi dell’art. 116 c.p.,
soltanto se il diverso e più grave reato realizzato dai compartecipi
costituisca un fatto anormale, eccezionale, e quindi non prevedibile.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, in proposito,
assolutamente ferma nel ritenere che sussiste il necessario rapporto di
causa ad effetto tra il reato di furto inizialmente programmato e quello di
rapina (propria od impropria), commesso successivamente, poiché è del
tutto prevedibile che un compartecipe possa trascendere ad atti di
violenza o minaccia nei confronti della parte lesa o di terzi, per assicurarsi
il profitto del furto, o comunque guadagnare l’impunità (Cass. pen., sez.
II, n. 519 del 26 maggio 1981, dep. 23 gennaio 1982, Michelangeli, rv.
151694; conformi, sez. II, n. 1783 del 2 giugno 1983, dep.

10 marzo

1964, Papa, rv. 162872, per la quale non è atipico ed imprevedibile l’uso
della violenza da parte di uno solo dei concorrenti nel furto in danno delle
persone intervenute per bloccarlo; sez. II, n. 138 del 9 luglio 1984, dep
14

5.

15
8 gennaio 1985, Mariniello, rv. 167299, per la quale la rapina impropria
non costituisce evento atipico ed imprevedibile rispetto al furto; sez. II,
n. 6300 del 230 ottobre 1990, dep. 10 giugno 1991, Pizzalu, rv. 187403,
per la quale l’uso eventuale di violenza o minaccia può essere ritenuto
prevedibile sviluppo della condotta finalizzata a commettere un furto, e,
se realizzato, fa progredire la sottrazione della cosa mobile altrui in
rapina impropria ascrivibile al compartecipe a titolo di concorso anomalo

rv. 224042).
Deve, pertanto, ritenersi che «l’eventuale uso di violenza o minaccia

da parte di uno dei concorrenti nel reato di furto per assicurare a sé o ad
altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri
l’impunità può essere ritenuto logico e prevedibile sviluppo della condotta
finalizzata alla commissione del furto e, se realizzato, comporta la
configurabilità nei confronti dei concorrenti nolenti del concorso
“anomalo” ex art. 116 c.p. nel reato di rapina ascrivibile al compartecipe
che se ne sia reso materialmente responsabile» (Sez. H, sentenza n.
32644 del 18 giugno 2013, CED Cass. n. 256841).

7.1.2. Quanto ai tratti che distinguono il concorso “anomalo” ex art.
116 c.p. dall’ordinario concorso nel reato ex art. 110 c.p., si è in più
occasioni chiarito che la responsabilità del compartecipe per il fatto più
grave rispetto a quello concordato, materialmente commesso da un altro
concorrente, integra il concorso ordinario

ex art. 110 c.p., se il

compartecipe ha previsto e accettato il rischio di commissione del delitto
diverso e più grave, mentre configura il concorso anomalo ex art. 116
c.p., nel caso in cui l’agente, pur non avendo in concreto previsto il fatto
più grave, avrebbe potuto rappresentarselo come sviluppo logicamente
prevedibile dell’azione convenuta facendo uso, in relazione a tutte le
circostanze del caso concreto, della dovuta diligenza (per tutte, Cass.
peti., sez. I, n. 4330 del 15 novembre 2011, dep.

10 febbraio 2012,

Camko, rv. 251849).

7.1.3. Ciò premesso, deve rilevarsi che la Corte di appello si è
correttamente conformata a tali principi, valorizzando (f. 9 s.), a

15

ex art. 116 c.p.; da ultimo, sez. VI, n. 9952 del 22 gennaio 2003, Fanti,

16
sostegno dell’affermazione di responsabilità in danno dell’imputata, a
titolo di concorso anomalo nella rapina di cui al capo F), il fatto che il
furto inizialmente programmato, poi sfociato in una rapina, fosse stato
eseguito grazie alle notizie fornite dalla donna ai complici, e proprio dai
soggetti ai quali, oltre alle notizie predette, ella aveva fornito le chiavi
dell’appartamento ove prestava opera di collaboratrice domestica,
fornendo un contributo essenziale alle condotte dei complici, ed

come furti siano degenerati in rapina» e che, nel caso di specie, la
MASSARI aveva detto ai complici dove era la cassaforte, ma non quale
ne fosse la combinazione, ed era pertanto prevedibile l’uso della
violenza per ottenerne comunicazione dal derubato; ed anche se fosse
stato effettivamente progettato soltanto l’uso della fiamma ossidrica per
scassinarla, i ladri avrebbero necessariamente fatto rumore e richiamato
l’attenzione di altre persone, il che avrebbe necessitato l’impiego della
violenza per portare a compimento il progetto delittuoso, e comunque
l’introduzione nell’altrui domicilio comporta sempre il rischio di dover
vincere resistenze altrui con la violenza.

7.2. Del tutto generico, oltre che manifestamente infondato, è l’altro
motivo.
La pretesa di una perequazione del trattamento sanzionatorio tra
tutti i complici è all’evidenza priva di fondamento, e comunque non
argomentata: la ricorrente non evidenzia, infatti, con la dovuta
specificità le ragioni per le quali la propria posizione avrebbe dovuto
essere quoad poenam in tutto parificata a quella della coimputata
PERRONE, rispetto alla quale la MASSARI è comunque gravata da una
più grave recidiva, senz’altro costituente indice di più elevata capacità
criminale e maggiore pericolosità sociale.
Inoltre, la Corte di appello, in accoglimento delle doglianze
dell’imputata, ha già ridotto la pena irrogata dal primo giudice di sei
mesi di reclusione, valorizzando, sia pur indirettamente, proprio i
significativi precedenti dai quali l’imputata è gravata, senz’altro di rilievo
assorbente rispetto agli elementi invocati in ricorso.

16

evidenziando che <<è accadimento frequente e normale che delitti nati 17 8. Il rigetto totale dei ricorsi comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, udienza pubblica 5 novembre 2013.

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