Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9024 del 27/10/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9024 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ZAGARIA PASQUALE N. IL 05/01/1960
avverso l’ordinanza n. 6560/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 09/01/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 27/10/2015

RITENUTO IN FATTO
1.

Con ordinanza deliberata il 9 gennaio 2015 il Tribunale di

Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo avverso il provvedimento del
Ministro della giustizia, in data 31 luglio 2014, di applicazione del regime
penitenziario differenziato, di cui all’art. 41-bis Ord. Pen., nei confronti di
Zagaria Pasquale, detenuto con posizione mista, in espiazione di cumulo di
pene e di condanna per associazione per delinquere di tipo mafioso, e in

tra cui ulteriore associazione di tipo mafioso.
Il Tribunale ha ritenuto ancora attuale il pericolo di collegamenti del
reclamante con la criminalità organizzata, sulla premessa della tendenziale
indissolubilità del patto associativo criminoso, salva esplicita rottura
mediante scelta collaborativa o dissociazione, non attuata nel caso di
specie, e in considerazione degli elementi emergenti dai precedenti penali e
giudiziari dell’interessato e dalle notizie fornite dagli uffici investigativi
qualificati, DDA (Direzione distrettuale antimafia) di Napoli e DNA
(Direzione nazionale antimafia), Comando generale dell’Arma dei
Carabinieri e Ministero dell’Interno – Direzione centrale anticrimine.
Sono stati, in particolare, sottolineati: a) il profilo criminale di Zagaria,
inserito ai massimi livelli nel clan dei Casalesi; b) la perdurante vitalità della
criminalità organizzata nel territorio campano di interesse; c) i radicati
legami criminali di Zagaria, testimoniati anche dalla sua irreperibilità dal
2004 al 2006 e dalla latitanza protrattasi per oltre un anno; d) la mancanza
di elementi attestanti una dissociazione dal contesto criminale di
appartenenza, non essendo a tal fine sufficiente la volontaria costituzione in
carcere dopo i suddetti periodi di irreperibilità e latitanza.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Zagaria
tramite il difensore di fiducia, il quale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.
b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 41-bis, comma 2 e 2-bis, Ord. Pen.,
censura il provvedimento per aver ritenuto erroneamente, in violazione del
dettato normativo, la sussistenza dei presupposti per la proroga del regime
detentivo differenziato e, in particolare, per aver riconosciuto, in assenza di
elementi concreti ed attuali e nonostante la cessazione del sodalizio di cui
Zagaria avrebbe fatto parte, l’astratta possibilità di futuri collegamenti tra il
detenuto e le associazioni criminali tale da esporre a pericolo l’ordine e la
sicurezza pubblica.

1

custodia cautelare in carcere nell’ambito di due procedimenti per reati vari

3. Il 2 ottobre 2015 è pervenuta memoria difensiva a confutazione della
proposta di inammissibilità del ricorso, con richiesta di trattazione del
gravame davanti alla competente sezione di questa Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso risulta basato su motivi non consentiti nel giudizio di
legittimità e, comunque, è manifestamente infondato.

comma 25, lett.

d), della I. 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i

provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono
prorogabili “per successivi periodi, ciascuno pari a due anni (…), quando
risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione
criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.
L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal
comma 2-sexies [recentemente sostituito dall’art. 2, comma 25, lett. b), I.
n. 94 del 2009, cit.] del novellato art.

41-bis, a norma del quale il

Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica che procede
alle indagini preliminari, il Procuratore generale presso la Corte d’appello, il
detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della
sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale
(solo) “per violazione di legge”.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da
intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso,
oltre che all’inosservanza delle disposizioni di legge sostanziale e
processuale, all’inesistenza della motivazione, dovendo in tale vizio essere
ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto di risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il
filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga,
ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le
ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003,
Pellegrino, Rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, Santapaola, Rv. 230203;
Sez. 6, n. 7651 del 14/01/2010, dep. 25/02/2010, Mannino, Rv. 246172).
2. Alla luce dei suddetti principi osserva la Corte che il ricorso, pur
denunciando formalmente il vizio di violazione di legge per inosservanza
dell’art.

41-bis Ord. Pen., sul presupposto dell’inesistenza di attuale

capacità del ricorrente di mantenere contatti con il gruppo mafioso di
2

et

L’art. 41 bis, comma 2-bis, della I. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2,

appartenenza a causa della dissoluzione dello stesso per gli arresti attuati e
la collaborazione intrapresa da Iovine Antonio, esponente apicale del clan
dei Casalesi, come sarebbe stato pubblicamente attestato, nel giugno 2014,
dal Procuratore nazionale antimafia, tende in realtà a provocare una
rivalutazione delle circostanze di fatto, non consentita in sede di legittimità.
L’ordinanza impugnata ha correttamente valutato gli elementi risultanti
agli atti, senza violare la legge, sottolineando la permanenza del fenomeno
camorristico nel territorio di interesse, pur nella ristrutturazione dei

in tale contesto potrebbe essere esercitato anche da Zagaria, in ragione del
prestigio accumulato nella sua carriera criminale a livello apicale, con il
conseguente coerente riconoscimento, in assenza di elementi concreti da cui
desumere la rescissione dei vincoli delinquenziali, di una situazione di
permanente pericolo di collegamenti tra il detenuto e le realtà criminali
locali, ove sottoposto al regime penitenziario ordinario.
La motivazione è, dunque, esaustiva e coerente e tiene conto dei rilievi
difensivi; mentre il ricorso propone censure non consentite nella misura in
cui postula una rivisitazione del giudizio di merito in punto di pericolosità, e
si rivela manifestamente infondato laddove denuncia violazione di legge per
inesistenza o mera apparenza della motivazione.
3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto, ai
sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
cost. sentenza n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare, tra il
minimo e il massimo previsti, in euro mille.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa
delle ammende.
Così deciso il 27 ottobre 2015.

precedenti assetti imposta dalla pressione repressiva, e il ruolo di rilievo che

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