Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9024 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9024 Anno 2014
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAURIA NUNZIO N. IL 11/06/1973
PELLEGRINI EMMANUEL N. IL 25/01/1982
RAINO’ FRANCESCO N. IL 06/05/1969
MOSCA DOMENICO COSIMO DAMIANO N. IL 06/02/1969
avverso la sentenza n. 129/2009 CORTE APPELLO di POTENZA, del
25/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/1 1/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per j_ i
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U o, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Q.AJJ g

Data Udienza: 05/11/2013

1

RITENUTO IN FATTO
1. Il G.U.P. del Tribunale di Matera, con sentenza emessa in data 12
febbraio 2008 all’esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato NUNZIO
LAURIA, EMMANUEL PELLEGRINI e FRANCESCO RAINO’ colpevoli di
concorso nell’estorsione aggravata di cui al capo A), e DOMENICO
MOSCA colpevole delle estorsioni tentata e consumata di cui al capi B) e
C) in continuazione, condannando ciascuno, con le contestate e ritenute

recidive, alle pene per ciascuno ritenute di giustizia, con le statuizioni
accessorie.
Gli episodi criminosi contestati erano tutti avvenuti presso un bar
tabaccheria di Matera, ed avevano sempre ad oggetto consumazioni non
pagate o che si era tentato di non pagare.
2. La Corte d’appello di Potenza, con la sentenza indicata in epigrafe,
in parziale riforma della sentenza di primo grado ha concesso a tutti la
circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., conseguentemente
riducendo per tutti le pene, eliminando per l’effetto quella accessoria
irrogata al MOSCA, confermando integralmente le affermazioni di
responsabilità.
3. Avverso tale provvedimento, gli imputati (tutti con l’ausilio di
difensori iscritti nell’apposito albo speciale) hanno proposto ricorso per
cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att. c.p.p.:

ricorso LAURIA:
I –

mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della

motivazione (lamentando il mancato accoglimento della richiesta di
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art. 603, comma 1, c.p.p.
per esaminare tre testimoni);
H – mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione (lamentando la mancanza di una penetrante valutazione di
attendibilità della p.o. NICOLETTI, e l’irrilevanza delle dichiarazioni del

4

2
teste SARDONE, nonché più in generale l’insussistenza degli elementi
costitutivi della contestata estorsione);
III – illogicità manifesta della motivazione e contraddittorietà
(lamentando che non si sia tenuto conto dei rapporti conflittuali
intercorrenti tra la p.o. NICOLETTI e l’imputato LAURIA);
IV – inosservanza degli artt. 62-bis e 133 c.p., nonché illogicità della
motivazione quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche

Ricorso PELLEGRINI:
I – mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione;
H – vizio di motivazione in relazione agli artt. 192 e 546, comma 1,
lett. E), c.p.p.
Lamenta, in particolare, che la portata delle dichiarazioni della p.o.
NICOLETTI sia stata sopravvalutata e travisata, nonché l’assenza di
riscontri e l’immotivata sottovalutazione delle dichiarazioni rese dai testi
a discarico.

Ricorso RAINO’:
I – violazione dell’art. 192, commi 1 e 2, c.p.p. e degli artt. 629 628 – 112 – 114 c.p., con carenza e manifesta illogicità della
motivazione.
Il ricorrente lamenta promiscuamente:
– l’erronea valutazione e travisamento della prova, poiché la p.o. non
lo avrebbe indicato tra i colpevoli dei fatti denunciati;

l’intervenuta valutazione di dichiarazioni inerenti a fatti non

contestati;
– la mancanza degli elementi costitutivi dell’estorsione;
– l’inutilizzabilità, come indizi, delle videoriprese;
– che nell’annotazione di servizio datata 23 gennaio 2007, nella
denuncia datata 28 gennaio 2007 e nelle s.i.t. rese dal SARDONE non
sarebbero evidenziabili profili di illiceità;
– la mancanza di un congruo accertamento della responsabilità
dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio;

2

ed alla determinazione della pena.

3
– la mancata indicazione dello specifico contributo fornito dal RAINO’
all’estorsione;
– la non configurabilità delle aggravanti di cui all’art. 629, comma 2,
c.p., 112 c.p. e 628, comma 3, c.p.
Richiama, inoltre, l’art. 114 c.p. senza specificare in proposito alcuna
doglianza, e lamenta, infine, difetto ed illogicità della motivazione.

Ricorso MOSCA:
I – inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e
processuale, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione, lamentando il difetto del

«necessario vaglio

critico» da parte della sentenza impugnata, che avrebbe «sposato
(…) quasi in maniera preconcetta, l’ipotesi accusatoria», e contestando
la congruità delle argomentazioni poste a fondamento dell’affermazione
di responsabilità, la qualificazione dei fatti che si è ritenuto essere stati
accertati, l’esaustività delle fonti di prova valorizzate dai giudici di
merito; lamenta, inoltre, che la motivazione posta a fondamento
dell’affermazione di responsabilità sarebbe meramente apparente;
chiede una riduzione della pena ex art. 133 c.p., nonché la concessione
delle attenuanti generiche.

4.

All’odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità

degli avvisi di rito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e
questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato
mediante lettura in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono

in toto

inammissibili per genericità e manifesta

infondatezza.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEG ITTI M ITAI SULLA
MOTIVAZIONE
1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per
cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come

3

4

4
vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che,
a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la
possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul
discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria
valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il
giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo

1.1. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni
processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso
qualora comporti il c.d. «travisamento della prova>> (consistente
nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della
valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato
probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività
nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purché
siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si
pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate
alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la
loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non
ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.

1.1.1. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione
dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di

convincimento.

«travisamento della prova» deve, a pena di inammissibilità (Cass.
pen., Sez. I, sentenza n. 20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n.
234115; Sez. VI, sentenza n. 45036 del 2 dicembre 2010, CED Cass. n.
249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;

4

4

5
(b)

individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale

atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la
ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c)

dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato

probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale
su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti

nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno
dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

1.1.2.

In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella

giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del
ricorso”, inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte
Suprema.
Valorizzando dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5,
c.p.c. (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello o in
unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione:
«(…) 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa
un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile
di ufficio»;

la disposizione stabilisce attualmente, all’esito delle

modifiche apportate dall’art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in I. n.
134 del 2012, che l*e sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico
grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione <<(..) 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»), ed attualmente la formulazione (introdotta dal D. Lgs. n. 40 del 2006) dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità: «(...) 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda»), si è osservato che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, 5 in relazione al principio 4 dell'autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l'esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito essa vengono rivolte (Cass. civ. Sez. II, sentenza 2 dicembre 2005, n. 26234, CED Cass. n. 585217; Sez. lav., sentenza 17 agosto 2012, n. 14561, CED Cass. n. 623618). Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che <>

1.2. La mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione,
come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore
tale da risultare percepibili ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità
al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le
deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza

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ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o

8
vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere
tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte Suprema, Sez. un.,
sentenza n. 24 del 24 novembre 1999, CED Cass. n. 214794; Sez. un.,
sentenza n. 12 del 31 maggio 2000, CED Cass. n. 216260; Sez. un.,
sentenza n. 47289 del 24 settembre 2003, CED Cass. n. 226074).
Devono tuttora escludersi la possibilità, per il giudice di legittimità, di

«un’analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i

risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi>> (Cass.
pen., Sez. VI, sentenza n. 14624 del 20 marzo 2006, CED Cass. n.
233621; Sez. II, sentenza n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n.
239789), e di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o dell’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. VI, sentenza n. 27429 del 4
luglio 2006, CED Cass. n. 234559; Sez. VI, sentenza n. 25255 del 14
febbraio 2012, CED Cass. n. 253099).

1.3. Il giudice di legittimità ha, pertanto, ai sensi del novellato art.
606 c.p.p., il compito di accertare (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n.
35964 del 28 settembre 2006, CED Cass. n. 234622; Sez. III, sentenza
n. 39729 del 18 giugno 2009, CED Cass. n. 244623; Sez. V, sentenza n.
39048 del 25 settembre 2007, CED Cass. n. 238215; Sez. IL sentenza
n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n. 239789):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra
individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto;
(d)

la sussistenza di una prova omessa od inventata, e del c.d.

« travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu ()culi ed assuma anche

8

singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire

9
carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e,
quindi, anche contraddittorio).

1.4. Va, infine, evidenziato che non è denunciabile il vizio di

1.4.1. Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa
Corte Suprema (Sez. II, sentenze n. 3706 del 21. – 27 gennaio 2009,
CED Cass. n. 242634, e n. 19696 del 20 – 25 maggio 2010, CED Cass.
n. 247123), anche sotto la vigenza dell’abrogato codice di rito (Sez. IV,
sentenza n. 6243 del 7 marzo – 24 maggio 1988, CED Cass. n. 178442),
il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello
attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove queste
ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od
illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non può
sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale
soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali
argomenti la sorreggano.
E, d’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo
dall’errata soluzione di una questione giuridica, non dall’eventuale
erroneità degli argomenti posti a fondamento giustificativo della
soluzione comunque corretta di una siffatta questione (Sez. IV, sentenza
n. 4173 del 22 febbraio – 13 aprile 1994, CED Cass. n. 197993).

Va, pertanto, ribadito il seguente principio di diritto:
«nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è

.4

denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di
merito, allorquando la soluzione di esse sia giuridicamente corretta.

D’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere soltanto

dall’errata soluzione delle suddette questioni, non dall’indicazione di

ragioni errate a sostegno di una soluzione comunque giuridicamente
corretta).

9

motivazione con riferimento a questioni di diritto.

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LA NECESSARIA SPECIFICITA’ DEL RICORSO PER CASSAZIONE
2.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, condivisibilmente,

orientata nel senso dell’inammissibilità, per difetto di specificità, del
ricorso presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento
impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa
(Sez. VI, sentenza n. 32227 del 16 luglio 2010, CED Cass. n. 248037:

insufficienza e/o illogicità della motivazione” in ordine alla sussistenza
dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a
fondamento di un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale;
Sez. VI, sentenza n. 800 del 6 dicembre 2011 – 12 gennaio 2012,
Bidognetti ed altri, CED Cass. n. 251528).
Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. stabilisce che i

<> (Sez. II, sentenza n. 31811 dell’8 maggio 2012, CED Cass.
n. 254329).
Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva

2.1. Infine, secondo altro consolidato e condivisibile orientamento di
questa Corte Suprema (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22
febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n.
34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è
inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga
pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (al più con
l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente
assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata)
senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in
virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.

2.1.1. Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n. 8700
del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che

<>.
4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione
«oltre ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato dell’art.
533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno evidenziare
che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone,
ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione
di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è
permeato il nostro sistema processuale.
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha
una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in
precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed…..4(

14

giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici

15
ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di
questa Corte Suprema – per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10
luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel
testo novellato dell’art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna è possibile
soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della
responsabilità dell’imputato (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 19575 del
21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785; Sez. II, sentenza n. 16357 del 2

In argomento, si è più recentemente, e conclusivamente, affermato
(Sez. II, sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012 – 13 febbraio 2013,
CED Cass. n. 254025) che «La previsione normativa della regola di

giudizio dell’ “al di là di ogni ragionevole dubbio”, che trova fondamento
nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha
introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova
ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di
condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità
dell’imputato».

I RICORSI
5.

Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli

odierni ricorsi.

Ricorso LAURIA
6.

Il ricorso presentato per conto dell’imputato LAURIA è

integralmente inammissibile per genericità, oltre che per manifesta
infondatezza.

6.1. Il primo, il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati
congiuntamente, e sono manifestamente infondati.
Occorre premettere che il mancato accoglimento della richiesta di
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio d’appello può
costituire violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p. solo nel caso
di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (art.
603, comma 2, c.p.p.), mentre negli altri casi può al più essere
15

aprile 2008, CED Cass. n. 239795).

16
prospettato il vizio di motivazione previsto dalla lett. e) del medesimo
art. 606 (Sez. V, sentenza n. 34643 dell’8 maggio 2008, CED Cass. n.
240995).
Nel caso di specie, peraltro, la Corte di appello ha motivato
l’affermazione di responsabilità con rilievi esaurienti, logici, non
contraddittori, e pertanto incensurabili in questa sede, richiamando anche
la sentenza di primo grado, come è fisiologico in presenza di una doppia

ragioni poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità, e
valorizzando (f. 7 ss. e f. 11) essenzialmente le dichiarazioni rese dalla
p.o., motivatamente ritenuta attendibile (sul punto sono state richiamate
le condivisibili osservazioni della sentenza di primo grado, f. 5 e f. 7), a
sostegno della cui attendibilità – pur non occorrendo processualmente
alcun riscontro – sono stati ulteriormente valorizzati il contenuto delle
annotazioni di servizio redatte dai Carabinieri, che in alcuni casi avevano
assistito “in presa diretta” alle condotte intimidatorie poste in essere dagli
imputati/ e delle videoriprese effettuate dall’impianto di registrazione
esistente all’interno dell’esercizio commerciale che aveva costituito teatro
delle condotte contestate, evidenziando l’atteggiamento di tracotanza
assunto dagli imputati nei confronti del NICOLETTI.
Trattasi di elementi di per sé sufficienti al fine di legittimare la
conclusiva affermazione di responsabilità dell’imputato.
Corretta appare anche la qualificazione giuridica dei fatti accertati,
finalizzati a procurare agli imputati, con violenza e/o minaccia, un pur
esiguo compenso comunque qualificabile come profitto.
A fronte di tali ineccepibili argomentazioni, dalle quali emergono anche
le ragioni (esplicitate a f. 7 della motivazione della sentenza impugnata)
della ritenuta superfluità delle attività istruttorie oggetto di richiesta di
rinnovazione del dibattimento di appello (la cui mancata ammissione
costituisce oggetto di doglianza nell’ambito del primo motivo di ricorso), il
ricorrente ha reiterato più o meno pedissequamente doglianze già
costituenti oggetto di appello e già disattese dalla Corte di appello, senza
adeguatamente confrontarsi con il percorso argomentativo seguito dalla
sentenza impugnata che ha qualificato i fatti attenendosi correttamente al

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conforme affermazione di responsabilità, indicando compiutamente le

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consolidato orientamento di questa Corte Suprema, a parere della quale è
configurabile il delitto di estorsione, e non quello di violenza privata, nel
caso in cui l’agente, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto
profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il
soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri un danno
economico. (Fattispecie nella quale l’imputato aveva costretto, mediante
violenza e minaccia, la P.O. a fornirgli cibo e bevande senza pagare il

stessa) (Sez. II, sentenza n. 5668 del 15 gennaio 2013, CED Cass. n.
255242; conforme, pur in relazione a diversa fattispecie, Sez. II,
sentenza n. 10398 del 10 maggio 1983, CED Cass. n. 161528).
Va, in proposito, affermato il seguente principio di diritto:

«Integra il delitto di estorsione, e non quello di violenza privata, la
condotta del soggetto che faccia uso di violenza o minaccia per
costringere il gestore di un bar a fornirgli consumazioni senza pagare il
corrispettivo, così procurandosi un ingiusto, anche se esiguo, profitto
con danno del predetto gestore».

6.2. Assolutamente generico e manifestamente infondato è anche il
quarto motivo,
Questa Corte Suprema ha in più occasioni chiarito che, ai fini della
concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il
giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati
dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o
meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento
attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle
modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (così,
da ultimo, Sez. II, sentenza n. 3609 del 18 gennaio – 10 febbraio 2011,
CED Cass. n. 249163).
A questo orientamento si è correttamente conformata la Corte di
appello valorizzando, ai fini del diniego (f. 11), i gravi e plurimi
precedenti penali dell’imputato.

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corrispettivo, così procurandosi un ingiusto profitto con danno della P.O.

18
Lo stesso elemento ha determinato la concreta scelta della pena
irroganda.
Il ricorrente non ha, peraltro, indicato con la dovuta specificità le
ragioni addotte a sostegno della proprie doglianze, ovvero gli elementi in
ipotesi non valutati o mal valutati, limitandosi ad evocare il
comportamento processuale dell’imputato (che non descrive

Ricorso PELLEGRINI
7.

Il ricorso presentato per conto dell’imputato PELLEGRINI è

integralmente inammissibile per genericità, oltre che per manifesta
infondatezza.

7.1. Deve premettersi che, come anticipato nel § 2 di queste
Considerazioni in diritto, la censura la censura alternativa ed
indifferenziata di contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione risulta priva della necessaria specificità, il che rende il
ricorso inammissibile.

7.2. Deve aggiungersi che è inammissibile il motivo in cui si deduca
la violazione dell’art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e
546, comma 1, lett. e), c.p.p., per censurare l’omessa od erronea
valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una
prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il
complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità delle
doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606,
comma 1, lett. e), c.p.p., non possono essere superati ricorrendo al
motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., nella parte in cui
consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a
pena di nullità (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 45249 dell’8 novembre
2012, CED Cass. n. 254274).

7.3. Peraltro, la Corte di appello, con rilievi esaurienti, logici, non
contraddittori, e pertanto incensurabili in questa sede, con i quali il
ricorrente non si confronta con la necessaria specificità, in concreto

18

significativamente) ed altri elementi del tutto generici ed ininfluenti.

19
riproponendo più o meno pedissequamente la analoga doglianza già
proposta come motivo di appello, ha compiutamente indicato (cfr. § 6.1.
di queste Considerazioni in diritto) le ragioni poste a fondamento della
contestata affermazione di responsabilità.
A tali rilievi il ricorrente non ha opposto alcunché di decisivo, se non
generiche (vengono richiamate le dichiarazioni di una teste a discarico
senza indicarne specificamente il contenuto e la possibile rilevanza per

improponibili doglianze fondate su una personale e congetturale
rivisitazione dei fatti di causa, e senza documentare eventuali
travisamenti nei modi che si è (in premessa) evidenziato essere di rito.

Ricorso RAINO’
8.

Il ricorso presentato per conto dell’imputato RAINO’ è

integralmente inammissibile per genericità, oltre che per manifesta
infondatezza.

8.1. Il ricorrente lamenta, infatti:
– l’erronea valutazione e travisamento della prova, poiché la p.o. non
lo avrebbe indicato tra i colpevoli dei fatti denunciati, senza peraltro
documentare, nei modi che si è visto essere di rito, il travisamento
invocato. Peraltro, la doglianza non è consentita, perché la violazione
invocata, in ipotesi verificatasi nel corso del giudizio di primo grado, è
stata dedotta per la prima volta in questa sede, in violazione di quanto
stabilito dall’art. 606, comma 3, c.p.p., in quanto la relativa doglianza
non risulta formulata tra i motivi di appello, come si evince dal riepilogo
degli stessi riportato nella sentenza impugnata (f. 6 s.), che l’odierno
ricorrente, in virtù dell’onere di specificità dei motivi di ricorso per
cassazione, imposto dall’art. 581, comma 1, lett. C), c.p.p., avrebbe
avuto il dovere processuale di contestare specificamente nell’odierno
ricorso, se ritenuto incompleto o comunque non corretto;

l’intervenuta valutazione di dichiarazioni inerenti a fatti non

contestati, che peraltro non indica con la dovuta specificità, e dei quali
non chiarisce l’asserita indebita rilevanza ai fini dell’affermazione di
responsabilità;

19

scalfire il ragionamento argomentativo della Corte di appello) ed

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– la mancanza degli elementi costitutivi dell’estorsione, al contrario
sussistenti (cfr. § 6.1. di queste Considerazioni in diritto);
– l’inutilizzabilità, come indizi, delle videoriprese: la doglianza è,
peraltro, meramente assertiva, non essendone spiegate con la dovuta
specificità e convincentemente le ragioni; si è, peraltro, già osservato
(cfr. § 6.1. di queste Considerazioni in diritto) che gli esiti di dette
videoriprese sono senz’altro accessori ai fini dell’affermazione di

– che nell’annotazione di servizio datata 23 gennaio 2007, nella
denuncia datata 28 gennaio 2007 e nelle s.i.t. rese dal SARDONE non
sarebbero evidenziabili profili di illiceità: trattasi, peraltro , di meri atti di
indagine preliminare, dei quali non è spiegata l’invocata rilevanza, sia
quanto all’intervenuta acquisizione o meno, sia quanto alla possibile
confutazione dell’ineccepibile ragionamento posto dalla Corte di appello
a fondamento dell’affermazione di responsabilità;
– la mancanza di un congruo accertamento della responsabilità
dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio, per la cui manifesta
infondatezza si rinvia ancora una volta al § 6.1. di queste Considerazioni
in diritto);
– la mancata indicazione dello specifico contributo fornito dal RAINO’
all’estorsione, il quale, al contrario, con la sua presenza – non
meramente passiva – ha contribuito a rafforzare il la valenza
intimidatoria delle condotte dei concorrenti ed il proposito criminoso di
questi ultimi, ai quali risulta essersi unito nell’esigere consumazioni
senza pagare il prezzo (cfr. anche gli ulteriori rilievi a f. 9 s. della
sentenza impugnata);
– la non configurabilità delle aggravanti di cui all’art. 629, comma 2,
c.p., 112 c.p. e 628, comma 3, c.p. In proposito, deve rilevarsi che la
sussistenza della circostanza di cui all’art. 112 n. 1 c.p. è stata
correttamente ritenuta dalla Corte di appello (cfr. rilievi a f. 10 della
sentenza impugnata). Le ulteriori doglianze non sono consentite perché
le violazioni di legge che ne costituiscono oggetto, in ipotesi verificatesi
nel corso del giudizio di primo grado, sono state dedotte per la prima
volta in questa sede, in violazione di quanto stabilito dall’art. 606,
comma 3, c.p.p., ma non risultano formulate tra i motivi di appello,

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responsabilità, rispetto agli ulteriori elementi all’uopo valorizzati;

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come si evince dal riepilogo degli stessi riportato nella sentenza
impugnata (f. 6 s.), che l’odierno ricorrente, in virtù dell’onere di
specificità dei motivi di ricorso per cassazione, imposto dall’art. 581,
comma 1, lett. C), c.p.p., avrebbe avuto il dovere processuale di
contestare specificamente nell’odierno ricorso, se ritenuto incompleto o
comunque non corretto.
Il ricorrente ha, inoltre, richiamato l’art. 114 c.p. senza formulare in

Ugualmente generiche sono le conclusive censure di difetto ed
illogicità della motivazione.

Ricorso MOSCA
9.

Il ricorso presentato per conto dell’imputato MOSCA è

integralmente inammissibile per genericità, oltre che per manifesta
infondatezza.

9.1.

Deve ribadirsi che, come anticipato nel § 2 di queste

Considerazioni in diritto, la censura la censura alternativa ed
indifferenziata di contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione risulta priva della necessaria specificità, il che rende il
ricorso inammissibile.

9.2. Le sue doglianze sono, comunque, manifestamente infondate.
Invero:
– quanto all’affermazione di responsabilità (contestata in più punti del
ricorso, sia in relazione all’esaustività delle fonti di prova valorizzate dai

proposito, con la dovuta specificità, alcuna doglianza.

giudici di merito, sia per apparenza di motivazione, sia richiamando la
decisione intervenuta nell’ambito del subprocedimento de libertate, ma
che la Corte di appello espressamente esamina, confutandone la
condivisibilità), la Corte di appello (f. 10 s.) ha valorizzato le
dichiarazioni di SARDONE ANNA, dipendente del Bar tabacchi gestito dal
NICOLETTI, motivatamente ritenuta attendibile e non necessitante di
riscontri, peraltro ugualmente evidenziati dalla Corte (il riferimento è
alle dichiarazioni etero,accusatorie rese all’indirizzo del MOSCA dal

21

4

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PELLEGRINI e dal RAINO’ nel corso dei rispettivi interrogatori di
garanzia);
– quanto alla qualificazione dei fatti che si è ritenuto essere stati
accertati, si rinvia a quanto già osservato nel § 6.1. di queste
Considerazioni in diritto, nonché ai rilievi della Corte di appello a f. 11,
cui il ricorrente nulla di decisivo oppone;
– quanto al trattamento sanzionatorio ex art. 133 c.p. ed alla

osservato, in relazione al coimputato LAURIA, nel § 6.2. di queste
Considerazioni in diritto.

10. La declaratoria di inammissibilità totale dei ricorsi comporta, ai
sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali nonché – apparendo evidente dal contenuto dei motivi
che essi hanno proposto i ricorsi determinando le cause di
inammissibilità per colpa (Corte cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186)
e tenuto conto dell’entità di detta colpa – della somma di Euro mille
ciascuno in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione
pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 5 novembre 2013.

concessione delle attenuanti generiche, deve ribadirsi quanto già

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