Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9023 del 05/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9023 Anno 2013
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
PRINCIPE Cataldo, nato a Cirò Marina l’ 1/2/1944
avverso la sentenza del 13/1/2012 della Corte di appello di Torino, che ha
parzialmente modificato, concedendo le circostanze attenuanti generiche e
rideterminando al pena in quattro mesi di reclusione, la sentenza del Tribunale di
Ivrea che in data 2/11/2010 aveva dichiarato non doversi procedere pe
rimessione della querela in ordine ai reati contestati ai capi 1, 2 e 3 della rubrica
e condannato l’imputato alla pena di sei mesi di reclusione per il reato di infedele
dichiarazione dei redditi contestato al capo 4 con riferimento all’anno d’imposta
2005;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Alfredo
Montagna, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13/1/2012 la Corte di appello di Torino ha parzialmente
modificato, concedendo le circostanze attenuanti generiche e rideterminando al
pena in quattro mesi di reclusione, la sentenza del Tribunale di Ivrea che in data
2/11/2010 aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato

Data Udienza: 05/12/2012

per rimessione della querela in ordine ai reati contestati ai capi 1, 2 e 3 della
rubrica e condannato l’imputato stesso alla pena di sei mesi di reclusione per il
reato di infedele dichiarazione dei redditi contestato al capo 4 con riferimento
all’anno d’imposta 2005.
2. Avverso tale decisione il sig. Principe propone ricorso tramite il Difensore,
in sitesi lamentando l’esistenza di un vizio motivazionale ai sensi dell’art.606,
lett.e) cod.proc.pen. per avere la Corte di appello erroneamente escluso che il
ricorrente sia incorso in una mero infortunio, cosa dimostrata, invece, sia dalla

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In considerazione del contenuto dei motivi di ricorso la Corte deve
osservare in via preliminare che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento
di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e
non può costituire un terzo grado volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di
contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla
sentenza delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio
1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno
definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
(n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074).
Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può
essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n.26 del 2007 della
Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica
introdotta dalla legge n.46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico
ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello
costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni
giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è “rimedio (che) non
attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece)
dall’appello”.
Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha “la
pienezza del riesame di merito” che è propria del controllo operato dalle corti di
appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art.606, lett. e) c.p.p. non
autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di
merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione
della vicenda oggetto di giudizio.
Ancora successivamente alla modifica della lett.e) dell’art.606 c.p.p.
apportata dall’art.8, comma primo, lett.b) della legge 20 febbraio 2006, n.46,
l’impostazione qui ricordata è stata ribadita da plurime decisioni di legittimità, a
partire dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n.23419 del 23 maggio-14
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causale sia dalla data della fattura n.139 del 14/12/2004.

giugno 2007, PG in proc.Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n.
24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto
convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è “preclusa al
giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti” (fra tutte: Sez.6, n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006,
Bosco, rv 234148).
2. L’applicazione di tali principi interpretativi al caso in esame impone di

con cui il Tribunale aveva escluso l’esistenza di un mero errore. Osserva la
sentenza impugnata che il mero errore deve escludersi alla luce di una serie di
circostanze anomale sul piano documentale e tributario e non esclusivamente
sulla base dell’oggetto della fattura contestata. Si è in presenza di valutazione di
merito che, sostenuta da una motivazione né apparente né manifesta illogica, è
sottratta al controllo del giudice di legittimità
3. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi
dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00
alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 5/12/2012

rilevare come i giudici di appello abbiano ritenuto convincente il ragionamento

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