Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9022 del 27/10/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9022 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FORASTEFANO VINCENZO N. IL 02/06/1973
avverso l’ordinanza n. 6832/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 09/01/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 27/10/2015

RITENUTO IN FATTO
1.

Con ordinanza deliberata il 9 gennaio 2015 il Tribunale di

Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo avverso il provvedimento del
Ministro della giustizia, in data 2 settembre 2014, di proroga per anni due
del regime differenziato, ex art. 41-bis Ord. Pen., applicato nei confronti di
Forastefano Vincenzo, detenuto in espiazione di provvedimento di
esecuzione di pene concorrenti assommanti ad anni 26 e mesi 4 di

aggravata ai sensi dell’art. 7 legge n. 203 del 1991 ed altro, commessi fino
al 2007; condannato inoltre all’ergastolo, all’esito del doppio grado del
processo di merito, con sentenza non ancora definitiva, per omicidi
aggravati dall’art. 7 legge n. 203 del 1991.
Il Tribunale ha ritenuto ancora attuale il pericolo di collegamenti del
reclamante con la criminalità organizzata sulla premessa della tendenziale
indissolubilità del patto associativo criminoso, salva esplicita rottura
mediante scelta collaborativa o dissociazione, non attuata nel caso di
specie, e in considerazione degli elementi emergenti dai precedenti penali e
giudiziari dell’interessato e dalle notizie fornite dagli uffici investigativi
qualificati: DDA (Direzione distrettuale antimafia) di Catanzaro e DNA
(Direzione nazionale antimafia), Comando generale dell’Arma dei carabinieri
e Ministero dell’Interno – Direzione centrale anticrimine.
Sono stati, in particolare, sottolineati: a) il profilo criminale di
Forastefano, esponente di vertice dell’omonima cosca mafiosa insieme al
fratello Antonio, al cugino Leonardo e al nipote Pasquale; b) la perdurante
vitalità del gruppo criminale al quale erano stati attribuiti reati di grave
allarme sociale compiuti anche in epoca molto recente, con rilevata
presenza di membri liberi dell’organizzazione; c) la protratta latitanza di
Forastefano, arrestato il 6/09/2008, dopo più di un anno di ricerche,
sintomatica dei suoi radicati collegamenti criminali; d) la mancanza di
elementi indicativi di dissociazione di Forastefano dalla sua lunga storia
criminale, tale da assicurargli prestigio e influenza, ancora attuali, nel
sodalizio mafioso; e) l’elevato patrimonio a disposizione di Forastefano
desumibile dall’entità dell’eseguito sequestro per un valore di circa otto
milioni di euro.
2.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione

Forastefano tramite il difensore di fiducia, il quale, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., deduce la violazione dell’art. 41bis Ord. Pen.
1

reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione

Non risponderebbe al vero che nei confronti del ricorrente sia stato
disposto un sequestro di beni per un valore di circa otto milioni di euro; i
beni sequestrati sarebbero di valore molto più modesto, come dimostrato
documentalmente dal difensore e in gran parte restituiti; parimenti errato
sarebbe stato il richiamo alla lunga militanza criminale di Forastefano,
condannato nel procedimento cosiddetto “Omnia” per associazione di tipo
mafioso nel periodo dal 2000 al 2007; i fatti del procedimento penale “Villa
Verde” risalirebbero al non vicino 2010; mancherebbe, dunque, il requisito

tipo mafioso e l’ennesima proroga del trattamento penitenziario
differenziato sarebbe del tutto ingiustificata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
L’art. 41 bis, comma 2-bis, della I. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2,
comma 25, lett. d), della I. 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i
provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono
prorogabili “per successivi periodi, ciascuno pari a due anni (…), quando
risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione
criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.
L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal
comma 2-sexies [recentemente sostituito dall’art. 2, comma 25, lett. b), I.
n. 94 del 2009, cit.] del novellato art. 41-bis, a norma del quale il
Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica che procede
alle indagini preliminari, il Procuratore generale presso la Corte d’appello, il
detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della
sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale
(solo) “per violazione di legge”.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da
intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso,
oltre che all’inosservanza delle disposizioni di legge sostanziale e
processuale, all’inesistenza della motivazione, dovendo in tale vizio essere
ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto di risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il
filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga,
ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le
ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003,
2

di attuale attitudine a mantenere contatti criminali in contesto associativo di

Pellegrino, Rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, Santapaola, Rv. 230203;
Sez. 6, n. 7651 del 14/01/2010, dep. 25/02/2010, Mannino, Rv. 246172).
2. Alla luce di questi principi, osserva la Corte che il ricorso, pur
deducendo formalmente il vizio di violazione di legge per inosservanza
dell’art. 41 bis Ord. Pen., sul presupposto dell’inesistenza di attuale capacità
del ricorrente di mantenere contatti con il gruppo mafioso di appartenenza,
tende in realtà a provocare una rivalutazione delle circostanze di fatto, non
consentita nel giudizio di cassazione, essendo comunque manifestamente

L’ordinanza impugnata, invero, ha correttamente valutato gli elementi
risultanti agli atti, senza violare la legge penale, sottolineando l’attuale
operatività del sodalizio di tipo mafioso e, in esso, il ruolo di spicco assunto
dal Forastefano per la sua radicata militanza criminale, con la coerente
affermazione, in assenza di elementi concreti da cui desumere la rescissione
dei vincoli delinquenziali, dell’attuale pericolo che il detenuto possa
mantenere i collegamenti con l’associazione di appartenenza, ove
sottoposto al regime penitenziario ordinario.
La motivazione è pertanto esaustiva e coerente, mentre i rilievi difensivi
configurano censure non consentite nella misura in cui postulano una
rivisitazione del giudizio di merito in punto di pericolosità, e si rivelano
manifestamente infondati laddove denunciano violazione di legge per
inesistenza o mera apparenza della motivazione.
3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto, ai
sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
cost. sentenza n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare, tra il
minimo e il massimo previsti, in euro mille.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa
delle ammende.
Così deciso il 27 ottobre 2015.

infondata la violazione di legge denunciata.

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