Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9008 del 09/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9008 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SABEONE GERARDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PARLANTI STEFANO N. IL 29/04/1968
avverso la sentenza n. 202/2009 TRIBUNALE di PISA, del 16/02/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GERARDO SABEONE ;

Data Udienza: 09/01/2014

RITENUTO IN FATTO
– che con l’impugnata sentenza, pronunciata ai sensi dell’articolo 444
cod.proc.pen., venne applicata a Parlanti Stefano, per i reati di cui agli articoli
640, 491 e 485 cod.pen.la pena concordata con la Pubblica Accusa nella misura

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
l’imputato, a mezzo del proprio procuratore, denunciando una violazione di legge
nascente dall’erronea qualificazione giuridica degli ascritti reati nonché dal
mancato proscioglimento ex articolo 129 cod.proc.pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto si dà espressamente
atto, nell’impugnata sentenza, della ritenuta sussistenza delle condizioni tutte,
positive e negative, previste dall’articolo 444 cod.proc.pen. per l’applicazione
della pena su richiesta, ivi compresa quella costituita dalla mancanza dei
presupposti per darsi luogo a pronuncia assolutoria ai sensi dell’articolo 129
cod.proc.pen., come pure quella costituita dalla ritenuta congruità della pena; e
ciò, in difetto di elementi, ricavabili dal testo della medesima sentenza, dai quali
possa invece desumersi l’assenza di alcuna delle condizioni anzidette, basta ad
escludere ogni violazione di legge e a soddisfare le esigenze di motivazione
proprie delle pronunce del genere di quella impugnata (v. Cass. Sez. IV 13 luglio
2006 n. 34494 e Sez. I 10 gennaio 2007 n. 4688);
– né, d’altra parte, risulta indicata, nel ricorso, alcuna specifica ragione di
diritto per la quale, nella specie, l’articolo 129 cod.proc.pen. avrebbe dovuto
trovare applicazione ovvero l’accordo raggiunto fra le parti (e non modificabile in
alcun modo dal Giudice) sarebbe stato da respingere anche per eccessività della
pena (peraltro, all’evidenza, tutt’altro che esorbitante dalla media); il che, in
linea con il consolidato orientamento di questa Corte, costituisce appunto causa
di inammissibilità del gravame (v. Cass. Sez. IV 11 maggio 1992 n. 7768 e Sez.
H 21 maggio 2003 n. 27930);
– che la possibilità di impugnare la sentenza di patteggiamento per
denunciare l’erronea qualificazione giuridica del fatto ha dato luogo ad
1

di anni tre di reclusione ed euro 1.000,00 di multa;

interpretazioni contrastanti, risolte da un intervento delle Sezioni unite (v. la
citata, Cass. Sez. Un. 19 gennaio 2000 n. 5), le quali hanno statuito che con il
ricorso per cassazione può essere denunciata l’erronea qualificazione del fatto
come prospettata dalle parti e recepita dal Giudice, e ciò perché è lo stesso
articolo 444 cod.proc.pen., comma 2, ad imporre siffatto controllo, funzionale ad
evitare che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati. Tuttavia, proprio

affidato al Giudice, la giurisprudenza ritiene che l’impugnabilità per l’erronea
qualificazione del fatto debba essere limitata ai casi in cui quella prospettata
dalle parti sia palesemente erronea ovvero ai casi in cui la contestazione
originariamente delineata dal solo pubblico ministero sia anch’essa
manifestamente erronea. Quindi, la ricorribilità della sentenza di patteggiamento
è ammessa nelle sole ipotesi di errore manifesto, ossia quando sussiste
realmente l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati,
sicché deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti
margini di opinabilità: l’errata qualificazione giuridica del fatto può essere fatta
valere solo dinanzi ad un evidente error in iudicando che “dissimuli un’illegale
trattativa sul nomen iuris”, ma non in presenza di una qualificazione che presenti
oggettivi margini di opinabilità (tra le tante v. Cass. Sez. Sez. IV 11 marzo 2010
n. 10692 e Sez. VI 27 novembre 2012 n. 15009).
– che in ogni caso, deve riconoscersi la correttezza del controllo operato
dal Giudice del patteggiamento, controllo che in questa sede deve essere
valutato in rapporto allo stato degli atti del procedimento al momento
dell’accordo tra le parti come risultante dalla stessa sentenza impugnata. In sede
di legittimità la verifica dell’osservanza della previsione contenuta nell’articolo
444 cod.proc.pen., comma 2 avviene esclusivamente sulla base dei capi di
imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti nel
ricorso, non potendo certo spingersi la Corte ad esaminare gli atti del
procedimento o i documenti estranei ad esso.
– che nel caso di specie, da un lato, lo stesso imputato ha ammesso la
propria responsabilità e, d’altra parte, il Giudice a quo ha chiarito la
qualificazione giuridica degli ascritti reati (v. pagina 2 della motivazione) che non
appare essere manifestamente erronea trattandosi, contrariamente a quanto
sostenuto nell’interesse del ricorrente, di fatti diversi con riguardo ai capi A
(truffa) e B (appropriazione indebita) dell’imputazione;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di
cui all’articolo 616 cod.proc.pen., ivi compresa, in assenza di elementi che
2

in considerazione della natura del patteggiamento e dello scopo del controllo

valgano ad escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta
sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende;

P. T. M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al

della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2014.

pagamento delle spese del processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore

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