Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 900 del 20/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 900 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da

FARABELLA Fabrizio, nato a Sanremo il 18 aprile 1967

avverso la sentenza n. 1139/2014 della Corte di Appello di Trieste, in data 15 luglio
2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere °ronzo De Masi;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Gabriele
Mazzotta che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 20/11/2015

RITENUTO IN FATTO

4314‘
014, ha riformato parzialmente la

La Corte di Appello di Trieste, con sentenza

sentenza emessa il 26/3/2013 dal G.U.P. presso il Tribunale di Gorizia, nei confronti di
FARABELLA Fabrizio, imputato del reato di cui agli artt. 81 cpv, 110 c.p., 2 D.Lgs. n.
74/2000, perchè quale legale rappresentante della Est Service s.r.I., al fine di evadere le
imposte sui redditi o l’imposta sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture per operazioni
inesistenti emesse da soggetti di diritto Serbo e Bosniaco per consulenze professionali,

2008, e nella dichiarazione annuale SC-2008 per l’esercizio di imposta 2007, ed ha
rideterminato la pena irrogata all’imputato in quella di mesi due di reclusione.
Avverso la sentenza, tramite il difensore fiduciario, il FARABELLA

propone ricorso per

cassazione affidato a cinque motivi, per l’annullamento della decisione.
Con il primo motivo di doglianza si denuncia violazione di norme processuali stabilite a pena di
nullità, ai sensi dell’art. 606,c.1, lett. c), in relazione agli artt. 33 sexies e 550 c.p.p., atteso
che l’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, contestato all’imputato ed applicabile

ratione temporís,

prevedeva nella sua originaria formulazione, al terzo comma, la soglia di Euro 154.937,07, e
considerato che gli elementi passivi asseritamente fittizi, indicati dalla società Est Services,
nelle dichiarazioni per gli anni 2008 e 2009, risultano inferiori a tale importo, ad avviso della
difesa, il P.M. avrebbe dovuto esercitare l’azione penale con decreto di citazione diretta in
giudizio, a norma dell’art. 550 e ss.gg. c.p.p., senza celebrazione dell’udienza preliminare, e
non procedere tramite richiesta di rinvio a giudizio, ciò proprio in ragione della prevista pena
edittale:
Con il secondo motivo di doglianza, si denuncia, sotto il profilo del vizio motivazionale e della
violazione delle norme processuali, la valutazione delle dichiarazioni rese da Lazar Simic e
Antonic Goiko, legali rappresentanti rispettivamente della società Simpa Prevoz e Savia
Trasport, cui si riferiscono, almeno apparentemente, le fatture per operazioni inesistenti
oggetto dell’imputazione.
Con il terzo motivo di doglianza, si denuncia contraddittorietà e/o manifesta illogicità della
motivazione, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. e), c.p.p., e comunque violazione delle norme
processuali previste a pena di inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. c), c.p.p., in
relazione all’art. 63, c.2, c.p.p., avuto riguardo alla valenza probatoria delle dichiarazioni rese
dai legali rappresentanti della società estere ed alla documentazione rinvenuta presso la
società Est Services.
Con il quarto motivo di doglianza, si denuncia, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. b), c.p.p., la
violazione dell’art. 2 D.Igs. n. 74/2000, e si deduce che l’uso di fatture contraffatte non
integra, nel caso di specie, ipotesi di operazioni oggettivamente o soggettivamente
inesistenti, nei termini richiesti dalla norma incriminatrice

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indicava elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale SC-2009 per l’esercizio di imposta

Con il quinto motivo di doglianza, si denuncia la inosservanza ed erronea applicazione della
legge penale, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. b), in relazione al dolo specifico previsto dall’art. 2
Digs. n. 74/2000, non avendo la Corte di appello indicato da quali elementi abbia ricavato la
prova del fine di evasione delle imposte sul reddito o sul valore aggiunto richiesto dalla norma
incriminatrice, non potendosi escludere un fine diverso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con il primo motivo di doglianza il ricorrente deduce che il P.M. avrebbe dovuto esercitare
l’azione penale con decreto di citazione diretta in giudizio, a norma dell’art. 550 e ss.gg. c.p.p.,
senza celebrazione dell’udienza preliminare, e non invece tramite richiesta di rinvio a giudizio,
ciò in ragione della pena edittale prevista l’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, contestato all’imputato ed
applicabile ratione temporis, e che quindi la Corte di Appello di Trieste ha errato nel ritenere la
fattispecie di reato prevista dal predetto terzo comma del sopra citato art. 2, mera circostanza
attenuante della fattispecie prevista dal primo comma della medesima disposizione, trattandosi
di autonoma figura di reato, punita meno severamente rispetto a quella di cui al primo
comma.
L’art. 550 c.p.p. prevede la citazione diretta a giudizio quando si tratta di contravvenzioni
ovvero di delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o
con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva e, per la determinazione della
pena, rinvia alle disposizioni contenute nell’art. 4 c.p.p. (non si tiene conto delle circostanze
del reato fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena
di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale).
Orbene, questa Corte ha avuto modo di affermare che la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 74 del
2000, art. 2, comma 3, non è un’autonoma fattispecie di reato, ma una circostanza attenuante
del reato di cui al comma 1 dello stesso articolo, perché non prevede un’autonoma e diversa
condotta, ma si limita a prevedere una pena più lieve per il caso di violazioni di minore entità
economica.
Poiché la pena base prevista per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, è superiore a
quattro anni, non è quindi consentita la citazione diretta dell’imputato, dovendo invece
celebrarsi l’udienza preliminare.
Il ricorrente, invero, richiama un precedente giurisprudenziale rimasto isolato, in quanto
superato dalle successive decisioni di questa Corte, e nei motivi di ricorso non si offrono sul
punto argomentazioni nuove rispetto a quelle già esaminate (Sez. 3, n. 20529 del 20/4/2011,
Rv. 250339, Sez. 3, n. 25204 dell’8/5/2008, Rv. 240247).
Ed allora, va ribadito che costituendo il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, comma 3, una ipotesi
attenuata, di essa non può tenersi conto per la determinazione della pena, mentre essendo

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Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito riportate.

l’ipotesi “base” punita con pena superiore ai quattro anni non era consentita, dunque, la
citazione diretta ex art. 550 c.p.p., ma necessaria l’udienza preliminare.
2. – Va disatteso il secondo motivo di doglianza, con il quale il ricorrente denuncia vizio
motivazionale della sentenza impugnata per aver la Corte territoriale malamente valutato il
compendio probatorio, quanto alla reale effettuazione delle prestazioni di cui alla fatture
oggetto d’imputazione, costituendo elementi dissonanti le dichiarazioni rese dal legali
rappresentanti delle società Simpa Prevoz e Savia Trasport, i quali hanno sostanzialmente
negato qualsiasi rapporto commerciale con la società Est Service al tempo dei fatti di cui al

La censura non ha pregio perché il giudice di appello ha operato una disamina congrua e
seguito un percorso motivazionale logico nel valutare le prove emerse in relazione ai vari reati
in contestazione, ed il ricorrente sollecita a questa Corte una rivalutazione del compendio
probatorio che in questa sede non è consentita.
Sul punto, va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione
attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il
profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009 e n.
23528 del 6/6/2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile
come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile

ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica
evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato !e ragioni del
convincimento (Sez. 3, n. 35397 del 20/6./2007; Sez. U. n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv.
214794).
E’ stato ribadito come, ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., c. 1, lett. e), il controllo
di legittimità sulla motivazione non attiene nè alla ricostruzione dei fatti, nè all’apprezzamento
del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a
due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della
motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento, (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Rv. 255542).
Pertanto, il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha,
per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto:
Ebbene, nella motivazione della sentenza della Corte territoriale non si apprezza alcuna
illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva e così, ad esempio, per quanto concerne la
società Simpa Prevoz, non solo viene riportato quanto dichiarato dal legale rappresentante, ma
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processo.

anche si opera un riscontro con il contenuto di “un estratto del registro delle imprese di
Belgrado dal quale si ricava che l’attività commerciale svolta dalla società mittente Simpa, in
via prevalente, è quella di trasporto merci su strada e non di “consulenza”.
Analogamente, per quanto concerne la Savia Trasport, il riscontro è operato con le univoche
risultanze di un controllo eseguito dall’Amministrazione delle Imposte del Ministero delle
Finanze della Bosnia Eregovina, dalle quali emerge “che detta società svolge, quale attività
prevalente, il trasporto merci su strada”, che “ispezionando i libri della Savia s.r.I Novi Grad,
non risultano iscritti contratti con gli acquirenti dei servizi, quindi, neanche con l’acquirente

“ispeziohando il flusso di cassa-rapporto giornaliero di cassa in modo analitico non esistono
“entrate di cassa” da parte del contribuente italiano” (pag. 10 e 11 della sentenza di appello).
3. – Va disatteso anche il terzo motivo di doglianza, con il quale il ricorrente denuncia, sotto il
profilo del vizio motivazionale e della violazione delle norme processuali, la valutazione di
attendibilità delle dichiarazioni rese da Lazar Simic e Antonic Goiko.
Richiamati i limiti della prospettiva ermeneutica nella quale sì muove i giudice di legittimità, le
censure che il FARABELLA rivolge alla sentenza di secondo grado si palesano infatti
manifestamente infondate.
La Corte territoriale ha ampiamente trattato la questione della “attendibilità” delle dichiarazioni
dei legali rappresentanti delle due società estere, che hanno trovato conferma negli atti
processuali (pag. 11 e 12 della sentenza di appello), evidenziando, in merito a quanto
prospettato dalla difesa dell’imputato, “la mancanza di specifica documentazione che dimostri,
anche indirettamente, da un lato, lo svolgimento di attività di consulenza, quali relazioni o
corrispondenza tra i soggetti, dall’altro, l’effettuato pagamento – indizi questi già di per sé
precisi e concordanti nel senso della “fittizietà” della prestazione – considerato che tali
elementi hanno trovato riscontro all’esito delle rogatorie”.
Per quanto concerne poi il profilo, contenuto sempre nel terzo motivo di doglianza,
concernente l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese da Lazar Simic e Antonic Goiko, la Corte
territoriale ha affrontato (pag. 11 della sentenza impugnata) la questione, escludendo
correttamente l’applicabilità dell’art. 64, c. 3 bis, c.p.p., ed ha sul punto richiamato le
preclusioni derivanti dalla scelta del rito abbreviato.
La decisione è in linea con l’indirizzo di questa Corte, opportunamente richiamato nella
impugnata sentenza, secondo cui nel giudizio abbreviato sono rilevabili e deducibili solo
le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità c.d, patologiche, con la conseguenza che
l’irritualità dell’acquisizione dell’atto probatorio è neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti
di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza
rispetto delle forme di rito (Sez. 5, n. 46406 del 6/6/2012, Rv. 254081).
4. – Infondato è anche il quarto motivo di doglianza, con il quale il ricorrente denuncia la
violazione dell’art. 2 D.Igs. n. 74/2000 e deduce che non è configurabile l’inesistenza
oggettiva o soggettiva delle operazioni contestate all’imputato in quanto, se è vero che le
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italiano”, fatta eccezione per due servizi di trasporto regolarmente fatturati, ed ancora, che

fatture non sono mai state emesse dalla Simpa Prevoz e dalla Savia Transport, esse sono state
materialmente contraffatte, ed allora manca la pluralità di soggetti necessaria affinchè si possa
dire integrata la fattispecie di reato contestata che, al contrario, si incentra su fatture
formalmente corrette, ma relative ad operazioni non realmente effettuate, ossia di contenuto
mendace.
Orbene, nella impugnata sentenza (pag. 12), la Corte territoriale afferma che i legali
rappresentanti delle due società estere, negando di aver avuto rapporti commerciali con la
società Est Services, “hanno implicitamente, ma inequivocabilmente, negato di aver

prodotte dall’imputato. Risulta pertanto provata la falsità dei documenti in questione. Il fatto
poi che il giudice di prime cure, così come peraltro questa Corte per mera omissione, non abbia
formalmente dichiarato la falsità dei documenti, ai sensi dell’art. 537 c.p.p., non significa che i
documenti non vengano considerati certamente contraffatti”.
Nel motivo di ricorso si sostiene, in punto di diritto, che la fattispecie di cui all’art. 2 D.Lgs.
n. 74/2000, è configurabile solo nell’ipotesi di utilizzazione di fatture ideologicamente false,
mentre l’ipotesi della utilizzazione di documentazione materialmente falsa deve essere
sussunta in altra e diversa fattispecie, ricorrendone tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi (si
allude, per quanto è dato comprendere dalla censura, all’ipotesi di cui all’art. 3, che punisce la
dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, ovvero a quella della dichiarazione infedele di
cui all’art. 4 del medesimo D.Lgs. n. 74/2000).
Questa Corte, in varie decisioni, ha chiarito che ciò che rileva, nella sostanza, è l’inesistenza
della operazione economica riportata nella dichiarazione dei redditi o ai fini IVA, mentre
l’operazione inesistente può essere attestata sia creando ex novo un documento falso, sia
utilizzando un documento ideologicamente falso emesso da altri a favore dell’utilizzatole.
È stato affermato, con specifico riferimento alla questione di diritto qui esaminata, che “integra
il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, comma 1, e non già la diversa fattispecie di cui
all’art. 3, l’utilizzo, ai fini dell’indicazione di elementi passivi fittizi, di fatture false non solo
sotto il profilo ideologico, in riferimento alle operazioni inesistenti ivi indicate, ma anche sotto il
profilo materiale, perché apparentemente emesse da ditta in realtà inesistente” (Sez. 3, n.
9673 del 9/2/2011, RV. 249613, ma anche, Sez. 3, n. 12284 del 7/2/2007, RV. 23681).
Pertanto, ai fini della configurabilità della dichiarazione fraudolenta di cui al D.Lgs. n. 74 del
2000, art. 2, basta che il documento utilizzato per la dichiarazione di elementi passivi fittizi
corrisponda, sia pure apparentemente, ai requisiti precisati dal D.P.R. n. 633/1972, art. 21,
comma 2, a proposito del contenuto della fattura, ovvero, se si tratta di altro documento
contabile, sia equipollente, in relazione al suo contenuto, alla fattura secondo le norme
tributarie, a nulla rilevando che detta fattura o documento siano frutto di falsità ideologica o
materiale.
Come opportunamente è stato chiarito nella richiamata giurisprudenza, “è la rispondenza allo
schema legale, che caratterizza la fattura o altra documentazione ad essa equiparata dalla
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sottoscritto alcun contratto e di aver ricevuto le somme di denaro attestate nelle ricevute

legge tributaria, che venga utilizzata a supporto della dichiarazione fraudolenta di elementi
passivi fittizi, a qualificare la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2. Fattispecie di
dichiarazione fraudolenta che è considerata dal legislatore di più elevata pericolosità, proprio a
causa del particolare valore probatorio, sul piano tributario, dello strumento documentale
utilizzato per porla in essere, tanto che non si è ritenuto di fissare alcuna soglia di evasione per
la sua configurabilità” (Sez. 3, n. 46785 del 10/11/2011, Rv. 251622).
In conclusione, la invocata distinzione tra falsità ideologica e falsità materiale introduce, in
materia tributaria, una distinzione destinata ad operare nel campo dei reati contro la fede

rileva invece il mezzo adoperato per commettere la frode ed il suo carattere più o meno
subdolo, che incide sulla possibilità di un rapido e agevole accertamento.
5. – Con il quinto motivo di doglianza, il ricorrente denuncia la violazione della legge penale,
in relazione al dolo specifico previsto dall’art. 2 D.Igs. n. 74/2000, e deduce che la Corte di
Appello non ha risposto, se non apparentemente, al lamentato difetto di prova del fine di
evasione delle imposte sul reddito o sul valore aggiunto, richiesto dalla disposizione
incriminatrice, non potendosi escludere un fine diverso, quale quello dell’appropriazione
indebita delle corrispondenti somme, da parte dell’imputato, per realizzare profitto personale ai
danni della società Est Services,
Orbene, si legge nella impugnata sentenza (pag. 13) che la circostanza che “alla finalità di
evasione si possa essere accompagnata anche altra finalità non esclude la sussistenza del
reato”.
Con ciò la Corte territoriale ha inteso correttamente sottolineare che l’ipotesi ricostruttiva
indicata dalla difesa del FARABELLA, Presidente del Consiglio di Amministrazione della Est
Services s.r.I., non esclude “l’evasione della imposte sui redditi, dovute in base alle
dichiarazioni annuali 2008 e 2009, e tanto può bastare per ritenere che tale finalità,
quantomeno in parte, sussisteva”.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, quando lo specifico dolo di evasione della
condotta tipica si coniuga con una distinta e ulteriore finalità extratributaria, e sempre che
quest’ultima non sia perseguita dall’agente in via esclusiva, non vi sono serie ragioni giuridiche
per dubitare della compatibilità del dolo specifico di evasione fiscale rispetto ad una
concorrente finalità extraevasiva.
Il giudice di appello ha evidenziato, sul punto, gli evidenti i vantaggi fiscali derivati alla società
dall’utilizzo del sistema delittuoso delle fatture per operazioni inesistenti, con motivazione del
tutto logica e in questa sede insindacabile.
Nel respingere l’ultimo motivo di ricorso, può dunque essere ribadito il principio secondo cui “il
dolo specifico (ossia il fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto) richiesto per
l’integrazione dalla figura di reato prevista dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 2, sussiste
anche quando ad esso sì affianchi una distinta ed autonoma finalità extraevasiva non
perseguita dall’agente in via esclusiva, con la precisazione che il relativo accertamento è
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pubblica e che non ha rilevanza ai fini della repressione delle violazioni fiscali, per le quali

riservato al giudice di merito e, se adeguatamente e logicamente motivato, è incensurabile in
sede di legittimità” (Sez. 3, n. 27112 del 19/2/2015, Rv. 264390).
In applicazione dell’art. 616 c.p.p., al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2015.

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