Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8981 del 09/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 8981 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SABEONE GERARDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CIUFICI TULLIO N. IL 25/06/1966
avverso la sentenza n. 28/2011 TRIBUNALE di CHIETI, del
07/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GERARDO SABEONE ;

Data Udienza: 09/01/2014

RITENUTO IN FATTO
– che con l’impugnata sentenza il Tribunale di Chieti ha confermato la
sentenza di prime cure che aveva condannato Ciufici Tullio per i reati di ingiurie e
minacce in danno di Esposito Langella Angela;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione

una illogicità della motivazione sul punto dell’affermazione della penale
responsabilità basata sulle dichiarazioni della parte offesa ed oltre ogni
ragionevole dubbio.
CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile in quanto il relativo motivo si
sostanzia in una molto generica e indebita rivisitazione delle risultanze
probatorie sulla pretesa inaffidabilità delle dichiarazioni della parte offesa, perchè
non è possibile più svolgere tale attività avanti questa Corte di legittimità;
trattasi inoltre di doglianza che, per un verso, passa del tutto sotto silenzio la pur
esistente motivazione offerta sul punto dal Giudice del merito che ha riscontrato
le suddette dichiarazioni con quelle del testi Mammarella, Tucci Eugenio e Dante
e, per altro verso, non vale a scalfire la granitica giurisprudenza di questa Corte
in tema;
– il giudicante ha correttamente applicato la costante giurisprudenza di
legittimità sul punto secondo la quale le regole, dettate dall’articolo 192, comma
terzo cod.proc.pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le
quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata
da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e
dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere
più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni
di qualsiasi testimone (v. da ultimo, Cass. Sez. Un. 19 luglio 2012 n. 41461);
– per quel che concerne, infine, il significato da attribuire alla locuzione
“oltre ogni ragionevole dubbio”, già adoperata dalla giurisprudenza di questa
Corte Suprema (v. per tutte, Cass. Sez. Un. 10 luglio 2002 n. 30328) e
successivamente recepita nel testo novellato dell’articolo 533 cod.proc.pen.
quale parametro cui conformare la valutazione inerente all’affermazione di
responsabilità dell’imputato, è opportuno evidenziare che, al di là dell’icastica
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l’imputato, a mezzo del proprio difensore, denunciando una violazione di legge e

espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il
principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza e la cultura della
prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale;
– si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una
funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il
“ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava pur sempre

si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova
rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito
il principio, immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario,
secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza
processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (v. da ultimo, Cass. Sez.
H 9 novembre 2012 n. 7035);
– certezza che i Giudici a quo hanno logicamente espresso, sottraendo la
loro motivazione, pertanto, al lamentato vizio di legittimità.
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di
cui all’articolo 616 cod.proc.pen., ivi compresa, in assenza di elementi che
valgano ad escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta
sanzione pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro mille;
P. T. M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2014.

il proscioglimento a norma dell’articolo 530 cod.proc.pen., comma 2, sicché non

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