Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8978 del 14/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 8978 Anno 2013
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) MESSINA GIUSEPPE N. IL 12/12/1987
avverso la sentenza n. 1601/2011 GIP TRIBUNALE di MARSALA, del
17/01/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;

Data Udienza: 14/11/2012

Ritenuto in fatto.
Con sentenza resa il 17 gennaio 2012 ai sensi dell’art. 444 c.p.p. il giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Marsala applicava a Giuseppe Messina,
imputato dei reati di cui agli artt. di cui agli artt. 56, 575 c.p., 4 1. n. 10 del 1975, la
pena concordata fra le parti di tre anni e sei mesi di reclusione, riconosciute le
ravvisata la continuazione fra i reati e tenuto conto della diminuente per il rito.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di
fiducia, l’imputato, il quale lamenta mancanza di motivazione circa l’insussistenza
di ragioni legittimanti il proscioglimento ai sensi dell’ art. 129 c.p.p. ed erronea
applicazione della legge penale con riferimento alla qualificazione del fatto come
tentato omicidio.
Osserva in diritto.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Il Collegio premette che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un
meccanismo processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si
accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza
di circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della pena. Da parte sua
il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti
giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla, dopo aver accertato che
non emerga in modo evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129
c.p.p.
Ne consegue che – una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena art.
444 c.p.p., – l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o
soggettivi della fattispecie, perché essi sono coperti dal patteggiamento.
Tanto premesso, il Collegio osserva che i motivi di ricorso appaiono privi di
specificità e, comunque manifestamente infondati, atteso che il giudice,
nell’applicare la pena concordata, si è, da un lato, adeguato a quanto contenuto all’
accordo intervenuto fra le parti e, dall’altro, ha escluso la sussistenza dei
presupposti di cui all’art.129 c.p.p. e ha correttamente qualificato il fatto.
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede
di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai

circostanze attenuanti generiche, dichiarate prevalenti sull’aggravante contestata,

parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza
di legittimità (si vedano tra le altre, Cass. SS.UU. 27 marzo 1992, Di Benedetto;
SS.UU. 27 settembre 1995, Serafino; SS.UU. 25 novembre 1998, Messina).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti
ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
una sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro millecinquecento, ai
sensi dell’art. 616 c.p.p.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro millecinquecento in favore
della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 14 novembre 2012.

Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di

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