Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 897 del 20/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 897 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MANZON ENRICO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Matteini Mario nato a San Giovanni Valdarno il 9.4.1960
avverso la sentenza del 24/03/2014 del Tribunale di Arezzo
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Manzon;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Loriano Maccari, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 24/03/2014 il Tribunale di Arezzo -accertata la penale
responsabilità di Matteini Mario in ordine ai reati di cui agli artt. 2 comma 1 lett.
b-c, 30, comma 1, lett. b), L.157/1992 per avere abbattuto specie
particolarmente protette ed in ordine ai reati di cui agli artt. 18, 30 lett. h), L.
157/1992 per avere abbattuto specie protette o non cacciabili e fringillidi in
numero superiore a 5- lo condannava alla pena di euro 3.000,00 di ammenda,
disponendo la trasmissione della sentenza al Questore di Arezzo per i
provvedimenti di competenza. Il Tribunale in particolare riteneva raggiunta la
piena prova della commissione da parte del Matteini dei reati a lui ascritti sulla
scorta degli accertamenti di PG e specificamente della testimonianza di Rossi
Danilo della Polizia Provinciale di Arezzo; secondo il primo giudice tali fonti
probatorie dimostravano appunto la fondatezza delle accuse mosse al prevenuto,

Data Udienza: 20/11/2015

essendo state rinvenute presso l’abitazione della madre dello stesso le specie
animali di cui ai capi di imputazione, ma dovendosi ritenere che si trattasse di
prede venatorie del Matteini; la versione del quale, volta a sostenere che esse
erano invece di proprietà della madre, non veniva giudicata attendibile.
2. Avverso tale decisione, tramite il difensore fiduciario, proponeva appello convertito in ricorso per cassazione- l’imputato deducendo plurimi motivi di
doglianza.
2.1 Con un primo motivo lamenta violazione ovvero errore nell’applicazione della

cacciare gli animali il cui abbattimento gli viene contestato, bensì essendo stati
gli stessi ritrovati nel congelatore della madre, ciò non possa integrare in
concreto le fattispecie incriminatrici contestategli.
2.2 Con un secondo motivo si duole della falsa applicazione dell’art. 533, comma
1, cod. proc. pen. in relazione all’art. 1, cod. pen. nonché della manifesta
contraddittorietà ed illogicità della motivazione del provvedimento impugnato.
In sostanza il ricorrente afferma che le valutazioni probatorie operate dal primo
giudice non risultano conformi ai canoni logici ordinari, non potendosi in
particolare inferire dalla circostanza che gli animali de quibus fossero conservati
in congelatore presso la madre che ad abbatterli fosse stato proprio lui.
2.3 Con un terzo motivo censura la pronuncia del primo giudice per violazione
degli artt. 1, 62 bis, 133, cod. pen. per l’eccessività della pena inflitta.
2.4 Con un quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 32, L. 157/1992, non
dovendosi a suo dire disporre alcuna trasmissione della sentenza all’Autorità di
pubblica sicurezza, non avendo la sentenza del Tribunale natura di
provvedimento definitivo come tale disposizione richiede.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
1.1 In via preliminare si deve osservare che per consolidata giurisprudenza di
questa Corte, che il Collegio condivide, qualora un provvedimento giurisdizionale
sia impugnato con un mezzo di gravame diverso da quello normativamente
previsto, il giudice che riceve l’atto di gravame deve limitarsi, ex art. 568, quinto
comma, cod. proc. pen., alla verifica dell’oggettiva impugnabilità del
provvedimento e dell’esistenza della volontà di impugnare e, conseguentemente,
trasmettere gli atti al giudice competente, astenendosi dall’esame dei motivi al
fine di verificare, in concreto, la possibilità della conversione (così,

ex multis,

Sez. 5, n. 7403 del 26/09/2013, P.M. in proc. Bergantini, Rv. 259532; Sez. 1, n.
33782 del 8/4/2013, Arena, Rv. 257117; Sez. 5, n. 21581 del 28/4/2009, P.M.
in proc. Mare, Rv. 243888).
E’ altresì pacifico nella giurisprudenza di questa stessa Corte che la conversione

della impugnazione, secondo principio di conservazione degli atti, ha peraltro
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legge penale. Sostiene il Matteini che, non essendo stato colto all’atto del

quale unico effetto giuridico processuale detta

translatio judicii,

ma non

comporta affatto alcuna deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione
correttamente qualificato. Pertanto, l’atto convertito deve avere i requisiti di
sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere
proposta (in questo senso, v. Sez. 1, n. 2846 del 8/4/1999, Annibaldi R, Rv.
213835, Sez. 3, n. 26905 del 22/04/2004, Pellegrino, Rv. 228729; Sez. 4, n.
5291 del 22/12/2003 (dep.2004), Stanzani, Rv. 227092).
Ciò posto l’appello proposto dal Matteini avverso la sentenza del Tribunale di

cassazione, trattandosi di sentenza non appellabile ex art. 593, comma 3, cod.
proc. pen., non possiede tuttavia i requisiti contenutistici propri di tale mezzo di
impugnazione.
Non deve in questo senso trarre in inganno la rubricazione e la partizione dei
motivi di impugnazione secondo lo “stile” di cui ricorso di legittimità financo
facendosi riferimento a censure sussumibili nelle ipotesi di cui all’art. 606,
comma 1, cod. proc. pen. Ed infatti con il primo motivo si censurano le
valutazioni meritali di fatto del primo giudice, con particolare riguardo alla
valutazione di una prova testimoniale. Ugualmente, in forma argomentativa più
articolata e diffusa, con il secondo motivo si ripercorre la motivazione della
sentenza impugnata, ma non tanto evidenziandone vizi tra quelli tassativamente
indicati nell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., quanto piuttosto ancora
criticandone l’apprezzamento meritale delle prove, dirette ed indiziarie, acquisite
al processo e quindi l’applicazione della regola di giudizio di cui all’art. 533,
primo comma, cod. proc. pen. Con la terza censura si esprime una critica in
forma univocamente gravatoria e non di legittimità, invocando una diversa
determinazione meritale della pena ai sensi degli artt. 62 bis, 133, cod. pen.
L’unico vero e proprio motivo di legittimità speso è il quarto, con il quale si
lamenta la violazione dell’art. 32, L. n. 157/1992, in relazione all’ordine di
trasmissione della sentenza al Questore di Arezzo. Si tratta tuttavia di un motivo
manifestamente infondato, poiché nel provvedimento non è affatto disposta la
sua trasmissione immediata a detta Autorità amministrativa, sicchè nessuna
violazione di detta norma, che subordina tale adempimento informativo alla
sopravvenuta definitività del provvedimento che ne è oggetto, è in effetti
ravvisabile.
1.2 In virtù dei rilievi che precedono, integrandosi nel caso in esame la prima
previsione normativa di cui all’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., essendo stata
formulata l’impugnativa per motivi diversi da quelli previsti dal comma 1, della
medesima disposizione codicistica, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte

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Arezzo, convertito – secondo il primo principio giurisprudenziale- in ricorso per

abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in € 1.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle

Così deciso il 20/11/2015

Ammende.

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