Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8960 del 14/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 8960 Anno 2013
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) ZACHEO IVAN COSIMO N. IL 27/09/1971
avverso la sentenza n. 447/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del
13/10/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;

Data Udienza: 14/11/2012

Ritenuto in fatto.
Il 13 ottobre 2011 la Corte d’appello di Lecce confermava la sentenza emessa
1’8 febbraio 2011, all’esito di giudizio abbreviato, dal giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Lecce che aveva dichiarato Ivan Cosimo Zacheo
colpevole dei reati previsti dagli arti 9 1. n. 1423 del 1956 e successive modifiche e

la recidiva contestata e tenuto conto della diminuente per il rito, lo aveva
condannato alla pena di un anno e dieci mesi di reclusione.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, tramite il difensore di
fiducia, l’imputato il quale lamenta violazione di legge e mancanza di motivazione
in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato e agli elementi posti a
fondamento dell’affermazione di penale responsabilità, nonché con riguardo alla
dosimetria della pena.

Osserva in diritto.
Il ricorso è manifestamente infondato.
1.Con riferimento ai primi due motivi di censura il Collegio osserva che il
controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di
disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione,
dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa
risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al
punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere
comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito ovvero quando le linee
argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari
passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione
(Sez. Un. 28 maggio 2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. 1, 9 novembre 2004, ric.
Santapaola, rv. 230203).
In realtà, il ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge in
riferimento ai principi di valutazione della prova di cui all’art. 192.2 c.p.p., non
critica in realtà la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla
formazione del convincimento del giudice, bensì, postulando un preteso
travisamento del fatto, chiede la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il
sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in sede d’indagine di

707 c.p. e, ritenuta la continuazione fra i reati, riconosciuta sussistente ed applicata

legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura
razionale della sentenza impugnata abbia -come nella specie- una sua chiara e
puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole
della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative univocamente della
coscienza e volontà del ricorrente di violare le prescrizioni a lui imposte con il
provvedimento applicativo della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di
condannato per reati commessi a fine di lucro e contro il patrimonio, oggetti atti allo
scasso
2.Manifestamente infondato è anche l’ultimo motivo di ricorso, avendo i giudici
di merito quantificato la pena irrogata nel rispetto dei principi costantemente
enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186
del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria
che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’ art. 616 c.p.p.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 14 novembre 2012
Il Consigliere estensore

Il Preshdente

soggiorno nel comune di residenza e di detenere, nella sua qualità di persona

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