Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8945 del 14/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 8945 Anno 2013
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CAVALLO ALDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) ASCENZI ANTONIO N. IL 13/06/1949
avverso la sentenza n. 2940/2007 CORTE APPELLO di ROMA, del
21/04/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;

Data Udienza: 14/11/2012

Ritenuto In fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Roma confermava
quella di primo grado che aveva dichiarato Ascenzi Antonio colpevole del reato di
detenzione illegale di una pistola RTS cal. 6, e lo aveva condannato alla pena di mesi sei ed euro 400,00 di multa, escludendo, per quanto ancora rileva in questa sede,
che si potesse dubitare vuoi della riferlbilltà all’imputato dell’arma di cui trattasi, in
quanto rinvenuta nella cassaforte dell’albergo da lui gestito, vuoi dell’illegalità della

lui rinvenuta anni prima in un prato.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato denunziando l’assoluta mancanza di motivazione circa le ragioni della conferma della
sentenza di primo grado, avendo i giudici di appello ritenuto provata la responsabilità dell’imputato nonostante quanto affermato dai testi che avevano operato la perquisizione, senza considerare, in particolare: che il Maresciallo Dettori, escusso in
relazione alla perquisizione operata nell’albergo gestito dal ricorrente, non aveva
partecipato personalmente a tale incombente, ma alla perquisizione eseguita con
esito negativo, presso l’abitazione; che il Maresciallo Mobilio, il quale aveva eseguito
i controlli su tutte le armi rinvenute all’esito di perquisizioni disposte nei confronti di
altro imputato, Ascenzi Nazareno, aveva dichiarato che delle armi ritrovate, l’unica
sprovvista di denuncia, era una pistola Beretta, laddove in dibattimento, però, aveva
fornito prova documentale della non veridicità di tale circostanza.
Ulteriore insufficienza motivazionale veniva ravvisata dalla difesa nella mancata applicazione della diminuente di cui all’art. 5 legge n. 895/1967 del fatto di lieve entità.

Considerato in diritto
1. L’impugnazione è inammissibile perché basata su motivi non specifici e comunque
manifestamente infondati.
1.1 La sentenza impugnata ha infatti specificamente indicato i motivi per cui l’appello – che per quanto concerne l’imputato Ascenzi Antonio, vedeva esclusivamente
sulla riferibilltà allo stesso di una pistola RTS cal. 6 – doveva ritenersi infondato, valorizzando sul punto, non solo e non tanto la deposizione dei testi Dettori e Mobilio,
l’ultima delle quali, per altro, irrilevante con riferimento all’odierno ricorrente, riguardando essa, essenzialmente, i controlli effettuati con riferimento ad altre armi,
nella disponibilità di altro imputato (Ascenzi Nazzareno), ma il dato fattuale, non-

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detenzione della pistola, non avendo l’imputato provveduto a denunciare l’arma, da

contestato in sede di ricorso, che la pistola RTS cal, 6 era stata rinvenuta nella cassaforte dell’albergo gestito dall’odierno ricorrente e che sarebbe stato costui a riferire agli operanti la perquisizione, di aver ritrovato tale arma anni prima in un prato.
Non è quindi vero che il provvedimento impugnato sia privo di motivazione sulla
questione devoluta con l’atto di appello, laddove è il ricorso a rivelarsi generico, poiché sl limita ad assumere la insufficienza di una motivazione che invece è conforme
al parametro normativo, senza neppure specificare le argomentazioni che avrebbero
dovuto giustificare il proscioglimento dell’imputato.

diminuente del fatto di lieve entità di cui all’art. 5 legge n. 895/1967, è sufficiente
osservare che, a prescindere dal rilievo che non risulta che l’applicazione di tale diminuente fosse stata specificamente invocata nell’atto di appello, nel caso in esame
tale diminuente, ove pure invocata, non poteva comunque essere riconosciuta, in
quanto in tema di violazione delle disposizioni per il controllo delle armi, «in ogni
caso la reclusione non può essere inferiore a sei mesi», limite che rappresenta in
effetti l’entità della pena inflitta all’imputato.

2. Alla deciaratoria d’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore
della Cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in
C 1.000, ai sensi dell’ art. 616 cod. proc. pen..
P.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000 in favore della Cassa della ammende.
Così deciso in Roma, 14 novembre 2012.

Quanto poi a pretese insufficienze motivazionali circa la mancata applicazione della

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