Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8943 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8943 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: BELTRANI SERGIO

Data Udienza: 25/11/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZARANTONELLO ROBERTO N. IL 11/02/1966
TORMENE LIDIA N. IL 18/06/1974
SCARFO’ GIANFRANCESCO N. IL 17/09/1973
GIACOMAZZI SUSANNA N. IL 07/09/1961
DI GRANDI ALDO N. IL 06/08/1966
BUSO MAURO N. IL 13/02/1964
BOTTIN MIRKO N. IL 24/06/1975
BISATO CRISTIAN N. IL 26/10/1976
avverso la sentenza n. 864/2013 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
27/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott..fuliZo Slef24
che ha concluso per
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il Tribunale di Padova, con sentenza emessa in data 20 luglio 2012, aveva, per quanto
in questa sede rileva:
– dichiarato BISATO Claudio, BOTTIN Mirko, BUSO Mauro, DIGRANDI Aldo, GIACOMAZZI
Susanna, SCARFO’ Gianfranco, TORMENE Lidia e ZARANTONELLO Roberto, responsabili del

– dichiarato BISATO Claudio, BOTI-IN Mirko, BUSO Mauro, DIGRANDI Aldo, GIACOMAZZI
Susanna, SCARFO’ Gianfranco, TORMENE Lidia e ZARANTONELLO Roberto responsabili dei
reati a ciascuno ascritti ai capi di imputazione B), G), H), I), P), Q), R), R-bis), S), F1), Il),
C1), limitatamente alle truffe commesse ai danni di Meloni Achille, De Amicis Laura, Russo
Claudia Ragaiolo Marco, Bergamasco Rita, Galantin Sabrina, Bonamini Simonetta,
Marszalek Czeslaw, Cenniviva Mario, Intrombatore Angela, Falci Rosario, Spoglianti
Emanuela, Zarnpolli Devis, Negri Giuseppe, Marcurio Maria, Pezzini Marco, Borrelli
Pancrazio, Meschiari Athos, Salvato Rosolino, Bazzani Luciano, Quarante Ciro, Dasola Fiera,
Testaverde Rosario, Agyakum Amoako, Pacchetti Mauro, Disano Giuseppe, Tarletti
Nicola, Scala Dulio, Chincarinì Giorgio, Locuratolo Nicola e Filomena Carmela Genovese,
De Gironimo Giuseppe, Pahnieri Giovanni, Falcone Vittorio, Gioia Marina, D’Urso Carmela, a
ciascuno contestate;
– dichiarato BOTTIN Mirko, BUSO Mauro, GIACOMAZZI Susanna, ZARATONELLO Roberto
responsabili del reato di cui sub C),
e condannato ciascuno, ritenuta la continuazione tra i reati accertati, alle pene
ritenute di giustizia, con le statuizioni accessorie (BOTTIN Mìrko, BUSO Mauro,
GIACOMAZZI Susanna e ZARANTONELLO Roberto in solido anche in favore delle parti civili
LOCURATOLO Nicola e GENOVESE Filomena Carmela).
2. La Corte di appello di Venezia, con la sentenza indicata in epigrafe, per quanto in
questa sede ha rilievo:
– ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di BOTTIN Mirko, BUSO Mauro,
GIACOMAZZI Susanna, ZARATONELLO Roberto in ordine alla truffa ai darmi di LOCURATOLO
Nicola e GENOVESE Filomena ed in ordine al reato di ricettazione di cuì al capo C), per
essere gli stessi estinti per prescrizione;
– ha ritenuto, quanto a GIACOMAZZI Susanna, la semplice partecipazione al
reato associativo di cui al capo A), ed ha escluso, per la stessa, il concorso nei reati
di truffa commessi successivamente al 23 febbraio 2007;

reato dì cui al capo A) delle imputazioni;

- ha revocato le statuizioni civili;
– ha confermato la sentenza di primo grado quanto alle ulteriori affermazioni di
responsabilità a carico degli imputati BOTTIN Mirko, BUSO Mauro, GIACOMAZZI Susanna,
ZARATONELLO Roberto;
– ha rideterminato in termini più favorevoli le pene per gli imputati BOTTIN Mirko, BUSO
Mauro, GIACOMAZZI Susanna, ZARATONELLO Roberto;
– ha confermato nel resto la sentenza di primo grado (quanto alle affermazioni di

Gianfranco e TORMENE Lidia, rideterminando per tutti il trattamento sanzionatorio in termini
più favorevoli (con non menzione per tutti e quattro).
3. Queste in dettaglio le imputazioni oggetto del procedimento:
3.1. Il reato associativo.
Capo A): reato p. e p. dall’art. 416 c.p. per avere partecipato ad una associazione a
delinquere finalizzata alla vendita truffaldina (meglio indicata per ciascun imputato nei
singoli capi di imputazione), dei prodotti commercializzati dalla MASTER SRL, con sede
dichiarata in Venezia-Mestre, Via dell’Elettricità n. 40 e sede amministrativa in Limena (PD),
Via Pierobon n. 109, e dalla MASTER LINCE SRL, con sede-legale in Limena (PD), Via
Pierobon n. 109B, avendo agito BUSO Mauro in qualità di legale rappresentante, socio e
capogruppo,

ZARANTONELLO Roberto in qualità di legale rappresentante, socio e

capogruppo, TINIVELLA Giovanni Domenica in qualità di legale rappresentante e socio,
BOTTIN Mirko in qualità di capogruppo e direttore di sala, MANDRUZZATO Vera in qualità
di direttrice dì sala e centralinista, CAFAGNO Carmine in qualità di direttore dì sala e
responsabile del gruppo di vendita di Bari, RUSSO Marianna in qualità di consegnataria della
merce, BATTISTI Simonetta in qualità di direttrice di sala, SCARFO’ Gianfrancesco in
qualità di direttore di sala e consegnatario della merce, BOLIS Paola in qualità di
centralinista e venditrice, TORMENE LIDIA in qualità di direttrice di sala, LEYVA Antonio in
qualità di direttore di sala e consegnatario della merce, COMACCHIO Federico in qualità di
direttore di sala e consegnatario della merce, QUARANTA Francesco in qualità di direttore di
sala, QUARANTA Natalizia in qualità direttore di sala, CAFAGNO Nicola in qualità di direttore
di sala, CARBONARA Giuseppe in qualità di direttore di sala, PETRELLI Maria in qualità di
direttore di sala, AMORUSO Arcangelo in qualità di venditore, DEI ROSSI Riccardo in qualità
di direttore di sala e consegnatario della merce, BISATO Cristian in qualità dí direttore di
sala, DE GIORGI Marco in qualità di consegnatario, KAMATA Enkeleida in qualità dì direttrice
di sala, DIGRANDI Aldo in qualità di direttore di sala e di consegnatario, PAGGIARO
Adriano in qualità di direttore di sala e di consegnatario, MALIMPENSA Gloria in qualità di
direttrice di sala, MANZ1ONNA Antonio Pasquale in qualità di direttore di sala, KOLICI Enton

responsabilità) nei confronti degli imputati BISATO Claudio, DIGRANDI Aldo, SCARFO’

in qualità di consegnatario, SCARFO’ Francesco in qualità di direttore di sala e di
consegnatario;
associazione, promossa, costituita. ed organizzata da BUSO Mauro, ZARANTONELLO
Roberto,

TINIVELLA Giovanni Domenico,

BOTTIN Mirko, GIACOMAZZI

Susanna (responsabile dell’ufficio amministrazione della Master Line s.r.l. e che, fra
l’altro, gestiva il denaro, provento delle vendite, della società e trattava anche con i
fornitori/clienti e con gli istituti di credito) – per l’imputata GIACOMAZZI il

MANDRUZZATO Vera.
In Padova e altre città d’Italia dal 2005 al 16.07.2007.
3.2. Le truffe (non aggravate ex art. 61 n. 7 c.p.: l’aggravante è stata esclusa per tutti i
reati dalla Corte di appello).
Capi B), G), H), I), P), Q), R), R-bis), S), F1), Il), C1),
Secondo le contestazioni, gli imputati – ciascuno nella qualità indicata nel corpo della
contestazione relativa al reato associativo, in concorso (come specificamente indicato in
ciascun capo di imputazione con riferimento a ciascuna persona offesa, e nelle date pure
dettagliatamente ivi indicate episodio per episodio), in esecuzione di un medesimo disegno
criminoso, con artifizi e raggiri consistiti:
– nell’organizzare manifestazioni per la vendita dei prodotti commercializzati dalla
Master e Master Line s.r.l. presso strutture alberghiere site sull’intero territorio
nazionale, convocando nuclei familiari, a mezzo call-center, con la promessa di un
omaggio ed omettendo di specificare le reali motivazioni dell’invito;
– nell’esibire ai clienti la rivista specializzata “CIRP”, sulla quale era stata in precedenza
fatta pubblicizzare l’enciclopedia denominata “ARCA”, con l’abbinamento di un corso
per personal computer denominato PC Family Master, evidenziandone fittiziamente
un valore di mercato pari ad 7.390,00 a fronte di un prezzo effettivo di acquisto pari ad C.
440,00 (C. 150,00 per l’enciclopedia – C. 290,00 PC Family Master), per poi rappresentare
al cliente che solo in quella occasione vi era un’offerta promozionale di acquisto della
composizione pari ad C. 6.390,00, e così facendo nascere nei clienti l’erroneo convincimento
che stavano concludendo un contratto vantaggioso;
– (quanto al gruppo capeggiato da BOTTIN Mirko addetto alla vendita di prodotti
casalinghi) nel prospettare ai clienti l’acquisto di nr. 3 composizioni di articoli casalinghi, con
prezzo di listino variabile da C. 2.200,00 ad C. 2.590,00 cadauna, per un valore di circa C.

ruolo verticistico è stato conclusivamente escluso dalla Corte di appello

7.000,00, e sottolineando vieppiù che solo per quella occasione il prezzo di tutta la merce
sarebbe stato quello di una composizione pari ad €. 2.160,00;
– nel proseguire tale opera di convincimento con l’assegnazione progressiva di ulteriori
prodotti, definiti “sponsor”, evidenziati al potenziale acquirente come merce omaggio,
concessa gratuitamente da aziende per fini pubblicitari, in realtà acquistata, venduta
contestualmente dalla società ed inclusa nel prezzo complessivo di vendita, in media

– nel diffondere continuamente musica ad alto volume e nell’esercitare vere e proprie
pressioni psicologiche sugli intervenuti, al fine di convincerli all’acquisto della merce,
fino a forzare la loro volontà, attraverso forme di riconoscimento come l’applauso per
ogni singola adesione e dunque utilizzando tecniche di vendita tali da alterare la
capacità di discernimento del cliente;
– nel prospettare falsamente al cliente che il prezzo della merce (composizioni di articoli
casalinghi) corrispondeva a euro 2.160, mentre in realtà all’atto della consegna della merce
l’ignaro cliente scopriva che nel contratto che aveva sottoscritto vi era annotata la ben
più elevata cifra di curo 6.480,00 (ciò che era reso possibile dall’artifizio di cui al
paragrafo che segue): ciò era reso possibile dall’utilizzazione, al momento della redazione
dei contratti inerenti alla vendita di prodotti casalinghi, di una penna priva di inchiostro con
la quale veniva impresso sul frontespizio del contratto (formato in triplice copia con carta
ricalcante) la cifra di euro 6.480,00 (che così si imprimeva solo sulle due copie
sottostanti) e nel riportare poi la cifra predetta (euro 6.480, in luogo di quella riferita, euro
2.160) anche sul frontespizio, una volta che il cliente aveva sottoscritto il contratto,
ripassando sul solco fatto in precedenza senza inchiostro;
– nel prospettare falsamente ai clienti pagamenti rateali mensili vantaggiosi, di importo
esiguo e senza interessi, modificando dette modalità secondo un meccanismo ben
collaudato (dilazioni massimo in quattro anni con assegni post-datati, cambiali o
finanziamento con applicazione degli interessi) in sede di consegna della merce;
– nel recarsi presso le abitazioni dei clienti, al momento della consegna della merce
(articoli casalinghi), dopo la scadenza dei 10 giorni previsti per l’esercizio del diritto
di recesso, e con il comportamento materialmente posto in essere dai c.d. consegnatari,
nel pretendere quale pagamento, il prezzo concordato nel corso del meeting, triplicato
ovvero relativo ad ogni composizione acquistata (così ostacolando il diritto di recesso e la
risoluzione dei contratti);

nell’utilizzare due timbri postali, l’uno provento di furto e l’altro

contraffatto, al fine di perfezionare i titoli cambiari successivamente alla loro emissione
(in particolare i consegnatari della merce erano in possesso di svariati effetti cambiari in
bianco che venivano predisposti presso il domicilio del cliente, per quanto concerne il valore

triplicato rispetto a quello di acquisto della merce;

inerente all’importo rateizzato, spesso concordato al momento, e firmati; solo
successivamente, presso la sede della società, il titolo veniva compilato
meccanograficamente nelle restanti parti e in tale fase venivano anche aggiunti, ove era
necessario, í bolli integrativi proporzionati al valore facciale, procedendo al perfezionamento
del titolo con l’apposizioni dei timbri sia sui bolli che sui francobolli relativi alle spese
postali di commissione (così rendendo la cambiale esigibile ed azionabile immediatamente);
– nel consegnare la merce agli acquirenti, nel caso di enciclopedie

possibilità agli stessi di ponderare l’effettività dell’offerta entro il termine dí scadenza del
diritto di recesso e, nel caso di prodotti casalinghi, successivamente alla scadenza dí
quest’ultimo, impedendo la risoluzione di contratti con la minaccia di cospicue penali e spese
legali,

avevano indotto in errore gli ignari clienti, concludendo i relativi contratti e
procurandosi l’ingiusto profitto, costituito dalla consegna delle somme di denaro in
contanti, assegni o cambiali pari ad C. 6.390,00, per le enciclopedie multimediali, e ad C
6.480,00 nel caso di articoli casalinghi, per ogni contratto stipulato, oltre agli interessi
applicati in ragione del numero delle rate mensili, alle spese dei titoli cambiari, pari ad C.
10,00 cadauno, ed alle provvigioni percepite dalle società finanziarie per ogni contratto
stipulato, ai danni di plurime pp.00. dettagliatamente indicate dall’imputazione.
4. Contro la sentenza indicata in epigrafe gli imputati hanno separatamente proposto
ricorso per cassazione, deducendo i motivi che saranno di seguito enunciati, nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att.
c.p.p.
5. All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito, ed
all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera
di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica
udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi sono inammissibili.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’ SULLA MOTIVAZIONE
1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla
motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall’art. 606,
comma 1, lettera e), c.p.p., come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46

multimediali, nell’immediatezza del data del party, cioè dopo uno o due giorni, senza dare la

del 2006, che, a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la
possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo
della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai
giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo convincimento.
1.1. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto
ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. «travisamento della

valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od
omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto
a critica), purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende
essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in
considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca
da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame
parcellizzato.
Permane, al contrario, la non deducibilità, nel giudizio di legittimità, del travisamento
del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria
valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito
(Sez. VI, sentenza n. 25255 del 14 febbraio 2012, CED Cass. n. 253099).
1..2. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606, comma 1, lett.
e), c.p.p. intenda far valere il vizio di «travisamento della prova>> deve, a pena di
inammissibilità (Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n.
234115; Sez. VI, sentenza n. 45036 del 2 dicembre 2010, CED Cass. n. 249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che
risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato,
nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali
probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e compromette, in
modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di
radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento
impugnato.

prova>> (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della

1.3.

La mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi

denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili
ictu ocuii, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed
adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano validità,

un., sentenza n. 24 del 24 novembre 1999, CED Cass. n. 214794; Sez. un., sentenza n. 12
del 31 maggio 2000, CED Cass. n. 216260; Sez. un., sentenza n. 47289 del 24 settembre
2003, CED Cass. n. 226074).
Devono tuttora escludersi la possibilità, per il giudice dì legittimità, di

<>, ma solo qualora la difformità della realtà storica sia evidente, manifesta,
apprezzabile ictu °cui/ ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti
gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non e
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e, quindi, anche
contraddittorio).

e meritano di essere tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte Suprema, Sez.

1.5. Va, infine, evidenziato che non è denunciabile il vizio di motivazione con riferimento
a questioni di diritto.
1.5.1. Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema
(Sez. II, sentenze n. 3706 del 21. – 27 gennaio 2009, CED Cass. n. 242634, e n. 19696 del
20 – 25 maggio 2010, CED Cass. n. 247123), anche sotto la vigenza dell’abrogato codice di
rito (Sez. IV, sentenza n. 6243 del 7 marzo – 24 maggio 1988, CED Cass. n. 178442), il
vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle

immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente
risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale
soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano.
E, d’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo dall’errata soluzione
di una questione giuridica, non dall’eventuale erroneità degli argomenti posti a fondamento
giustificativo della soluzione comunque corretta di una siffatta questione (Sez. IV, sentenza
n. 4173 del 22 febbraio – 13 aprile 1994, CED Cass. n. 197993).

Va, pertanto, ribadito il seguente principio di diritto:
«nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento
alle questioni di diritto decise dal giudice di merito, allorquando la soluzione di esse sia
giuridicamente corretta. D’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere
soltanto dall’errata soluzione delle suddette questioni, non dall’indicazione di ragioni errate a
sostegno di una soluzione comunque giuridicamente corretta).
1.6.

E’ anche inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione dell’art. 192 c.p.p.,

anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), c.p.p., per censurare l’omessa
od erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva
atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in
quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati
specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non possono essere superati
ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., nella parte in cui consente
di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Cass. pen.,
Sez. VI, sentenza n. 45249 del1’8 novembre 2012, CED Cass. n. 254274).

LA NECESSARIA SPECIFICITA’ DEL RICORSO PER CASSAZIONE
2. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, condivisibilmente, orientata nel senso
dell’inammissibilità, per difetto di specificità, del ricorso presentato prospettando vizi di
motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o
alternativa (Sez. VI, sentenza n. 32227 del 16 luglio 2010, CED Cass. n. 248037: nella

questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera

fattispecie il ricorrente aveva lamentato la “mancanza e/o insufficienza e/o illogicità della
motivazione” in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze
cautelari posti a fondamento di un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale; Sez.
VI, sentenza n. 800 del 6 dicembre 2011 – 12 gennaio 2012, Bidognetti ed altri, CED Cass.
n. 251528).
Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. stabilisce che i provvedimenti sono ricorribili
per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio

specificamente indicati nei motivi di gravame>>.
La disposizione, se letta in combinazione con l’art. 581, comma 1, lett. c), c.p.p. (a
norma del quale è onere del ricorrente «enunciare i motivi del ricorso, con l’indicazione
specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta>>)
evidenzia che non può ritenersi consentita l’enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi
di ricorso, essendo onere del ricorrente di specificare con precisione se la deduzione di vizio
di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità
ovvero a una pluralità di tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle varie
parti della motivazione censurata.
Il principio è stato più recentemente accolto anche da questa sezione, a parere della
quale «È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso nel quale siano prospettati vizi
di motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa
o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con precisione se le censure siano
riferite alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno
tra tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione
oggetto di gravame>> (Sez. II, sentenza n. 31811 dell’8 maggio 2012, CED Cass. n.
254329).
Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione risulta priva della necessaria specificità, il che rende il
ricorso inammissibile.

2.1. Secondo altro consolidato e condivisibile orientamento di questa Corte Suprema (per
tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693;
Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è
inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le censure
dedotte come motivi di appello (al più con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti
contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza

risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo

impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù
delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.
2.2. Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21
febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che «La funzione tipica dell’impugnazione è quella
della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata
si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e
591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che

sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto,
innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del
provvedimento il cui dispositivo si contesta).

2.3. Il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una “duplice specificità”:
«Deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581 c.p.p., lett. C (e quindi contenere
l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta
presentata al giudice dell’impugnazione); ma quando “attacca” le ragioni che sorreggono la
decisione deve, altresì, contemporaneamente enudeare in modo specifico il vizio
denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606
c.p.p., comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua
decisi vità rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla
deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente» (Sez. VI, sentenza n.
8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584).

2.4. Risulta, pertanto, evidente che, «se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il
motivo d’appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica
funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento),
posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi
dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nè tale
forma di redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello)
potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio di omessa motivazione da parte
del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli nell’atto di impugnazione. Infatti,
quand’anche effettivamente il giudice d’appello abbia omesso una risposta, comunque la
mera riproduzione grafica del motivo d’appello condanna il motivo di ricorso
all’inammissibilità. E ciò per almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che
vale anche per l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello) non è mediata
dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa motivazione (e tanto
più nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a differenza della mancanza
“grafica”, pretende la dimostrazione della sua mera “apparenza” rispetto ai temi

44

tempestivamente e specificamente dedotti); denuncia che, come detto, è pure onerata
dell’obbligo di argomentare la decisività del vizio, tale da imporre diversa conclusione del
caso».

2.5. Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o parziale, del motivo
d’appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune circostanze costituisce
incombente essenziale dell’adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso), ma solo
quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed

esaustiva argomentazione, che, ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento
impugnato con il ricorso e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si
tratta dei principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei provvedimenti
giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri della prima sentenza con i
motivi d’appello e della seconda sentenza con í motivi di ricorso per cassazione, trovano
piena applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione» (Sez. VI, sentenza n. 8700
del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584).

LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA D’APPELLO
3. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte
nell’impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per implicito o per aver
seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 1307 del 26 settembre 2002 – 14
gennaio 2003, CED Cass. n. 223061).
3.1. In presenza di una doppia conforma affermazione di responsabilità, va, peraltro,
ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella
della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo
grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in
quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi
su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni
sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e
criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi,
si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in
ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i
giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal
giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai
passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di
merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 1309 del 22 novembre

4Z

1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III, sentenza n. 13926 del 10 dicembre
2011 – 12 aprile 2012, CED Cass. n. 252615).

L’AFFERMAZIONE DI RESPONSABILITA’ <>.
4.

Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione «oltre ogni

ragionevole dubbio>>, presente nel testo novellato dell’art. 533 c.p.p. quale parametro cui


i

opportuno evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto
anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di
innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro
sistema processuale.
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione
meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il «ragionevole
dubbio>> sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a
norma dell’art. 530, comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più
rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal
codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in precedenza immanente nel nostro
ordinamento costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla
giurisprudenza di questa Corte Suprema – per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10
luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel testo novellato
dell’art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza
processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (Cass. pen., Sez. H, sentenza n.
19575 del 21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785; Sez. II, sentenza n. 16357 del 2 aprile
2008, CED Cass. n. 239795).
In argomento, si è più recentemente, e conclusivamente, affermato (Sez. II, sentenza n.
7035 del 9 novembre 2012 – 13 febbraio 2013, CED Cass. n. 254025) che «La previsione
normativa della regola di giudizio dell’ “al di là di ogni ragionevole dubbio”, che trova
fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un
diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio
giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza
processuale della responsabilità dell’imputato».

I RICORSI
5. Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli odierni ricorsi.

6. I fatti accertati, l’associazione per delinquere e le truffe.

43

conformare la valutazione inerente all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è

Seguendo la tecnica espositiva della Corte di appello, prima di esaminare le doglianze
inerenti alle singole posizioni processuali, è opportuna una preliminare disamina del
complessivo contesto di riferimento, non senza aver premesso che le considerazione della
Corte di appello (che riprendono quelle, condivise, del primo giudice, come è fisiologico in
presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità) appaiono giuridicamente
corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi
rilevabili in questa sede, poiché fondate su una ineccepibile disamina delle prove raccolte, in

6.1. I fatti accertati.
Le vicende oggetto delle imputazioni riguardano una attività d’impresa incentrata sulla
stipula di contratti a distanza e fuori dai locali commerciali, ovvero contratti

«che si stipulano fuori dalla sede di vendita dell’azienda fornitrice, come ad esempio, in casa dell’acquirente,
in alberghi o altri locali dove vengono effettuate presentazioni,durante gite organizzate per scopi promozionali, per
strada, per corrispondenza o in base a un catalogo che il consumatore ha consultato senza la presenza dell’operatore
commerciale. I contratti a distanza sono contratti che vengono stipulati senza la presenza del venditore,

il quale contatta il compratore con una o più tecniche di comunicazione a distanza. Comprendono le televendite,le
vendite tramite contatti telefonici, gli acquisti tramite internet le proposte di acquisto a mezzo posta elettronica o
fax» (f. 32 della motivazione della sentenza impugnata).

Nel caso in esame si verte in ipotesi di vendita fuori dai locali commerciali, e la prova
«si avvale di testimonianze plurime e sostanzialmente convergenti che consentono di superare le obiezioni
difensive. Le testimonianze delle pp.00. hanno delineato un sistema generalizzato, che non può essere il frutto del
caso, ma è necessariamente il risultato di un’organizzazione di vendita studiata nei minimi dettagli, avente lo scopo
di massimizzare í profitti delle società coinvolte. L’esistenza di più persone offese, la convergenza delle relative
dichiarazioni, la capacità degli inquirenti di farsi carico delle esigenze delle vittime hanno reso possibile un processo
comunque difficile, ma non inutile. L’esistenza di più pp.00. che lamentano fatti commessi con le medesime modalità
rafforza la credibilità del singolo e rende meno sostenibile la tesi della strumentalità delle querele o della mancata
comprensione dell’offerta commerciale da parte del singolo acquirente» (f. 33 s.).

Le modalità operative delle società MASTER e MASTER LINE sono state così ricostruite
dalla Corte di appello (f. 34 ss.):
«Le due società esercitavano il commercio di enciclopedie e casalinghi avvalendosi di
callcenter per contattare clienti, attività questa oggetto sociale iniziale di MASTER LINE e di
IMPERIAL s.r.1, che aveva pure sede a Limena (PD). La vendita dei prodotti avveniva durante
appositi “eventi” o “party – in hotel, nei fine settimana, previo invito telefonico da
parte dei centralinisti, che per attirare la clientela e assicurare la partecipazione del
maggior numero di potenziali acquirenti, garantivano la consegna di omaggi, spesso destinati
ai bambini (v. più ampiamente pag. 13 della sentenza di primo grado); durante i party, i venditori
illustravano i prodotti, coordinati ed assistiti dai direttori di sala, i quali potevano concedere omaggi e concordare
più favorevoli modalità di pagamento; i tre capigruppo, ossia i soci storici BUSO e ZARANTONELLO, oltre al BOMN,
sovrintendevano ed erano responsabili dei gruppi di vendita. Il terzo socio storico, TINIVELLA, si occupav
dell’acquisto dei prodotti per la casa, venduti dal BOTTIN, nonché dell’ acquisto degli omaggi elargiti da tutti e

4 11

difetto di documentati travisamenti.

tre i gruppi. Erano i capo gruppo che davano ai direttori di sala le indicazioni sulle modalità di vendita
(v. QUARANTA a pag. 10 verbale del 20/4/12). E’ emerso in particolare che i clienti venivano ricevuti dai
venditori, di regola giovani di bella presenza, che avevano il compito di redigere una scheda
informativa (ad es. comprendere che lavoro svolgeva il cliente, quali erano le sue possibilità
economiche, etc.), illustrare i prodotti venduti, fare una carrellata dei prodotti esposti al fine di
comprendere quali potevano rivestire maggiore interesse , per poi formalizzai una proposta
commerciale che veniva seguita interamente dal direttore di sala, figura apicale che procedeva alla
trattativa , all’offerta dei prodotti e all’illustrazione e alla provvisoria individuazione delle possibili
modalità di pagamento destinate comunque ad essere definite nella fase di consegna della merce (v.
BAROLLO a pag.107 e 110 verbale del 4/4/12). Era il direttore di sala che concedeva sconti,

31 verbale del 9/4/2010; nello stesso senso il COMACCHIO a pag. 27 verbale del 20/4/12); i
venditori avevano un ruolo marginale in tale fase e non conoscevano il prezzo di acquisto dei beni offerti
in vendita (ad es. il prezzo di acquisto dell’enciclopedia da parte della società) Occorre distinguere tra
l’attività dei vari gruppi; i gruppi guidati da BUSO e ZARANTONELLO vendevano enciclopedie multimediali, il gruppo
guidato da BOTTIN vendeva casalinghi secondo il sistema dell’offerta multipla (tre a prezzo di uno) di cui
si dirà.
Le modalità operative del gruppo BOTTIN.
Per quanto riguarda la vendita di articoli casalinghi da parte del gruppo BOTTIN, in sede
di trattative, si prospettava falsamente agli acquirenti che il prezzo della merce (composizioni di
articoli casalinghi) corrispondeva a 2160 curo, mentre in realtà, all’atto della consegna, l’ignaro
cliente scopriva che sul modulo era annotata la più elevata cifra di 6480 euro, che corrispondeva
al prezzo delle tre composizioni (2160×3). Secondo quanto riferito da testi e coimputati, veniva
attuata la tecnica di vendita denominata “1 per 3” che consisteva nel far credere al cliente, in sede
di conclusione del contratto, di acquistare tre confezioni al prezzo di una, per poi pretendere al
momento della consegna della merce il prezzo di 6840 euro, corrispondente a quello delle tre
confezioni. L’illustrazione del prezzo era compito del direttore di sala che, come accennato,
conduceva la trattativa dopo la presentazione del prodotto da parte dei venditori (v. BAROLLO a pag.
108-109 e 113 verbale del 4/4/12; BORELLO a pag. 123 verbale del 4/4/12). Il CAFAG NO ha spiegato in
linea generale che si cercava di non far comprendere al cliente il prezzo di vendita (v.
pag. 37 e ss verbale del 9/4/2010): in pratica il prezzo scritto in grande, nel modulo, era
quello di 2160 curo che era riferito a ciascuna composizione; in realtà il prezzo
complessivo era quello di 6480 euro (pari alle tre composizioni), ma si cercava di non dire
né far capire al cliente il prezzo effettivo, giocando sull’equivoco creato dalle parole e
dalle modalità di scritturazione del modulo. Secondo ALLEGRO Luca, veniva proposto al cliente di
acquistare tre serie di prodotti al prezzo di una; il contratto commissione era diverso dagli altri
“perché riporta in grande il prezzo di un singolo prodotto,mentre in alto, a caratteri piccoli, ed
apposto probabilmente successivamente alla sottoscrizione del contratto, il prezzo
triplicato dell’intera offerta….”.II KOLICI ha aggiunto che il prezzo di 6480 curo non
veniva spiegato chiaramente al cliente al quale si diceva che tutte e tre le composizioni
costavano 2160 euro,mentre in realtà tale prezzo si riferiva alla singola composizione (v. pag.
67 verbale). Il KOLICI ha riferito di vari metodi per dissimulare il prezzo effettivo. In
particolare, a seguito di contestazione del P.M., egli ha confermato le precedenti
dichiarazioni: “…in alcuni casi era lo stesso direttore che aveva chiuso il contratto che in un
momento di distrazione della famiglia provvedeva a trascrivere il prezzo di 6480 curo, in altri
casi veniva trascritto da altre persone, nel momento in cui con diverse scuse venivano fatti
allontanare dal tavolo gli acquirenti oppure con destrezza prima di inserire il contratto nella
busta…” (v. pag. 69 verbale del 20/4/12). Fondamentale, in base a tali modalità, era distrarre
l’attenzione del cliente. Oltre la dissimulazione verbale, uno dei sistemi adottati per realizzare

45″

proponeva gli omaggi e definiva ,in via provvisoria, le modalità di pagamento (v. DEI ROSSI a pag.

l’inganno era altresì quello della c.d. penna magica. In pratica, al momento della redazione
dei contratti, veniva utilizzata una penna senza inchiostro con la quale veniva impressa sul
frontespizio del contratto, formato in triplice copia con carta ricalcante, la cifra di curo 6840
euro, che non risultava visibile sulla prima pagina, ma che si imprimeva e scriveva (grazie al
sistema della carta ricalcante) sulle due copie sottostanti. Successivamente, la cifra di curo 6840
curo, in luogo di quella riferita al cliente al momento della conclusione del contratto di
euro 2160, veniva riportata anche sul frontespizio, con una penna normale, una volta che il
cliente aveva sottoscritto il contratto, ripassando con una penna normale i solchi (ciechi)
creati in precedenza sul frontespizio impresso con la penna senza inchiostro, con una totale
coincidenza delle scritturazioni tra le varie copie (v. dichiarazioni di CAFAGNO Carmine a pag. 37 e ss
VERONESE a pagg. 88 e ss stesso verbale). La terza copia, consegnata al cliente, spesso veniva
chiusa in una busta (v. pag. 116 verbale cit.) e a volte veniva scritto sulla stessa “per il
funzionario” (v. KOLICI a pag. 74 verbale del 20/4/12;v. verbale sit di ALLEGRO Luca v. pure nota
33 pag. 12 sentenza di primo grado).Di conseguegza,l’acquirente non sempre prendeva visione
del foglio che gli era stato consegnato. Secondo ALLEGRO, nei rari casi in cui il cliente
apriva la busta in anticipo e telefonava presso l’azienda per il recesso, veniva avvisato dalla
Paola BOLIS che sarebbe passato un funzionario per definire il tutto. Poiché il cliente non inviava
la raccomandata per il recesso, rassicurato dalla telefonata, decadeva dalla possibilità di recedere. Di
fatto i clienti non comprendevano (o per meglio dire capivano solo al momento della
consegna) che 11 prezzo da pagare era di 6480 euro (v. KOLICI a pag. 80 verbale del 20/4/12). Si
richiamano a titolo esemplificativo anche le dichiarazioni di alcuni clienti. Ad es. la GOTA ha dichiarato che
era convinta di aver concluso un contratto di acquisto di alcuni prodotti ad un prezzo di circa
2000 curo, per poi scoprire a casa che la somma da pagare era di 6480 euro (“…poi quando mi
ha fatto il contratto per quell’importo lì, mi hanno consegnato quella busta chiusa, stupida io
che non ho controllato, ho visto che poi a casa c’era scritto 6480… sono poi venuti a
consegnarlo e quando abbiamo visto l’importo.. .abbiamo detto… non era quello che
avevamo pattuito noi, era duemila e rotti… volevamo rimandare indietro la merce, però
…non è stato possibile_erano già trascorsi i termini.., non si poteva fare perché ..avremmo
pagato una penale del 60%…”) (v.pag. 63 verbale del 23/5/12). Il teste FALCONE ha
dichiarato quanto segue: “—abbiamo acquistato tre prodotti, ce li hanno venduti per una
cifra di 2160 euro …noi abbiamo firmato il contratto che poi ci hanno riconsegnato…io poi non ho
più guardato perché in buona fede siamo rimasti con quell’accordo… mi sono accorto
successivamente che era stata aggiunta una cífra..perchè me lo hanno riconsegnato in una busta…
mi hanno portato la roba a casa.. hanno preteso il triplo della cifra…” (pag. 69 verbale del
23/5/12). Sostanzialmente nello stesso senso le dichiarazioni del PALMIERI (v. pag. 151 e ss
verbale del 23/5/12), del DE GIRONIMO pag. 106 e ss verbale del 215/12), del
LOCURATOLO (v. pag. li e ss verbale del 13/6/12). Si evidenzia altresì che il prezzo complessivo di
euro 6480 euro risultava scritto in piccolo in alto, mentre più evidente,in caratteri più grandi,
era il prezzo della singola composizione di euro 2160n (v. a titolo esemplificativo la commissione
sottoscritta dalla GOIA. Le modalità di realizzazione della frode, come cori-testata nel capo di
imputazione, sono state confermate anche da CAFAGNO Nicola, AMORUSO Arcangelo, CARBONARA
Giuseppe, KAMATA (a pag. 58 verbale 9/4/10), MANZONNA (a pag. 63 verbale del 9/4/10), DE
GIORGI a pag. 22 e ss. verbale del 2/3/10). E’ stato precisato da numerosi dichiaranti che le
modalità operative erano state indicate dal BOTTIN (v. in tal senso AMOR USO a pag. 51 verbale
del 9/4/2010, CAFAGNO a pag. 43 verbale del 9/4/10; CARBONARA a pag.54 e 56 verbale del 9 4/10,

verbale del 9/4/10; 13AROU_O a pag. 109 e ss verbale del 4/4/12; BORELLO a pag. 124 verbale del 4/4/12;

MANZONNA a pag. 65 verbale del 9/4/10; DE GIORGI a pag. 23 e ss verbale del 9/3/10;KOLICI a
pag. 65 e ss verbale del 20/4/12). Il BOTTIN inoltre era sempre presente durante le vendite in sala
(DE GIORGI a pag. 28 verbale del 2/3/10). Ne consegue che , quale che fosse il grado di autonomia di
BOTTIN rispetto a TINIVELLA, l’imputato operava comunque con un ruolo dirigenziale
all’interno del proprio gruppo e orientava le modalità operative da adottare nel contatto con la clientela.
Non è esatto quanto affermato dalla difesa ovvero che i sottogruppi operanti erano autonomi e
svincolati dalle direttive del BOMN. Come riferito dal teste DE GIORGI (udienza del
2/3/2010), il gruppo di Padova e il gruppo che veniva dalla PUGLIA lavoravano insieme e, in
pratica, si trattava di un unico gruppo (v. pag. 12 verbale). La VERONESE ha dichiarato che il gruppo di
CAFAGNO e di BOTTIN seguivano lo stesso metodo (v. pag. 94 e ss verbale del 4/4/12). Anche le modalità di

possibilità di un pagamento rateale da 12 fino a 60 rate mensili, con una rata comoda che il cliente
avrebbe deciso a casa al momento di consegna della merce (v. CAFAGNO Carmine a pag. 38 verbale
del 9/4/10). Una volta realizzati tali artifici e ottenuta la conclusione del contratto e la firma del
cliente, la consegna della merce da parte del gruppo BOTTIN avveniva quando il diritto di
recesso era ormai scaduto. In tale fase, secondo quanto previsto dai contratti, in caso di rifiuto
della merce, era previsto il pagamento di una penale (la clausola n. 7 prevedeva , in caso di
recesso oltre í termini, il pagamento di una penale pari al 33% del prezzo di vendita, oltre alle
spese necessarie per la chiusura della pratica e lo storno dell’eventuale finanziamento, clausola
sottoscritta ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c.) e, se i clienti manifestavano resistenze, venivano
minacciati di pesanti conseguenze legali e anche pesantemente insultati. Anche in questa fase si
palesava il ruolo svolto dal BOTTIN.
Si richiama sul punto la testimonianza del BAROLLO, con riferimento al comportamento tenuto
in tali occasioni dal BOTTIN. Secondo il teste, quando il cliente protestava, il BOTTIN dapprima
spiegava con calma che aveva capito male e che il prezzo da pagare era di 6480 euro e non di
2160 euro; quindi cominciava ad alterarsi e pronunciare frasi più pesanti: “…se voi non sapete
leggere non è colpa mia, se rifiutate la merce, siccome è scaduto il diritto di recesso, dovete pagare
la penale…. vi faremo causa e dovete pagare le spese legali.., brutto terrone, sei un analfabeta,
imparate a leggere i contratti, pezzente, morto di fame, cafone…” (v. pagg.111-112 verbale 4/4/12;
sostanzialmente nello stesso senso VERONESE a pag. 93 stesso verbale e KOLICI a pag. 71 verbale
del 20/4/12). Le considerazioni che precedono dimostrano il pieno coinvolgimento del BOTTIN
nelle condotte illecite e l’infondatezza degli argomenti difensivi di estraneità dell’imputato
rispetto ai reati fine realizzati dai componenti del suo gruppo (v. par. 7, 8 atto di appello)».

Le modalità operative degli altri due gruppi.

pagamento non venivano illustrate in modo esatto, chiaro e completo e si assicurava verbalmente la

«Per quanto riguarda la vendita delle enciclopedie multimediali, il primo inganno
riguardava il valore del bene venduto e la convenienza dell’offerta complessiva, integrata da ulteriori
“omaggi”, di cui i clienti venivano convinti con le modalità di seguito descritte. La prima forma di inganno
riguardava il valore dell’enciclopedia. Il prezzo di vendita dell’enciclopedia era fissato in euro 6390.
I venditori rappresentavano però che il valore dell’enciclopedia era ben superiore, ovvero pari a
7390 euro e che solo nel giorno del contratto veniva praticata una speciale promozione, resa
possibile della sponsorizzazione offerta da varie ditte che , come si dirà, consentivano di
regalare ulteriori omaggi che integravano l’offerta di vendita. In realtà erano i clienti che
pagavano gli omaggi. Per convincere i clienti che il valore dell’enciclopedia era superiore al prezzo
praticato, i venditori dovevano mostrare alcune pagine della rivista CHIF con pubblicità ARCA che
offriva la vendita dell’enciclopedia al prezzo di 7390 euro (su tali modalità operative, si
richiamano le dichiarazioni della teste D’ASOLA, pag. 28 verbale del 13/6/12; della teste
…………………
SPOGLIANTI a pag. 35 stesso verbale; del teste RAGAIOLO a pag.70 verbale del 2/5/12; della

teste DE AMICIS a pag. 19 verbale del 23/5/12; del TARLETTI a pag. 91 verbale del 23/5/12; si
richiamano altresì le dichiarazioni rese dal DEI ROSSI a pag.29 verbale del 9/4/2010, dove
viene precisato che ai clienti veniva prospettato un primo sconto di 1000 rispetto al prezzo
pubblicizzato dal giornale). In realtà, tale pubblicità era stata commissionata alla rivista dalla
stessa società MASTER srl, come comprovato dai documenti dimessi dal P.M. (v. nota 28 pagina
11 della sentenza di primo grado) Significativa la circostanza che tale modalità operativa,
pur svincolata da rapporti diretti con la clientela, era stata sanzionata come una forma di pubblicità
ingannevole nei confronti della società BLUE LINE (che era una delle società alle quali erano
subentrate le società oggetto di indagini penali nel presente procedimento) (v. DIDOMENICA a pag. 35 verbale del
4/4/12). li costo delle enciclopedie multimediali per le ditte MASTER srl e MASTER LINE srl era di molto inferiore,

del BUSO in ordine al costo della banca dati a pag. 19 e 20 verbale del 27/6/12. In pratica i clienti venivano
convinti, con documentazione di supporto, che il valore dell’enciclopedia era ben superiore al prezzo di vendita, la
cui convenienza veniva aumentata attraverso gli “omaggi” offerti; in realtà esisteva un’enorme sproporzione tra il
valore dell’enciclopedia e il prezzo di vendita.
La seconda forma di inganno riguardava i c.d. omaggi (i prodotti sponsor). Infatti, anche quelli che
venivano presentati come omaggi ulteriori, offerti per convincere il cliente a sottoscrivere il contratto,
venivano pagati dall’acquirente, considerata l’enorme sproporzione tra il costo minimo dell’enciclopedia e il
prezzo praticato; tale conclusione si fonda non solo su considerazioni di carattere sostanziale, ma anche formale,
atteso che, come riferito dal teste DIDOMENICA e come si evince dalla lettura di alcuni documenti fiscali, tali
omaggi venivano inseriti nella fattura successivamente emessa, nella quale figuravano con un proprio prezzo di
vendita (v. pag. 36 verbale del 4/4/12). Si veda a titolo esemplificativo la fattura emessa nei confronti
della DE AMICIS con annotazione del prezzo dei vari “omaggi”. In pratica i clienti non si rendevano conto che anche
í “regali” loro offerti, venivano da loro stessi pagati. Gli omaggi venivano personalizzati in base alle caratteristiche
del cliente (che veniva studiato per comprendere quali omaggi potevano allettarlo maggiormente al fine di
convincerlo a sottoscrivere il contratto), ma non erano uguali per tutti, anche per numero e valore;
l’abilità del direttore di sala consisteva nel convincere il cliente a sottoscrivere il contratto con il minor numero di
orna ggi, per amplificare i margini di profitto per la società venditrice; di conseguenza ciascun cliente poteva
ricevere un maggiore o minor numero di omaggi (comunque indicati in fattura e pagati), pur impegnandosi a
versare tutti lo stesso prezzo (6390 euro), in teoria per l’acquisto della sola enciclopedia. QUARANTA Natalizia,
sentita ai sensi dell’art. 197 bis c.p.p., ha spiegato che il BUSO aveva invitato i direttori di sala a dire ai clienti che
gli omaggi erano offerti da ditte che volevano farsi pubblicità con questo sistema e non di merce compresa nel
prezzo, che i clienti, come detto, in realtà, pagavano (v. pag. 13 verbale del 20/4/12).
La merce consegnata, ivi compresa l’enciclopedia, era spesso di cattiva qualità (v. ad es. la testimonianza
d’ASOLA a pag. 32 verbale del 13/6/12) e non corrispondente ai marchi pubblicizzati in sala ; nello stesso
senso si sono espressi molti degli acquirenti. Ulteriore forma di inganno, determinante per il consenso del
cliente, era la garanzia verbale di modalità di pagamento particolarmente comode e vantaggiose, che venivano
assicurate anche attraverso annotazioni apposte sulla nota d’ordine con espressioni alquanto equivoche,
nella piena consapevolezza che tali modalità non sarebbero poi state rispettate. Si vedano a titolo
esemplificativo le annotazioni, assai confuse, apposte sulla commissione sottoscritta dal MESCHIARI; si
vedano le annotazioni in altri contratti di rate “min.” di 50 curo, laddove i clienti venivano verbalmente
rassicurati sul fatto che la rata non avrebbe superato l’importo di 50 euro. Si veda la commissione del QUARANTA,
in cui vengono garantite, in forma scritta, rate di 100 curo ogni due mesi; la copia commissione del DISANO, in cui
viene garantito il pagamento con rate da 25 euro mensili. Spesso veniva garantito l’inizio del pagamento rateale a
distanza di mesi (ad es. prima rata da gennaio 2008), condizione anche questa formulata per invogliare il cliente
alla firma e poi non rispettata. Infatti, gli accordi definitivi sulle modalità di pagamento erano presi non al momentoa4
della sottoscrizione dell’ordine nell’ambito del party, ma successivamente, al momento della consegna del prodotto
da parte di persone diverse da quelle che avevano concluso il contratto, che avevano il compito di spiegare •

441

oscillando tra 150 euro a 290 euro. Si richiama sul punto quanto evidenziato dal primo giudice nella nota 30 a
pag.11 e ss della sentenza di primo grado; la testimonianza del DIDOMENICA a pag. 36 del 4/4/12; le ammissioni

clienti che le modalità garantite non erano praticabili.
In sintesi, durante il party, venivano prospettati ai clienti pagamenti rateali mensili vantaggiosi, di importo
esiguo e senza interessi, modificando poi tali modalità, al momento della consegna della merce, secondo un
meccanismo programmato e ben collaudato che prevedeva invece il rilascio di assegni post-datati, di cambiali, di
prestiti concessi da società finanziarie con pagamento di interessi rilevanti. Si richiamano sul punto, in primo luogo,
le dichiarazioni rese da parte di alcune delle persone che partecipavano alla vendita dei prodotti: da QUARANTA
Natalizia (v. pag. 13 verbale del 20/4/12) , da COMACCHIO Federico (v. pag. 28 e ss verbale del 20/4/12;
v. pure pag. 31 e ss), da LEI VA Antonio (v. pag. 55 verbale del 20/4/12; v. pure nota 29 a pag. 11 della

sentenza impugnata (…).

Rinviando alle pagine citate, ci si limita a riportare a titolo esemplificativo le dichiarazioni del
COMACCHIO: “…allora in sala era una cosa e in consegna un’altra… in sala per incentivare la
vendita si diceva: paga a 50 euro stop e chiuso, però non veniva mai parlato in sala di interessi e
spese… in sala raramente veniva spiegato che ..da 6900 se fa il finanziamento ci sono 3000 euro di
interessi, che poi era una finanziaria che aveva _interessi molto elevati… (non spiegavamo
queste cose)perché se no il cliente non aderiva_anche perché dopo con le cambiali la gente si spaventa.., era
impossibile fargli pagare 50 euro perché il nostro titolare (BUSO) non ce lo permetteva., era una modalità (la
rata di 50 curo) per invogliare il cliente a firmare il contratto ….”. Significative anche le dichiarazioni rilasciate
da ALLEGRO Luca (v. verbale di sit del 13/9/07): “..la decisione di lasciare l’azienda scaturisce da una mia scelta
personale, dettata dal fatto che dopo un mese di lavoro con il gruppo di BUSO, mi sono reso conto che lo stesso
agiva in relazione alle modalità di vendita, in maniera palesemente illegale… il sistema di vendita nel gruppo
al quale ero approdato era di gran lunga più truffaldino di altri metodi che avevo appreso nei 10 anni trascorsi
in vari gruppi e aziende del settore.. consisteva nel far credere ai futuri clienti che i 6390 euro erano senza
interessi; quando invece non era vero. Le famiglie, convocate nei vari hotel, venivano fatte accomodare nelle sale
meeting… con un grande palco dove venivano esposti tv, lcd, impianti stereo, etc… che venivano spacciati come
sponsor della manifestazione, cosa assolutamente falsa….1 direttori di sala cercavano di convincere i clienti.. .per
esempio la scritta che veniva apposta sul contratto e che diceva senza interessi, oppure la falsa possibilità,
che veniva anch’essa scritta, di poter rimborsare in 10 anni… tutto perfettamente organizzato.., le famiglie che
firmavano il contratto tornavano a casa convinte di aver fatto un affare, di poter pagare con bollettini postali in
bianco ….apponendo la cifra che potevano corrispondere.. .senza interessi e senza l’ausilio di finanziarie. Tutto
questo gli veniva detto in sala e gli veniva in parte scritto ….ecco perché la mia permanenza è stata breve
clienti si trovavano di fronte ad un esborso economico del 50% in più rispetto al prezzo indicato nel
contratto …per concludere voglio aggiungere che questo tipo di vendita è studiato appositamente per mettere
sotto pressione le famiglie.., con l’unico scopo di convincerle a firmare contratti capestro per migliaia di euro per
l’acquisto di merce di scarso valore…”.

Tale ricostruzione trova riscontro nelle dichiarazioni dei clienti.
Si rinvia, più in generale, a quanto evidenziato dal Tribunale a pag. 14 della sentenza di primo grado, nella
quale sono riportati; a riscontro di quanto esposto, i nominativi dei clienti che lamentavano le diverse modalità di
pagamento prospettate al momento della consegna rispetto a quanto promesso al momento della conclusione del
contratto. Come sottolineato dal Tribunale, hanno riferito che le rate erano totalmente diverse per
le modalità di pagamento ( cambiali o piani di finanziamento con società finanziarie ) o per i
diversi ratei degli interessi che finivano per incrementare notevolmente 1′ esborso rispetto
alle condizioni prospettate al momento della sottoscrizione della proposta di acquisto DE AMICIS
Laura , RAGAIOLO Marco , BERGAMASCO Rita , GALANTIN Sabrina , MARSZALEK
Czeslaw,
, CENNIVIVA MatiO , PEZZINI Marco, CHINCARINIGiorgio,AQYAKUMAmoako,

45

PACCHEM Mauro, DI SANO Giuseppe, TARLE77I Nicola, SCAIA Duilio, ZAMPOLLI Devis, NEGRI Giuseppe,
MERCURIO Maria, BORRELLI Pancrazio, MESCHIARI Athos SALVATO Rosolino, BAI/ANI Luciano,
QUARANTA Ciro, DASOLA Piera , SPOGLIANTI Emanuela. Si richiamano, a titolo meramente
esemplificativo le dichiarazioni rese dal RAGAIOLO che ha riferito che gli era stato garantito un
finanziamento a tasso zero con comode rate mensili ed inizio dei pagamenti a partire da
gennaio 2008; dalla teste D’ASOLA, che a fronte di una garanzia verbale di pagamento di un
importo mensile modesto di 100 euro, senza interessi, si è ritrovata a sottoscrivere cambiali;
dal teste PACCHETTI al quale era stato promesso un pagamento a 25 euro mensili a tasso zero;
(…). Particolarmente significativa la dichiarazione di TARLETTI: ” (ho detto) ho il mutuo della
casa da pagare, non posso dare più di tanto, di 100 euro bimestrali al mese, infatti sul

pagare.

Poi quando sono venuti a casa e mi hanno detto che non era così la cosa… mi è venuta a costare 9840 euro … e
io gli ho detto: non voglio farlo…se tu non lo fai devi pagare la penale di 2800 euro…” (v. pagg. 92-93 verbale). In
pratica, i clienti si convincevano a sottoscrivere il contratto anche in virtù delle assicurazioni verbali ricevute in
ordine a modalità di pagamento particolarmente vantaggiose, personalizzate e senza maggiorazione di
interessi. Si trattava di una menzogna di cui i direttori di sala erano perfettamente consapevoli. Se fin dall’inizio
fosse stata spiegata la realtà delle modalità di pagamento, tali contratti non sarebbero mai stati conclusi, tanto
più in quanto gli acquirenti erano spesso famiglie di condizione economica modesta per le quali il pagamento
degli interessi e delle rate rideterminate era particolarmente oneroso. Si trattava spesso di operai che avevano
stipendi mensili di un migliaio di euro (es. RAGAIOLO), in altri casi anche inferiori (ad es. nel caso di
BERGAMASCO, 500 euro). Nel momento della consegna della merce, quando venivano illustrate le vere modalità di
pagamento, l’eventuale opposizione della vittima veniva vinta con argomenti pretestuosi, che però
convincevano soggetti privi della necessaria preparazione giuridica. Ad es. il TESTA VERDE ha dichiarato che
era sua intenzione recedere; nel momento in cui aveva telefonato alla società, gli era stato risposto che le
persone addette alla consegna erano già partite ; quando aveva rifiutato la consegna, gli era stato detto che
sarebbe scattata a suo carico una penale di 2800 euro; a questo punto, la p.o., non sapendo cosa fare,aveva
sottoscritto il contratto di finanziamento (v. pag 50 verbale del 23/5/12); sostanzialmente nello stesso senso le
dichiarazioni del MERCURIO, al quale era stata prospettata una penale da 2500 euro (v. pag. 116 verbale del
23/5/12). Il DISANO ha dichiarato che quando era stata consegnata la merce, gli era stato spiegato che non erano
possibili finanziamenti così lunghi; a questo punto aveva rifiutato la merce, ma gli era stato risposto che non
era possibile perché era stato sottoscritto un contratto, di fatto negando l’esercizio del recesso; di qui la “scelta” di
sottoscrivere una diversa forma di finanziamento.

Gli ulteriori accorgimenti utilizzati nella fase di sottoscrizione dei contratti vanno valutati con riferimento alle
modalità operative descritte. I direttori di sala non avevano cartellini identificativi e spesso spendevano falsi nomi, al
fine evidente di non essere identificati, ciò che si spiega solo nell’ottica della piena consapevolezza di versare in
una situazione illecita. Ad es. il BOTT1N si qualificava con il falso nome di dottor MIOTTI (v. KOLICI a pag.
84 verbale del 20/4/12). Secondo la VERONESE, le persone che operavano spesso utilizzavano altri nomi (v.
VERONESE a pag. 96 e ss verbale cit.). La musica ad alto volume non rileva in sé ma in quanto serviva a
distogliere o ridurre l’attenzione del cliente, creando confusione, per evitare che attraverso una lettura più attenta
delle condizioni contrattuali o delle scritte apposte sui moduli potessero essere scoperti gli inganni perpetrati in
danno delle pp.00. Si voleva evitare anche che ciascun cliente potesse sentire quanto veniva detto agli altri
tavoli. Si richiama altresì la motivazione della sentenza di primo grado (pag. 14-17).
Le pressioni esercitate congiuntamente anche da parte di più direttori di sala servivano a vincere le resistenze
dei clienti. Esistevano forme di suggestione, come ad esempio quella di annunciare ad alta voce la sottoscrizione di
mi nuovo ordine di acquisto con invito ad applaudire(v. nota 31, pag. 12 sentenza di primo grado). Allo stesso
modo si evitavano í contatti trai vari clienti, per impedire che potessero parlare tra loro e, se qualcuno rifiutava

contratto che mi hanno fatto in buro c’è scritto con al loro calligrafia, 100 euro bimestrali da

la proposta, veniva fatto uscire dalla porta di servizio per evitare che potesse influire sulle determinazioni di altri
potenziali acquirenti (v. DEI ROSSI a pag. 32 verbale del 9/4/10). Anche il KOLICI ha confermato che i contatti tra
clienti dovevano essere evitati per impedire che chi era rimasto scontento di una proposta potesse condizionare
altre persone o per impedire che i clienti scoprissero che gli omaggi non erano uguali per tutti (v. pag. 66 e ss
verbale del 20/4/12). L’esercizio del diritto di recesso veniva ostacolato in vari modi. Si rinvia alla lettura di quanto
evidenziato dal giudice di primo grado nella nota 33 a pag. 12 e 13 della sentenza di primo grado. Di

rilievo anche la lettura del manuale operativo rinvenuto all’interno dei locali della società, che conferma alcuni
aspetti dell’ipotesi accusatoria.
Si riportano titolo esemplificativo alcuni passi di tale manuale: ”

Nel tragitto clienti) non devono

modo da evitare assolutamente che vedono una copia commissione girata e il prezzo, altrimenti la trattativa è
già fumo al vento. Passando per i tavoli, dove c’è un direttore che battaglia per la rata, mettetevi davanti a
coprire…, in modo da coprire lo sguardo da quello che si dice e si vede…. In men che non si dica, hanno già sentito
il direttore sul tavolino che battaglia con la rata degli omaggi, o ancora peggio, che tratta con un loro amico
che é li dà due ore, infastidito perché se ne vuole andare che non lo lasciano finché non acquista…. (E’
necessario dire ai clienti) noi siamo la MASTER, una grande azienda di pubblicità e marketing, e siamo stati
incaricati da tante aziende produttrici di distribuire gratuitamente campioni di giocattoli.., e omaggiarne
uno dei vostri figli, poi quando usciamo ve lo faccio vedere, con lo scopo, grazie ai vostri figli, di farlo conoscere a
coetanei o amici.., con la più vecchia forma di pubblicità, il passa parola…, II secondo motivo (per cui siete qui) lo
vedete, sono tutti quegli elettrodomestici esposti, sono di quelle multinazionali scritte sui cartelloni (indicare con la
n2ano)ACER, DE LONGHI, etc., non sono prodotti in vendita, ma per esposizione, per pubblicità, poi per avere uno
spunto per fare un sondaggio a tutte le famiglie invitate. Queste aziende vogliono sapere quello che vi
manca… Grazie alle vostre risposte, saranno in grado di fare delle promozioni mirate in tutti i negozi che portano i
loro marchi,poi se la zona risulta di particolare interesse, aprire anche dei punti vendita. Per il lavoro che
svolgiamo, queste aziende ci sovvenzionano tutto, dal viaggio all’affitto della sala, e noi della MASTER riusciamo
a costo zero a presentare un nuovo prodotto, che entrerà in commercio fra alcuni mesi, non si tratta di
un computer ma di un programma, un software, che vogliamo.., che i vostri figli Io facciano conoscere a tutti.
Lo scopo è puramente pubblicitario, ve lo facciamo conoscere, e poi con una promozione, se vi piace… entrare
a casa vostra. E’ essenziale che non si sentano obbligati ora ad acquistare nulla, non sono stati invitati con la
scusa del ritiro dell’omaggio… Solo per fare un sondaggio e solo se vorranno.., acquistare il nostro prodotto…. Ora
vogliamo sapere quali sono gli elettrodomestici che non avete o dovete cambiare per fare delle promozioni nei
negozi… Scrivete non meno di cinque o sei elettrodomestici che poi saranno i regali da offrire al cliente. Siate
accorti a capire quelli che il cliente desidera di più e numerateli con un indice di gradimento, cosicché 11 direttore
poi saprà come inserirli al fine di chiudere il contratto… Ora vi faccio conoscere il nostro nuovo prodotto..
Questa è la VIDEO MASTER, un’opera multimediale per il pc composta da una valigetta contenente 30 CD-ROM…
Non é un’enciclopedia, ma una vera e propria biblioteca interattiva… Quest’opera per ora si trova solo a livello
pubblicitario su una rivista, eccola qui, ha una tiratura limitata di 100.000 copie e sí trova in ogni edicola di Italia e
tratta tutto ciò che informatica, un listino vero e proprio multimedíale. Ecco la nostra pubblicità, costa… 7390
euro ma oggi è in promozione…. La proponiamo a e 1000 di meno …. Sarà il nostro direttore commerciale a
fargliela valutare… Signor direttore, ai signori è piaciuta molto l’opera… Ma attualmente sono ancora impegnati,
vediamo di trovare una soluzione affinché anche loro possono portarla a casa per i loro figli”. Da questo momento
l’intervento del direttore o dei direttori di sala che operavano con le modalità descritte».

‘2A.

avere il tempo di sbirciare nei tavoli. Essenziale che impegniate costantemente la loro attenzione su di voi, in

6.2. Le truffe.
A parere della Corte di appello,

«non sembra vi siano particolari problemi nella configurazione della truffa in relazione all’attività svolta
dal gruppo BOTTIN. Il sistema della penna magica e comunque gli artifici posti in essere per non far
comprendere alle pp.00. il prezzo del prodotto (riferito non alla singola composizione ma ad un acquisto di tre
serie di articoli, per cui il prezzo convenuto andava in realtà triplicato), unitamente alle false assicurazioni

l’intento fraudolento perseguito fin dall’inizio in danno dei clienti; si sono realizzate vere e proprie frodi per
trarre in inganno i clienti, convincendoli che il prezzo di vendita della merce era diverso da quello effettivo.
Del resto, addirittura negli atti di appello di alcuni coimputati, vengono prese le distanze dai metodi praticati
dal gruppo BOTTIN (v. ad es. pag. 8 e ss e pag 12 e ss atto di appello di BUSO; TINIVELLA e ZARANTONELLO;
v. anche gli appelli proposti da BISATO etc). Ma anche nelle modalità operative degli altri gruppi è possibile
ravvisare gli estremi della frode. (…) Nel caso in esame, le pp.00. hanno concluso il contratto perché ingannate,

nel modo descritto, in. primo luogo in ordine al reale valore del bene venduto e alla ricezione di “regali” che
tali non erano. In ogni caso, anche a voler adottare criteri più “oggettivi” rispetto a quelli emergenti dalla
giurisprudenza citata in tema di truffa contrattuale, è stato provato che, a fronte della condotta fraudolenta
posta in essere nel corso delle trattative finalizzata ad indurre il compratore all’acquisto, la prestazione
raggiunge livelli addirittura imbarazzanti. (…). Nel caso in esame è stata illustrata la frode concretizzatasi
nell’inganno ordito ai danni degli acquirenti, convinti non solo della convenienza dell’affare, ma soprattutto della
possibilità di pagare con rate comode, senza interessi e senza sottoscrivere cambiali, laddove si sono invece trovati
a pagare somme ben più elevate, maggiorate di interessi non modesti con impegni pluriennali gravosi. Se fin
dall’inizio fosse stata spiegata la realtà delle modalità di pagamento, tali contratti non sarebbero mai stati conclusi,
tanto più in quanto si trattava spesso di famiglie di condizione economica modesta per le quali il pagamento
degli interessi e delle rate rideterminate era particolarmente oneroso. (..) Alla luce delle considerazioni che
precedono e della ricostruzione proposta in questa sede, si ritiene che siano infondate le argomentazioni
difensive contenute negli atti di appello tese a dimostrare l’insussistenza nei casi in esame degli estremi della
frode (v. par 3 atto di appello di BUSO; v. par 2 pag. 14 e ss atto di appello proposto dall’avv. MUNARI per conto di
BUS O, TINIVELLA e ZARANTONELLO; v. pag. 4 e ss atto di appello proposto per conto di BATTISTI, BOLIS,
SCARF0′; v. pag. 26 e ss atto di appello di Dl GRANDI e corrispondenti atti di appello di TORMENE e BISATO;
v. pag. 16 e ss atto di appello di GIACOMAZZI). Si ritiene peraltro necessaria una ulteriore puntualizzazione in
relazione all’appello proposto dall’avv. COSTA nell’interesse dei propri assistiti (DIGRANDI, TORMENE, BISATO).
La difesa sostiene infatti nella parte finale del relativo motivo di impugnazione che, pur volendo
ammettere l’esistenza di un’offesa patrimoniale, non vi è prova dell’ingiusto profitto che sarebbe stato conseguito
dal DI GRANDI (o dalla TORMENE o dal BISATO), in quanto in primo luogo non è emerso quale fosse la percentuale
percepita dall’imputato a seguito della conclusione del singolo contratto e, in secondo luogo, la somma percepita
non poteva qualificarsi come ingiusto profitto-, dal momento che si tratterebbe del corrispettivo della prestazione
lavorativa fornita. L’argomentazione non è condivisibile. Nel caso in esame, si è in presenza di un reato realizzato
in concorso da più persone; trattandosi di un unico reato realizzato da diversi soggetti, la sussistenza dell’ingiusto

4

profitto va rapportata all’intera condotta criminosa; l’ingiustizia del profitto va valutata non in relazione all’utilità

percepita dal singolo ma a quella conseguita dall’intero gruppo dei concorrenti nel reato, per effetto della

realizzazione congiunta del reato; in altri termini, il singolo potrebbe anche non aver ricavato alcuna personale

utilità e tuttavia il reato potrebbe sussistere ugualmente, in quanto la sua configurabilítà va rapportata alla

.a.

“condotta collettiva”. Dal punto di vista del singolo, ciò che conta è la volontà di realizzare un fatto reato, la
consapevolezza delle condotte degli altri concorrenti e la coscienza e volontà di contribuire con la propria

condotta alla realizzazione plurisoggettiva del fatto reato, senza che sia possibile isolare la condotta el

Z21

sulle modalità di pagamento, con le pressioni svolte per ostacolare l’esercizio del diritto di recesso, rivelano

singolo da quella del gruppo; si aggiunga che la norma di cui all’art. 640 c.p. punisce chi con artifizi e raggiri
consegue, per sé o altri, un ingiusto profitto con altari danno; d’altra parte, il fatto di essere stato assunto come
dipendente e di aver diritto ad una retribuzione per la prestazione lavorativa, non può certo scriminare la
commissione di truffe in danno di terzi, nell’ambito dell’attività lavorativa».

6.3. L’associazione per delinquere.

Secondo la Corte di appello,
«va rilevato preliminarmente che la realizzazione delle vendite con le modalità descritte non rappresentava un

generalizzato e che rappresentava l’esecuzione di una vera e propria politica aziendale. Come evidenziato dal
giudice di primo grado, si trattava di una politica collaudata che aveva dei precedenti già nell’operato delle società
che avevano iniziato l’attività poi proseguita dalla MASTER e dalla MASTER UNE srl, nelle quali erano coinvolti
direttamente o indirettamente gli stessi soci Si intende qui fpr riferimento alle società ALBAMED srl e BLUE UNE
srl. Si tratta di società che già erano state oggetto di controlli da parte della G.di F (v. 11 controllo In data 1/10/2001
a Cortina d’Ampezzo) o di segnalazioni di reato o denunzie (v. le dichiarazioni del capitano DIDOMENICA). Si
richiama su tali circostanze quanto riportato nella sentenza di primo grado a pagg. 16-17. A seguito
dell’avvio delle indagini la MASTER LINE srl aveva cambiato la denominazione in OCEAN srl, per
evidenti ragioni di necessità. Da un lato, si rendeva più difficile per i cfienU indirizzare le proprie proteste nei
confronti di società ormai venute meno, dall’altro non si poteva operare con il nome di una società screditata dalla
notizia delle indagini in corso (v. COMACCHIO a pag. 40 e ss verbale del 20/4/12). In pratica tutta la MASTER
LINE si era trasferita nella OCEAN continuando ad operare con i vecchi metodi. Si tratta di circostanze
sintomatiche di mala fede. Sussistono tutti i requisiti del reato di cui all’art. 416 c.p. L’esistenza di una
struttura organizzativa idonea alla realizzazione degli obiettivi criminali avuti di mira non pare possa essere
messa in discussione; essa coincide con l’organizzazione di persone e di beni che costituivano la realtà
aziendale che rappresentava la copertura formale per l’offerta di prodotti al pubblico con le modalità descritte.
L’indeterminatezza del programma criminoso risulta dal numero dei reati commessi; ma soprattutto dal fatto che
solo le indagini della G. di F. hanno posti fine ad un’attività illecita destinata altrimenti a proseguire nel
tempo, secondo un copione collaudato. La permanenza del vincolo associativo, non limitato all’esecuzione delle
singole truffe, risulta dal carattere sistematico dell’attività illecita che, di fatto, coincideva con la stessa
attività sociale. L’attività criminosa si avvaleva di un’organizzazione di persone e di mezzi per la realizzazione del
programma criminoso. Dagli atti istruttori emerge la necessaria collaborazione di più persone con ruoli
diversificati, diretti alla realizzazione dell’attività criminosa nelle sue varie fasi. Esisteva una ripartizione di
compiti sia tra i sodali sia dei partecipi all’assodazione con coloro che, a volte in maniera inconsapevole,
fornivano il loro contributo alla realizzazione dei reati. E’ stata illustrata la ripartizione del personale
operante in tre gruppi, a capo dei quali erano collocati i capo-gruppo, che coincidevano con due dei
soci (BUSO, ZARANTONELLO) e con il BOTTIN, il cui ruolo determinante nella realizzazione dei reati è stato
ampiamente evidenziato nei paragrafi precedenti; è stato descritto anche il compito svolto dal TINIVELLA, sia come
referente del gruppo BOTTIN, sia soprattutto come soggetto che si occupava degli acquisti dei prodotti che dovevano
essere venduti o “regalati” come omaggi agli acquirenti Accanto ai venditori, che non avevano potere
decisionale e responsabilità nella conclusione dei contratti, fondamentale è risultato il molo dei direttori di sala,
che dopo la redazione della scheda informativa da parte dei venditori (i quali avevano
essenzialmente il compito di illustrare i prodotti venduti e di fornire un quadro informativo sul cliente),
subentravano nella fase di sottoscrizione dei contratti, per convincere il cliente con l’offerta di “omaggi” aggiuntivi e
con la promessa di modalità di pagamento particolarmente favorevoli, che non venivano però mai definite,in
quanto esse venivano rinviate alla fase di consegna della merce, nella piena consapevolezza che tali modalità non
erano veritiere, che non erano concretamente realizzabili e che, in tale fase, sarebbero state proposte modalità

fenomeno occasionale, dovuto all’iniziativa dei singoli, ma l’applicazione sistematica di un metodo che era

di pagamento più onerose per l’acquirente. Nell’ambito del gruppo BOTTIN, i direttori di sala avevano
anche il compito di dissimulare il prezzo reale, con le modalità già descritte. I direttori di sala avevano un
ruolo determinante nella fase di sottoscrizione dei contratti ed erano l’indispensabile catena di trasmissione
tra i capo-gruppo e i singoli operatori. Essi erano necessariamente partecipi dell’attività illecita, con
ruoli praticamente intercambiabili, come si desume sia dal fatto che, nella fase di stipula, poteva intervenire uno
qualsiasi dei direttori di sala presenti e anche più direttori di sala per la conclusione del singolo contratto (sul
punto si rinvia anche alla lettura del manuale operativo; v. pure PERFETTO a pag. 35 e ss verbale del 2/5/12),
sia dalle modalità di retribuzione previste (v. pure test PERFETTO a pag. 28 e 31 verbale del 2/5/12): i direttori di
sala di un party ricevevano un compenso commisurato non ai contratti conclusi personalmente ma a tutti i contratti
conclusi nel corso della giornata, indipendentemente dal fatto che avessero concretamente partecipato ad una

verbale del 2/5/12). Tale circostanza costituisce una conferma della intercambiabilità dei ruoli,
dell’equivalenza” dei moli e, in conclusione, della consapevolezza da parte di ciascuno delle modalità
operative poste in essere dagli altri (senza la quale non avrebbe potuto operare tale “fungibilità” nell’esecuzione dei
compiti assegnati a tale figura). Non a caso il maresciallo PERFETTO parla di un “operare collettivo” da parte dei
direttori di sala (v.pag. 8 verbale del 2/5/12). La costante disponibilità ad intervenire secondo le modalità più volte
descritte è idonea ad integrare una forma di concorso morale, indipendentemente dal contributo poi concretamente
fornito nella singola vendita. Fondamentali erano poi i consegnatari della merce che da un lato dovevano convincere i
clienti che le modalità di pagamento non potevano essere quelle promesse, dall’altro dovevano resistere ai tentativi
di recedere dal contratto, prospettando i problemi che ne sarebbero potuti derivare, quali l’intervento di legali, le
spese ulteriori che sarebbero gravate sui clienti, etc. Significativa ai fini della prova di una cera e propria politica
aziendale è l’esistenza del manuale operativo che descrive le modalità operative alle quali attenersi in fase
di vendita. Vero è che molti testimoni affermano che si trattava di un opuscolo redatto per gioco da uno dei
venditori. Ma al di là del fatto che, se così fosse, non si comprende come mai tale opuscolo fosse conservato negli
uffici della società, deve rilevarsi che i testi indicati hanno comunque confermato che esso era “esatto all’80%” e,
soprattutto, che esso, in parte, corrisponde alla narrazione delle pp.00. e delle persone che hanno scelto la strada
della collaborazione».

7. Cristian BISATO deduce (con ricorso redatto personalmente):

1.

violazione dell’art. 416 c.p. quanto all’attribuzione della qualità di partecipe

dell’enucleato sodalizio criminoso, nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione
(lamentando di non aver partecipato al sodalizio enucleato, e comunque che la sua condotta
non sarebbe stata animata dalla necessaria affectio societatis);
2.

contraddittorietà ed illogicità della motivazione quanto all’accertamento della

sussistenza dell’elemento psicologico dei reati di truffa ed associazione per delinquere, in
particolare nella parte in cui si attribuisce ai soggetti appartenenti alla categoria dei cc. dd.
direttori di sala la piena consapevolezza dei reati posti in essere nell’ambito delle attività
della società commerciale per la quale lavoravano, sulla base di criteri asseritamente
contraddittori ed illogici (lamentando che l’imputato, mai riconosciuto neanche in fotografia,
risulterebbe condannato unicamente sulla base del ruolo ricoperto nell’ambito
dell’organigramma societario, senza alcun riferimento a condotte specificamente tenute; che

214

determinata trattativa (v. testimonianza del mar. PERFETTO a pag. 60 verbale del 4/4/12; v. pure pag. 6 e ss

non sarebbe stato accertato l’impiego, da parte dell’imputato, di un falso nome in sala; che i
direttori di sala, e quindi anche l’imputato, non conoscevano il reale valore di mercato della
merce che si assume truffaldinamente venduta, né i termini concreti degli accordi stipulati
con le singole pp.00., in particolare quanto alla presunta <> e
pienamente al corrente della politica aziendale innanzi riepilogata;

– è stata, infine, incensurabilmente ritenuta provata la riconoscibilità, per
effetto di tale partecipazione, dei metodi utilizzati per trarre in inganno i clienti
e cercare di ottenere, con ogni mezzo, la sottoscrizione dei contratti, tenuto anche
conto della qualifica di direttori di sala che i tre imputati rivestivano:
«ci si è già soffermati sul ruolo fondamentale dei direttori di sala che svolgevano un compito
essenziale e di loro esclusiva competenza nella conclusione del contratto, che veniva sottoscritto solo
grazie al loro intervento; erano i direttori di sala , infatti, che concedevano gli “omaggi” e che
assicuravano falsamente comode modalità di pagamento delle rate, come si evince dalla “testimonianze”
già riportate, pur nella consapevolezza che si trattava solo di espedienti per ottenere la firma del
contratto da parte del cliente, in quanto le rate promesse non erano concretamente praticabili. Di
rilievo anche l’intercambiabilità dei ruoli nella conclusione dei contratti e la retribuzione
commisurata non ai contratti sottoscritti da ciascuno, ma al complesso dei contratti condusi nella
giornata, anche con l’eventuale intervento di altri direttori di sala (si rinvia alla lettura del paragrafo
relativo al reato associativo). I direttori di sala erano i fondamentali anelli di trasmissione delle
direttive provenienti dai capo gruppo e dai vertici societari e garantivano l’attuazione della
politica aziendale, svolgendo concretamente compiti che potevano essere riservati solo a
persone di fiducia consapevoli delle modalità di vendita praticate da tutti nel corso del party. Essi
quindi concorrevano alla realizzazione delle truffe, fornendo un contributo morale e materiale alla
consumazione del reato e, considerata la sistematica partecipazione ai party e il livello del loro
intervento, erano anche partecipi dell’associazione, in quanto pienamente inseriti

g,‘

nell’organizzazione aziendale che si serviva di determinati metodi per la conclusione in serie di contratti di
vendita di vari prodotti».

7.2.18.2.19.2. Con tali argomentazioni, che dimostrano inequivocabilmente il pieno e
consapevole inserimento, animato dalla necessaria affectio, dei tre imputati nell’enucleato
sodalizio criminoso e la responsabilità per i reati-fine a ciascuno ascritti, i ricorrenti in
concreto non si confrontano adeguatamente, limitandosi a reiterare le doglianze già
sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la proprie diverse “letture” delle risultanze

modi di rito eventuali travisamenti.
7.3/8.3/9.3. Incensurabili sono anche le argomentazioni con le quali la Corte di appello
ha giustificato le conclusive determinazioni inerenti al trattamento sanzionatorio, con
diniego ai tre imputati – come a tutti i coimputati – delle attenuanti generiche, valorizzando,
per tutti, «la sistematicità dell’azione illecita, la programmazione dei reati che denota
l’intensità del dolo, l’insidiosità della condotta posta in essere dietro l’apparente paravento
della copertura legale, il carattere spregiudicato dell’attività criminosa realizzata con
indifferenza in danno di persone offese spesso sprovvedute, che erano anche soggetti
economicamente deboli, per i quali il pagamento del prezzo di vendita comportava un
sacrificio importante (se rapportato alle retribuzioni percepite), considerato anche il
peso economico degli interessi» (f. 63).

10. Mirko BOTTIN deduce (con ricorso redatto personalmente):
1. contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (lamenta carenza di adeguato
supporto probatorio alla contestazione di appartenenza all’enucleato sodalizio, in posizione
verticistica; contraddittoriamente, la Corte di appello avrebbe ritenuto che l’imputato
«avrebbe goduto di ampia autonomia quanto alle concrete modalità organizzative dei
parties>> nel corso dei quali venivano concretizzate le presunte truffe contrattuali, per poi
successivamente affermare che il ruolo del BOTTIN sarebbe «effettivamente limitato alla
responsabile gestione dei direttori di sala e dei consegnatari che facevano allo stesso
riferimento»; in realtà l’imputato, estraneo alla compagine sociale dell’azienda

de qua,

non godeva di alcun autonomo potere decisionale, non aveva contatti con i cali center e
ricopriva mansioni unicamente di natura organizzativa e di coordinamento delle attività
societarie lecite, risultando quindi estraneo alle attività che si assume fraudolente; difettava,
quindi, la necessaria affectio sociatatis, né risulterebbe adeguatamente dimostrata la stipula
di un pactum sceleris; l’imputato sarebbe, al più, mero partecipe; non sarebbe stato preso
in alcuna considerazione il motivo di appello riguardante il riconoscimento delle circostanze

probatorie acquisite, fondate su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei

attenuanti generiche; i precedenti dell’imputato definiti vari riguardano in realtà un
unico fallimento; nulla si dice quanto al risarcimento effettuato a beneficio della
parte civile costituita che, per tale ragione, ha revocato al costituzione; la pena
andava, quindi, rideterminata in termini più favorevoli, anche quanto agli aumenti
operati – senza adeguata giustificazione – per la continuazione);

2. inosservanza dell’art. 197, lett. A), c.p.p. in relazione alle testimonianze rese

nel medesimo procedimento (BORELLO; VERONESE e BAROLLO), tre “venditori”,
che sarebbe difficile ritenere non a conoscenza del modus operandi della società»
e non essere partecipi dell’enucleato sodalizio criminoso, e comunque concorrenti
nelle truffe; dalle dichiarazioni della sig. VERONESE si desume quanto necessario
perché ella assumesse qualifica di coimputata nei reati in oggetto; ella sarebbe
comunque in parte teste de relato; le stesse dichiarazioni dei tre sarebbero
comunque inattendibili.
10.1. Il ricorso è inammissibile, perché assolutamente privo di specificità in tutte
le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte
in appello e già non accolte: Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile
2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto
2013, CED Cass. n. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente
infondato, poiché la Corte di appello, con argomentazioni esaurienti, logiche e non
contraddittorie, nonchè giuridicamente corrette quanto alla qualificazione giuridica
dei fatti accertati (che riprendono quelle, condivise, del primo giudice, come è
fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità), e,
pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha valorizzato, ai fini delle
contestate affermazioni di responsabilità (primo motivo) in ordine ai reati ritenuti,
oltre agli elementi in premessa riepilogati quanto alle generali modalità operative
con le quali venivano perpetrate le accertate attività truffaldine nell’ambito
dell’enucleato sodalizio (f. 56 ss. della sentenza impugnata):
– l’accertata circostanza che l’imputato,

<>.

Queste dichiarazioni confermano il ruolo verticistico riconosciuto al
BOTTIN nell’ambito dell’enucleato sodalizio (in ordine al quale risulta
chiarificante ed assorbente quanto dichiarato da NICOLA CAFAGNO, il
quale ha escluso che persone diverse dal BOTTIN avessero una posizione
di preminenza nel dirigere le operazioni durante ì parties), e la sua piena
compartecipazione nelle frodi poste in essere nell’ambito del suo gruppo ai
danni delle pp.00. enumerate nel corpo delle imputazioni, confermata
dal fatto che egli era spesso presente agli incontri

de quibus

e

partecipava attivamente alle operazioni truffaldine poste in essere.
10.2. Quanto all’attendibilità delle dichiarazioni valorizzate, la Corte di
appello, con rilievi incensurabili in questa sede, ha osservato che

«pur

trattandosi di dichiarazioni rese da coimputati in sede di incidente
probatorio, la convergenza delle accuse, provenienti da più correi, appare di per sé
idonea a comprovare la responsabilità del BOTTIN. L’interesse alla
definizione del processo con il patteggiamento non comporta di per
sé l’inattendibilità delle accuse che provengono da più soggetti, che non
risulta fossero animati da motivi di risentimento nei confronti del BOTTIN,
tanto da coinvolgerlo in false accuse. In ogni caso, nessuno avrebbe
impedito ai dichiaranti di accedere al patteggiamento, anche se essi si

X /3

fossero limitati ad ammettere le proprie responsabilità senza chiamare in
causa terze persone e, in particolare, il BOTTIN. Non vi è stato alcuno
“scambio” tra il atteggiamento della pena e le accuse al BOTTIN. Ne consegue che
la questione dell’utilizzabilità delle dichiarazioni rese da alcuni testimoni a
carico dell’odierno appellante sono poco significative. Si tratta delle
dichiarazioni rese dai venditori VERONESE , BORELLA e BAROLLO che la
difesa vorrebbe inquisiti al pari del BOTTIN. Secondo il difensore l’esame dei

La Corte di appello ha, inoltre, osservato che
«in linea generale, come già più volte sottolineato, non è esatto l’argomento difensivo
che vorrebbe parificare la posizione dei venditori a quella dei direttori di sala. E’ già stato
posto in evidenza che i venditori non avevano responsabilità nella conclusione dei contratti,
che apparteneva al potere decisionale dei direttori di sala. Solo nei casi in cui è emerso un
ruolo più significativo di specifici venditori, è stata adottata una diversa impostazione processuale.
La VERONESE ha ribadito che si limitava a presentare il prodotto e che la conclusione del contratto era opera
dei venditori di sala (v. pag. 88 verbale del 4/4/12). La teste ha anche dichiarato che non appena si era resa
conto dell’adozione di un sistema truffaldino aveva interrotto la sua collaborazione (v.pag.92). La teste
ha dichiarato altresì che era inizialmente convinta che il prezzo della merce fosse esattamente di 2160 curo (v. pag.
100-101). Solo in una seconda fase, il BOTTIN, nel rispondere ad una sua precisa domanda, aveva ammesso i
trucchi utilizzati in occasione della vendita (v.pag. 97 verbale cit.). In base al contenuto della testimonianza
non vi era quindi nessun motivo per sospendere l’esame.
Anche il BAROLLO ha ribadito i limiti del proprio ruolo di venditore, che era circoscritto alla
presentazione dei prodotti in quanto la trattativa e la conclusione del contratto , l’illustrazione del prezzo era
compito del direttore di sala (v. pag. 107 verbale del 4/4/12, pag. 108 e ss, pag.110, pag. 113 e ss, pag.
117). Il fatto di essere stato presente durante qualche riunione, nel corso della quale altre persone procedevano
alla compilazione del modulo con il sistema della penna magica, non lo rende, di per sé, concorrente nel reato.
Ancor meno pregiudicata la posizione della BORELLO. La teste ha ribadito i limiti del ruolo del venditore e ha
precisato di aver appreso dal BAROLLO (le cui dichiarazioni possono essere riportate in quanto ricevute
prima e al di fuori di un contesto procedimentale) che veniva praticata la tecnica denominata 1 per 3, che
consisteva nel far credere al cliente-di acquistare 3 composizioni al prezeidi una e che il prezzo reale era di
6480 curo, oltre a particolari in ordine all’uso della penna magica lie-lfa compilazione dei moduli
(v.pag.123 e ss.).
Si aggiunga che le dichiarazioni rese da persona raggiunta da indizi di colpevolezza nel corso dell’esame, e non
ancora posta in condizione di esercitare i diritti della difesa, non possono essere utilizzate contro di lei, ma possono
esserlo nei confronti di terzi (v. sez. VI n. 29535 del 2013). Quanto poi all’originaria esistenza di gravi indizi di reità,
essa non può automaticamente farsi derivare dal solo fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo
coinvolti in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a loro
carico, occorrendo invece che tali vicende, per come percepite dall’autorità inquirente, presentino connotazioni tali
da non poter formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente l’esistenza di responsabilità
penali a carico di tutti i soggetti coinvolti o di taluni di essi (cosi Cass., Sez. I: 27 febbraio 2002, n. 8099,
Pascali; 25 gennaio 2008, n. 4060, Sonuner ed altri).
Per completezza, va rilevato che, in ogni caso, il Tribunale non ha interamente parificato la
posizione del BOTTIN a quella degli altri soci, in quanto il BOTTIN risponde solo delle truffe commesse
all’interno del proprio gruppo, ai danni delle persone offese effettivamente escusse, e non di quelle commesse
dai gruppi BUSO e ZARANTONELLO (v.pag. 32 sentenza di primo grado)».

30

testi avrebbe dovuto essere sospeso in quanto indiziati di reato».

Trattasi di argomentazioni che ineriscono al secondo motivo di ricorso, in relazione al
quale deve, peraltro, rilevarsi che le doglianze difensive risultano doppiamente generiche:
– quanto alle dichiarazioni di BORELLA e BAROLLO, poiché le censure mosse in ricorso
all’indirizzo delle stesse sono, a ben vedere, meramente ipotetiche e congetturali;
– quanto alle dichiarazioni della VERONESE, perché comunque il ricorso non dimostra con
adeguata specificità, dedicando all’argomento proposizioni meramente assertive (cfr. f. 17
ss. del ricorso), la decisività delle stesse ai fini delle conclusive affermazioni di responsabilità

(la c.d. prova di resistenza): in proposito, il collegio condivide e ribadisce l’orientamento
per il quale, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un
elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per
aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della
cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente
diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze
risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. III, n. 3207 del 2.10.2014,
dep. 23.1.2015, C.E.D. Cass. n. 262011).
10.3.

Con tali argomentazioni, che dimostrano inequivocabilmente il pieno e

consapevole inserimento, animato dalla necessaria

affectio, dell’imputato nell’enucleato

sodalizio criminoso, in posizione verticística, e la responsabilità per i reati-fine ascrittigli, il
ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente, limitandosi a reiterare le doglianze
già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la proprie diverse “letture” delle risultanze
probatorie acquisite, fondate su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei
modi di rito eventuali travisamenti.

10.4. Anche in riferimento alla posizione del BOTTIN risultano infine incensurabili le
argomentazioni con le quali la Corte di appello ha giustificato le conclusive determinazioni
inerenti al trattamento sanzionatorio, con diniego all’imputato – come a tutti i coimputati delle attenuanti generiche, valorizzando, per tutti, <>.

Oggetto di specifica ed incensurabile disamina da parte della Corte di appello è stata
anche la comune doglianza difensiva inerente alla presunta omessa disamina di

testimonianze asseritannente a discarico (f. 54 ss.):
<>.

alla stipula del contratto, avvenuta in data 17.11.2006.

E’ stato, pertanto, incensurabilmente posto in risalto da entrambi i giudici di merito che,
«se gli altri impiegati operativi presso gli uffici della società, quali
GIACON e PADOVAN, non avevano, a differenza della GIACOMAZZI, il
compito di raccogliere i proventi, di amministrarli, di gestire i rapporti con
le finanziarie, le banche, di pagare i dipendenti, vi è argomento per dedurre che
ella fosse ben consapevole delle modalità della politica aziendale e che a questa
contribuisse con il suo operato; ugualmente significativo è il forte intervento
della GIACOMAZZI nella fase di consegna quando spingeva i collaboratori

ad evitare il blocco del finanziamento con un grado di partecipazione che
non è tipico di una “semplice impiegata amministrativa”».
L’adesione dell’imputata all’attività criminosa della società in oggetto
emerge, secondo la Corte di appello, anche da altre circostanze:
<> (f. 63).

F

Non corrisponde quindi al vero che la posizione individuale dell’imputata non sia stata
specificamente esaminata dalla Corte di appello; né viene indicato in cosa si sarebbe
concretizzato il comportamento processuale asseritamente positivo; non può, infine,

condividersi – sulla base di quanto osservato dalla Corte di appello – l’affermazione che le
condotte accertate sarebbero “modeste” e “non connotate da un particolare disvalore”;
nessuna contraddizione è rilevabile tra il diniego delle attenuanti generiche e la concessione
della sospensione condizionale della pena operata valorizzando la “mancanza di precedenti”,
poiché, come premesso dalla Corte di appello, le invocate attenuanti sono state negate in
considerazione della (incensurabilmente ritenuta) particolare gravità dei fatti accertati, ed al
fine di ritenere od escludere la configurabilità di circostanze attenuanti generiche, il giudice
può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che
ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, poiché
anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole od all’entità del reato ed alle
modalità di esecuzione di esso può, pertanto, risultare all’uopo sufficiente (così, da ultimo,
Sez. II, sentenza n. 3609 del 18 gennaio – 10 febbraio 2011, CED Cass. n. 249163); quanto
all’ultima doglianza (non si sarebbe tenuto conto dell’intervenuto risarcimento del danno
prima del giudizio), deve rilevarsi che il dato non è documentato e non ve ne era menzione
nell’atto di appello.

14.6. Nell’interesse dell’imputata sono stati depositati in data 3.11.2015 motivi nuovi con
i quali sono state reiterate le richieste di declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati
ascrittile, osservando:
– quanto al reato associativo, che il periodo di sospensione computabile era pari nel
massimo soltanto a 60 giorni, non ai due mesi e dieci giorni computati dalla Corte di
appello;
– quanto alla truffa, che il dies a quo andava individuato nella data di stipula del
contratto, non nella data di incasso dell’ultimo assegno (30.12.2007), tra l’altro
contraddittoriamente valorizzata poiché l’imputata non faceva più parte della ditta e la
sentenza a f. 60 esclude la sua responsabilità per truffe perpetrate in data successiva.

k8

14.6.1. Anche queste doglianze sono inammissibili, in parte perché non consentite, in
parte perché generiche, in parte perché manifestamente infondate.
Non consentite, perché l’imputata non aveva proposto alcun motivo di ricorso contro la
sentenza di appello quanto alla durata della sospensione della prescrizione computata dalla
Corte di appello (determinata espressamente a f. 48 della sentenza impugnata in mesi due
e giorni dieci): ne consegue che l’odierna doglianza introduce inammissibilmente un petitum
del tutto diverso rispetto ai petita oggetto del ricorso tempestivamente depositato, essendo

consolidato l’orientamento di questa Corte, per il quale i «motivi nuovi» vanno
considerati e valutati soltanto se risultano in diretta relazione con le questioni devolute con
l’impugnazione (così da ultimo Sez. I, sentenza n. 34461 del 10.3.2015, C.E.D. Cass. n.
264493).
Generiche, perché la ricorrente non considera la durata dell’impedimento, sulla quale
tace del tutto.
Manifestamente infondate, quanto alla consumazione (e conseguentemente alla
decorrenza del termine di prescrizione) del reato di truffa (c.d. contrattuale, come nella
specie), essendosi la Corte di appello correttamente conformata al consolidato orientamento
di questa Corte, per il quale il delitto di truffa, nella forma cosiddetto contrattuale, si
consuma non al momento in cui il soggetto passivo, per effetto degli artifici o raggiri,
assume l’obbligazione della dazione di un bene economico, ma al momento in cui si realizza
il conseguimento del bene da parte dell’agente con la conseguente perdita dello stesso da
parte della persona offesa (Sez. II, sentenza n. 31044 dell’11.7.2008, C.E.D. Cass. n.
240659); in applicazione del principio, e premesso che nel delitto di truffa contrattuale, il
momento di consumazione non può essere individuato in via preventiva ed astratta essendo
indispensabile muovere dalla peculiarità del singolo accordo, dalla valorizzazione della
specifica volontàcontrattuale, dalle peculiari modalità delle condotte e dei loro tempi, al fine
di individuare quale sia stato in concreto l’effettivo pregiudizio correlato al vantaggio e quale
il momento del loro prodursi, questa Corte (Sez. fer., sentenza n. 31497 del 26.7.2012,
C.E.D. Cass. n. 254043) ha già ritenuto, in particolare, con riguardo a fattispecie
riguardante la stipula di un contratto con rilascio di due cambiali in garanzia con
sottoscrizione falsa, che il momento di consumazione del reato di truffa dovesse essere
individuato non nella data di stipula del contratto, bensì in quella della scadenza delle
cambiali.

15. Non può porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione
eventualmente maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della totale
inammissibilità del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, più volte chiarito che

14.3

l’inammissibilità del ricorso per cassazione «non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non
punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.»

(Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 32 del 22

novembre 2000, CED Cass. n. 217266: nella specie, l’inammissibilità del ricorso era dovuta
alla manifesta infondatezza dei motivi, e la prescrizione del reato era maturata
successivamente alla data della sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un.,
sentenza n. 23428 del 2 marzo 2005, CED Cass. n. 231164, e Sez. un., sentenza n. 19601

16. La declaratoria di inammissibilità totale di tutti i ricorsi comporta, ai sensi dell’art.
616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché apparendo evidente che essi hanno proposto i ricorsi determinando le cause
d’inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto dell’entità
delle rispettive colpe – ciascuno al versamento della somma di Euro mille in favore della
Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi, e condanna i ricorrenti al pa amento delle spese
processuali, e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa delle am ende.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 25 novembre 2015
Il com onente estensore

Il P esidente

del 28 febbraio 2008, CED Cass. n. 239400).

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