Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8941 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8941 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

Data Udienza: 05/11/2015

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
SCARSELLETTI Stefano n. Terracina (Latina) il 20 luglio 1963
BADIU Alexandrina Mirela n. Deja (Romania) il 7 marzo 1976
CHIRILA Rares n. Iasi (Romania) il 2 gennaio 1982
avverso la sentenza emessa il 1° dicembre 2014 dalla Corte di appello di Milano

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Giulio Romano, che ha chiesto
l’annullamento senza rinvio quanto alla posizione di Scarselletti Stefano e il rigetto del ricorso
degli imputati Badiu e Chirila;
sentiti i difensori avv. Pietro Asta, di ufficio per Chirila, e avv. Francesco Verri del foro di
V
Cotone, in sostituzione del difensore di fiducia avv. Vladimir Solano del foro di Palmi per Badiu,
i quali si sono riportati ai motivi di ricorso;
osserva:
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Ritenuto in fatto
1.

Con sentenza in data 10 dicembre 2014 la Corte di appello di Milano ha riformato

parzialmente la sentenza emessa il 30 marzo 2011 dal Tribunale di Milano nei confronti di vari
imputati in ordine al reato di associazione per delinquere e a numerosi reati di truffa finalizzati
all’uso indebito di carte di credito mediante accessi abusivi ai sistemi informatici di

home

banking di correntisti di Poste Italiane e Banca Intesa con la tecnica del cd. phishing, reati
commessi avvalendosi di soggetti reclutati sul territorio italiano e prevalentemente di

acquistare carte prepagate (postepay e intesa flash), utilizzate per commettere i reati fine, allo
scopo di aprire conti correnti da destinare ad attività illecite. La Corte territoriale, oltre a
dichiarare nei confronti di vari imputati l’estinzione per prescrizione dei reati di truffa commessi
nell’anno 2007, in particolare ha dichiarato nei confronti di Chirila Rares l’estinzione per
prescrizione in ordine al reato di truffa ascritto al capo H, rideterminando la pena per il reato
associativo in anni due di reclusione, ed ha confermato la condanna nei confronti di Scarselletti
Stefano in ordine ai reati ascritti ai capi CeDe nei confronti di Badiu Alexandrina in ordine ai
reati ascritti ai capi G ed H (già esclusa in primo grado per il capo H l’aggravante prevista
dall’art.61 n.7 c.p.).

2.

Avverso la predetta sentenza i predetti imputati hanno proposto ricorso per

cassazione, tramite i rispettivi difensori lo Scarselletti e la Badiu e personalmente il Chirila.

3.
1)

Con il ricorso proposto nell’interesse di Scarselletti si deduce:
l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per non essere stati

dichiarati estinti i reati di truffa contestati al capo D, commessi dal gennaio all’aprile 2007, per
prescrizione intervenuta prima della sentenza di appello e, quindi, per la mancata eliminazione
della pena in continuazione di mesi sei di reclusione;
2)

la mancanza o manifesta illogicità della motivazione quanto al ruolo di promotore

attribuito al ricorrente in ordine al reato associativo contestato al capo C per aver reclutato, su
richiesta di Leonda Marian, soggetti come lui residenti in istituti di accoglienza per emarginati,
che senza aderire all’associazione si erano solo prestati all’intestazione delle carte prepagate;
al più il ricorrente sarebbe stato un mero partecipe del sodalizio criminale, immeritevole di una
pena superiore al minimo edittale e del diniego delle circostanze attenuanti generiche anche in
considerazione del fatto che aveva subito confessato ed era gravato solo da due modesti
precedenti penali.

4.
1)

Con il ricorso presentato nell’interesse dell’imputata Badiu si deduce:
la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione all’art.3 comma 1

lett.b) legge n.146 del 2006, per il quale erroneamente era stata applicato un aumento di
pena, mentre è l’art.4 della citata legge a prevedere la circostanza applicata; si deduce

nazionalità rumena come i capi e organizzatori del sodalizio criminale. Costoro si prestavano ad

3
peraltro l’erronea applicazione dell’aggravante nonostante la mancanza di diversità soggettiva
e oggettiva tra gruppo criminale organizzato che opera in più Stati e l’associazione per
delinquere, quindi prescindendo dall’alterità che, ai fini dell’operatività dell’aggravante della
transnazionalità, deve contraddistinguere il gruppo organizzato con proiezione transfrontaliere
cui si dà il contributo sanzionato più gravemente e l’associazione stessa; sul punto si richiama
la sentenza delle Sezioni Unite n.18374 del 31 gennaio 2013 Ric. Adami;
2)

il travisamento del fatto e della prova in relazione all’art.416 cod.pen. e

ordine al reato associativo, si era sostenuto nella sentenza impugnata che l’imputata avesse
collaborato con il Pascu, oltre che con il Braditeanu ( pur essendoci stato un unico contatto tra
la Badiu e il Pascu, quest’ultimo presente all’incontro di Sasso Marconi) e, inoltre, che la stessa
avesse frequentato il Mares nel corso di una vacanza estiva con le rispettive famiglie.

5.
1)

Con il ricorso del Chirila si deduce:
l’inosservanza delle norme processuali in quanto all’udienza del 30 marzo 2011

sarebbe stato impedito al difensore (avv. Gianmarco di Giuseppe del foro di Parma), che
sostituiva il difensore di fiducia (avv. Lorenza Santella del foro di Parma), di replicare alle
richieste del pubblico ministero (alla precedente udienza, fissata per le repliche dei difensori,
l’avv. Di Giuseppe si era dovuto allontanare per un malore dell’avv. Santella, sua convivente in
procinto di partorire, come documentato con certificati medici); il Tribunale aveva ritenuto che
la posizione del Chirila fosse stata discussa all’udienza del 9 giugno 2009, ma ciò era avvenuto
dinanzi ad un diverso collegio; in sede di appello non si era dato peso alla censura difensiva e
non era stata accolta la richiesta dell’imputato, contumace in primo grado, di essere sentito;
2)

la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione essendo

l’affermazione di responsabilità in ordine al reato associativo fondata solo sulle dichiarazioni
rese dal ricorrente il 6 luglio 2007 in sede di indagini preliminari (il relativo verbale era stato
utilizzato ai fini di prova con il consenso delle parti ed era confluito nel fascicolo per il
dibattimento), senza che egli risultasse coinvolto nelle intercettazioni telefoniche o in
transazione di home banking e di phishing; nella sentenza impugnata si parlava del ricorrente
solo ai ff. 177, 178 e 179 in cui, stante l’assonanza del suo cognome Rares con quello del
coimputato Mares, era incerta la riferibilità delle accuse; le dichiarazioni rese il 6 luglio 2007
erano dirette sostanzialmente a chiarire la posizione del cugino coimputato Coman,
ingiustamente sottoposto ad indagini in quanto era stato lui, accettando la proposta del
Braditeanu conosciuto attraverso internet come Dorin, ad aprire alcune carte post pay di cui
due intestate al cugino; su dette carte prepagate non aveva fatto mai alcuna operazione, né
risultava che avesse tratto un ingiusto profitto tranne i 400 euro ricevute da Dorin;

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l’illogicità della motivazione in quanto apoditticamente, per affermare la responsabilità in

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3)

la mancanza dell’elemento soggettivo (dolo specifico) del reato di associazione

per delinquere, in quanto il ricorrente ignorava finalità, metodi e componenti, tranne il
Braditeanu, del sodalizio; le censure difensive erano state sbrigativamente nella sentenza di
appello sottovalutate (ff.191.192);
4)

la mancata valutazione delle dichiarazioni dei coimputati Braditeanu (f.279

sentenza di primo grado) e Pascu (f.162 ss sentenza di appello);
il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti previste dall’art.62 nn.4 e

6 cod.pen. e delle circostanze attenuanti generiche; l’erronea applicazione dell’aggravante della
transnazionalità nonostante la sua condotta si fosse svolta solo in Italia, ove risiedeva; la
mancata riduzione della pena per l’unico residuo reato associativo contestato al capo G e la
mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale.

Considerato in diritto
1.

Il ricorso dell’imputato Scarselletti è fondato solo nella parte riguardante il reato

di truffa ascritto al capo D, che in effetti risulta estinto per prescrizione prima della pronuncia
della sentenza di appello, mentre va dichiarato inammissibile nel resto.

1.1. Il reato di truffa continuata contestato al capo D, è stato commesso, secondo la
contestazione, dal gennaio all’aprile 2007. Il termine massimo di prescrizione era già decorso
nell’ottobre 2014, prima che venisse pronunciata il 10 dicembre 2014 la sentenza di appello.
Non risultano intervenute sospensioni del termine prescrizionale. Di conseguenza va dichiarata
l’improcedibilità dell’azione penale nei confronti del ricorrente in ordine al reato contestato al
capo D -per il quale la responsabilità dell’imputato era stata ampiamente motivata, con
riferimento principalmente al contenuto delle intercettazioni telefoniche, nella sentenza di
primo grado riportata integralmente nella sentenza di appello- perché estinto per prescrizione.
Va quindi eliminata la relativa pena in continuazione di mesi sei di reclusione.

1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La responsabilità del ricorrente in ordine al reato associativo contestato al capo C è
motivata in maniera logicamente coerente nella sentenza di appello, che recepisce sul punto
integralmente la sentenza di primo grado circa il ruolo di promotore dello Scarselletti
nell’ambito dell’associazione contestata al capo C. Il giudice di primo grado aveva individuato il
ruolo in concreto svolto dal ricorrente “che, dopo aver personalmente attivato alcune carte
postepay utilizzate successivamente per scopi illeciti, si è adoperato con successo nel
reclutamento di soggetti italiani che, previo compenso di denaro, attivavano a proprio nome
numerose carte postepay successivamente utilizzate per fini illeciti”.

La Corte territoriale ha

puntualizzato che “Scarselletti aveva il ruolo di reclutare in un determinato periodo di tempo il
numero più elevato possibile di soggetti che si prestassero ad acquistare carte prepagate. La

5)

rapidità era la garanzia di buona riuscita alla luce delle tipologie di controllo attivabili da parte
degli istituti di credito. Scarse//etti era d’altronde perfettamente consapevole anche delle
possibili difese attivabili dalle Poste, dunque della necessità di dover acquisire sempre più
soggetti, strumentali per la realizzazione del piano criminoso”. La Corte rileva che nel di reato
di associazione “capo” è non solo il vertice dell’organizzazione, quando questo esista, ma
anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo
esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati (Cass. sez.II 15 gennaio

un’ampia rassegna delle intercettazioni telefoniche più significative, era stato evidenziato il
rapporto costante, anche quotidiano, con Leonda Marian Dan (capo e organizzatore
dell’associazione criminale) dello Scarselletti, il quale risultava aver incontrato anche
personalmente il Leonda e, per sua ammissione, era preposto allo svolgimento di un ruolo
essenziale nell’organizzazione del sodalizio criminoso quale il reclutamento il maggior numero
di persone disposte a prestare il proprio nome per l’attivazione, dietro compenso, di postepay

“perché vi era la necessità di operare e di ritrasferire”

(f.195 della sentenza impugnata).

Quanto al trattamento sanzionatorio le deduzioni difensive sono del pari infondate, avendo la
Corte territoriale rilevato da un lato la determinazione della pena nei confronti del ricorrente in
misura sostanzialmente coincidente con il minimo edittale per il residuo reato associativo
ascrittogli e l’ostacolo ad ulteriori riduzioni (da intendersi anche in relazione alle eventuali
circostanze attenuanti generiche, che peraltro non risultano essere state richieste
specificamente con l’appello:cfr. f.191) derivante dalla gravità del fatto, dal comportamento
processuale e dalle dimensioni dell’illecito sodalizio.

2.
2.1.

Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputata Badiu è inammissibile.
Il primo motivo, relativo alla sussistenza dell’aggravante della transnazionalità in

relazione al reato associativo contestato al capo G non risulta essere stato oggetto dei motivi
di appello come riepilogati nella motivazione della sentenza impugnata (f.191), da cui si
desume che l’appellante si era limitata a sostenere di non conoscere il carattere transnazionale
dell’associazione (Cass. sez. lI 5 novembre 2013 n.9028, Carrieri). Peraltro le doglianze
risultano del tutto generiche in quanto le censure sono formulate in modo stereotipato, senza
riferimenti alla fattispecie concreta e senza alcun collegamento con i passaggi della
motivazione della sentenza impugnata, risolvendosi in una serie di doglianze prive di contenuto
specifico che non consentono il controllo di legittimità.

2.2.

Il secondo motivo è fondato su una diversa lettura degli elementi di fatto posti a

fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito ed è
inammissibile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione esaustivamente
soddisfatto nella sentenza impugnata con valutazione critica di tutti gli elementi offerti
dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logicogiuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di responsabilità. In particolare nella

2013 n.19917, Bevilacqua e altri). Nella motivazione della sentenza di primo grado, attraverso

motivazione della sentenza impugnata, in cui è compresa integralmente quella più estesa di
primo grado di segno conforme quanto all’affermazione di responsabilità della ricorrente, in
ordine al reato associativo viene sottolineata la partecipazione, consapevole dei fini illeciti da
raggiungere con riferimento alle molteplici iniziative criminali assunte dai capi del sodalizio. I
rapporti con il Bradioteanu e il Pascu dell’imputata erano stati del resto ampiamente illustrati
nella motivazione della sentenza di primo grado in cui si faceva riferimento alle ammissioni
fatte dalla donna, anche se in un’ottica riduttiva, circa l’attività illecita commessa su richiesta

Pascu (promotore) e Mares (altro compartecipe), nonché alle dichiarazioni dello stesso
Braditeanu e del Pascu circa il coinvolgimento della Badiu nel contesto associativo e alla sua
sostanziale adesione al programma criminoso desunto anche dal contenuto delle conversazioni
telefoniche intercettate (ff.164 ss. sentenza impugnata).
3. Il ricorso presentato personalmente dal Chirila è inammissibile.
3.1.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Dal ricorso si evince che l’avv. Gianmarco Di Giuseppe all’udienza del 23 marzo 2011
sostituì l’avv. Lorenza Santella, dello stesso foro, che difendeva il Chirila. Nel corso della stessa
udienza l’avv. Di Giuseppe, essendo stata informato dall’avv. Santella sua convivente (in stato
di avanzata gravidanza) di essere stata colta da malore, chiese a sua volta di essere sostituito
per i motivi familiari indicati a verbale. Secondo il ricorrente alla successiva udienza del 30
marzo 2011 era stato impedito all’avv. Di Giuseppe “di discutere e replicare al PM…con la
giustificazione che già in data 9/6/2009 la posizione del Chirila era stata discussa e difesa” e
che a nulla era valsa l’obiezione difensiva relativa al fatto che la prima discussione era stata
svolta dinanzi ad un collegio diversamente composto. In realtà dalla sentenza di primo grado
risulta che all’udienza del 9 giugno 2010 (e non 2009) tutte le parti avevano concluso ad
esclusione della difesa dell’imputato Cappucci, per cui si disponeva un rinvio all’udienza del 3
novembre 2010. In detta data il collegio era diversamente composto per il trasferimento ad
altri uffici giudiziari di magistrati facenti parte del collegio giudicante, per cui di disponeva
ulteriore rinvio all’udienza del 3 febbraio 2011 senza che la difesa del Cappucci esponesse le
sue conclusioni; all’udienza di rinvio il Tribunale nella nuova composizione

“acquisito il

consenso di tutte le parti alla piena utilizzabilità delle prove assunte avanti al precedente
collegio, previa formale riammissione delle prove, disponeva rinnovarsi la discussione fissando
le udienze del 23.2.11 per la discussione del P. M. e delle difese delle parti civili e del 23.3.11
per la discussione delle difese degli imputati; in questa sede, su richiesta della difesa, veniva
stralciata la posizione dell’imputato Marafíoti per assoluta impossibilità a comparire dello stesso
per accertato legittimo impedimento mentre le altre difese concludevano nei termini di cui in
epigrafe; indi il Collegio, a seguito della richiesta del P.M. di poter replicare, fissava nuova
udienza per l’incombente alla data del 30.3.11; ivi, rinunciate le repliche, il Tribunale decideva
come da separato dispositivo…”. Tale ricostruzione dell’iter procedinnentale -in cui il Tribunale

del Braditeanu (capo e organizzatore dell’associazione) e ai suoi contatti anche con i coimputati

dà atto del rinnovo della discussione, solo parzialmente avvenuta dinanzi al collegio
diversamente composto all’udienza del 9 giugno 2010, e delle conclusioni formulate
nell’interesse del Chirila all’udienza del 23 marzo 2011 (riportate nella parte della sentenza di
primo grado dedicata alle “conclusioni delle parti”) in cui l’avv. Di Giuseppe aveva chiesto di
essere sostituito prima di allontanarsi- non viene contestata specificamente dal ricorrente.
Peraltro all’udienza del 30 marzo 2011 il pubblico ministero, come si legge nella sentenza di
primo grado, aveva rinunciato alla replica per cui non si vede a che cosa l’avv. Di Giuseppe

infondata e peraltro, in tema di ricorso per cassazione, non costituisce causa di annullamento
della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente
infondato (Cass. sez.V 11 dicembre 2012 n.27202, Tannoia e altro; sez.VI 27 novembre 2012
n.47983, D’Alessandro; sez.IV 17 aprile 2009 n.24973, Ignone e altri). Quanto alla mancata
riapertura dell’istruzione dibattimentale per l’esame del ricorrente, secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez.III 7 aprile 2010 n.24294, D.S.B.; sez.VI 21 maggio
2009 n.40496, Messina; sez.VI 18 dicembre 2006 n.5782, Gagliano; sez.V 16 maggio 2000
n.8891, Callegari) il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di
rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di
respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di
elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo. Nel caso di specie la
struttura argomentativa posta a base della pronuncia impugnata evidenzia -in maniera
esauriente, coerente e logica- la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in
senso positivo sulla responsabilità. Non risulta peraltro che l’imputato abbia richiesto di fare
spontanee dichiarazioni nell’ambito del giudizio di appello.
3.2. Il secondo, il terzo e il quarto motivo propongono una diversa lettura delle
risultanze processuali pur in presenza di una motivazione, che ingloba condividendola quella di
primo grado (cfr. sentenza di appello ff.177, 178, 179) in cui si fa riferimento, oltre che alle
ammissioni dell’imputato circa i suoi rapporti con tale Dorin (Braditeanu), a plurime e
concordanti fonti dichiarative (Pascu circa i rapporti non occasionali tra Braditeanu e Chirila
Rares; il cugino Coman Vasile circa la richiesta fattagli dal Chirila, che l’aveva personalmente
accompagnato all’ufficio postale, di prestarsi all’intestazione di due carte postepay; Braditeanu
che aveva ammesso di aver conosciuto Chirila in rete e di avergli chiesto di fare da prestanome
per l’intestazione di altre carte postepay) in ordine al coinvolgimento del Chirila nell’attività
associativa contestata al capo G. Il ricorrente aveva ammesso di aver attivato anche a proprio
nome carte postepay, consegnate al sedicente Dorin e destinate all’associazione criminosa,
come quelle che aveva fatto attivare a nome del cugino Coman Vasile (assolto in primo grado
dal reato associativo per non aver commesso il fatto, nei confronti del Coman all’esito del
giudizio di appello è stata dichiarata l’improcedibilità dell’azione penale in ordine al reato di
truffa contestato al capo H per intervenuta prescrizione). La possibilità che il ricorrente Chirila

avrebbe avuto diritto di replicare. La doglianza del ricorrente è pertanto manifestamente

Rares sia stato confuso con il coimputato Rares, per l’assonanza del nome, costituisce solo una
congettura, mentre la consapevolezza di contribuire all’attività di un sodalizio criminale è stata
desunta in sede di merito, con apprezzamento non censurabile in sede di legittimità, dalle
circostanze del fatto (il Chirila aveva attivato o fatto attivare carte

postepay con l’intento di

metterle subito a disposizione dell’associazione). La Corte territoriale ha anche posto in
evidenza (f.193) come la continuità e la stabilità dei rapporti tra gli imputati, la ripartizione dei
ruoli, la reiterazione delle condotte, la facilità di reperire nuovi prestanome sono solo alcuni
degli elementi che conducevano a ritenere l’esistenza di un programma criminoso condiviso da

3.5. Il quinto motivo è anch’esso manifestamente infondato.
Il giudice di primo grado aveva motivatamente escluso la ricorrenza delle circostanze
attenuanti previste dagli artt.62 nn.4 e 6 cod.pen. (f.184 della sentenza di appello) e il
ricorrente ripropone le medesime doglianze senza confrontarsi con le giustificazioni al diniego
dell’applicazione di dette circostanze fornite dal giudice di merito. Quanto alle circostanze
attenuanti generiche la Corte territoriale ne ha giustificato il mancato riconoscimento con
riferimento alla mancanza di qualunque dato positivamente valutabile e alla mancanza di
resipiscenza, mentre il giudice di primo grado (f.188 sentenza impugnata) aveva ritenuto di
non applicarle al Chirila per la gravità dei fatti e il ruolo rilevante assunto nelle condotte
criminose ascrittegli. A questo riguardo la Corte osserva che la sussistenza di circostanze
attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto dì un giudizio di fatto e può
essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della
propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non
può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per
ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Cass. sez.VI 24
settembre 2008 n.42688, Caridi; sez.VI 4 dicembre 2003 n.7707, Anaclerio). Pertanto il
diniego delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente fondato anche
sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto
prevalente rispetto ad altri (Cass. sez.VI 28 maggio 1999 n.8668, Milenkovic). Il trattamento
sanzionatorio è stato ritenuto mite dalla Corte territoriale con legittimo ed esaustivo
riferimento alla gravità dei fatti, considerato evidentemente ostativo al riconoscimento della
sospensione condizionale anche per la richiamata mancanza di resipiscenza.
4. La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio nei confronti dell’imputato
Scarselletti in ordine al reato di cui al capo D perché estinto per prescrizione, con eliminazione
della relativa pena in continuazione di mesi sei di reclusione. Per il resto il ricorso presentato
nei confronti dello Scarselletti va dichiarata inammissibile.
5. Alla inammissibilità dei ricorsi degli imputati Badiu e Chirila consegue ex art. 616
c.p.p. la condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno di

parte del Chirila.

3
una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si
stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Scarselletti Stefano in ordine
al reato di cui al capo D perché estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena inflitta in
continuazione di mesi sei di reclusione. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso dello

Dichiara inammissibili i ricorsi di Badiu Alexandrina Mirela e di Chirila Rares che
condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro 1.000,00 alla
Cassa delle ammende.
Roma 5 novembre 2015

il cons. est.

Scarselletti.

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