Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8940 del 20/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8940 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MONTALBANO GIUSEPPE N. IL 26/03/1969
avverso il decreto n. 3398/2014 GIP TRIBUNALE di TRAPANI, del
26/06/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 20/01/2016

Lette le conclusioni del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di
Cassazione, che la concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Montalbano Giuseppe ricorre avverso il decreto di fissazione di giudizio
immediato emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Trapani nell’ambito del proc. n. 4107/14 – concernente il reato di bancarotta
fraudolenta – contro di lui instaurato.

estranea all’oggetto del ricorso – che il giudizio immediato è stato disposto in
considerazione della evidenza della prova, laddove il Pubblico Ministero era stato
costretto a richiedere la proroga delle indagini per la complessità della vicenda
processuale (richiesta su cui – aggiunge – non risulta che il Giudice per le
indagini preliminari si sia ancora espresso).
Precisa che la richiesta del Pubblico Ministero faceva riferimento all’ipotesi di cui
al comma 1-bis dell’art. 453 cod. proc. pen.; pertanto, avrebbe dovuto essere
formulata entro 180 giorni dall’iscrizione del nome dell’indagato nel registro delle
notizie di reato; che, secondo quanto statuito dalla Corte di Cassazione, la
prosecuzione delle attività investigative oltre i periodi indicati rispettivamente
dall’art. 453, commi 1 e 1-bis, oltre a costituire una violazione del disposto
normativo, contrasta con la ratio del rito prescelto; che manca, in ogni caso,
l’evidenza della prova e che non sono state valutate dal Giudice le allegazioni
difensive. Da ultimo, lamenta un pregiudizio dei diritti della difesa, derivante dia
fatto che è coimputato, nel medesimo procedimento, altro soggetto, rispetto a
cui non sussiste il presupposto richiesto dal comma 1-bis dell’art. 453 cod. proc.
pen. per la mutazione del rito (si tratta di soggetto non sottoposto a misura
custodiale). Da tanto deriva – secondo il ricorrente – l’abnormità del
provvedimento.

2. Con memoria del 2-1-2016 il ricorrente – a fronte delle conclusioni prese dal
Procuratore Generale delle Repubblica presso la Corte di Cassazione – ha ribadito
che si è di fronte – a suo giudizio – ad un provvedimento abnorme, perché il
decreto del Giudice per le indagini preliminari “non pare espressione di un
legittimo esercizio della funzione giurisdizionale, con la conseguente esigenza di
rimozione, atteso che esso determina indebitamente la sottrazione della fase
dell’udienza preliminare all’imputato”. Sottolinea che, nelle more del
procedimento, la Suprema Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale
di Palermo, che aveva confermato il provvedimento restrittivo della libertà

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Rileva – dopo una lunga esposizione della vicenda processuale, anche nella parte

personale ed ha disposto perizia “per accertare la validità delle spiegazioni
difensive”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

La censura – unica – mossa col ricorso è manifestamente infondata.
1. In pratica, nonostante la lunga esposizione fatta in ricorso e i molteplici
richiami giurisprudenziali operati, talora anche estranei al thema decidendum, si
stigmatizza l’erronea applicazione dell’art. 453 c.p.p., avendo il Giudicante

prova “evidente”, che, per contro, ad avviso del ricorrente, tale non poteva
essere ritenuta. E ciò comporterebbe, a giudizio del ricorrente, l’abnormità del
provvedimento.
Tale deduzione si scontra, però, con l’espresso dettato normativo, che – in
caso di giudizio immediato cd. custodiale, di cui all’art. 453, comma 1-bis cod.
proc. pen. – consente al Giudice per le indagini preliminari di rigettare la
richiesta del Pubblico Ministero quando (e solo quando) la richiesta non sia stata
preceduta dall’interrogatorio dell’imputato (art. 453, comma 1, cod. proc. pen.) e
quando l’ordinanza che ha disposto la custodia cautelare sia stata revocata o
annullata – dal giudice del riesame – per sopravvenuta insussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza (art. 453, comma 1-ter, cod. proc. pen.). E si scontra col
consolidato orientamento giurisprudenziale, avallato recentemente dalle Sezioni
Unite (n. 42979 del 26/6/2014), secondo cui la decisione con la quale il giudice
per le indagini preliminari dispone il giudizio immediato non può essere oggetto
di ulteriore sindacato, trattandosi di provvedimento che chiude una fase di
carattere endoprocessuale priva di conseguenze rilevanti sui diritti di difesa
dell’imputato, salva l’ipotesi – sopra evidenziata – in cui il giudice del
dibattimento rilevi che la richiesta del rito non è stata preceduta da un valido
interrogatorio o dall’invito a presentarsi, integrandosi in tal caso la violazione di
una norma procedimentale concernente l’intervento dell’imputato, sanzionata di
nullità a norma degli artt. 178, comma primo, lett. c) e 180 cod. proc. pen.). Su
questa falsariga è stato pure affermato che non è sindacabile il decreto di
giudizio immediato emesso dal Giudice per le indagini preliminari dopo la
scadenza del termine di novanta giorni – decorrente dall’iscrizione del nominativo
dell’indagato nel Registro delle Notizie di reato – previsto per il giudizio
immediato cd. ordinario, oppure dopo la scadenza del termine di centottanta
giorni – decorrente dall’esecuzione della misura custodiale, e non dall’iscrizione
dell’imputato nel Registro delle notizie di reato, come ritenuto dal ricorrente previsto per il giudizio immediato cd custodiale (Cass., SU, n. 42979 cit.).

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accolto la richiesta del Pubblico Ministero di giudizio immediato, sulla base di una

2. Quanto al “pregiudizio dei diritti della difesa”, derivante – secondo il ricorrente
– dal fatto che una persona imputata del medesimo reato sia giudicato con rito
ordinario, non è dato comprendere – e non è stato spiegato – dove esso risieda;
anzi, non è dato nemmeno comprendere – perché non è stato adeguatamente
spiegato – se il pregiudizio sia per il ricorrente o per il coimputato (Calandra). In
ogni caso va rilevato che l’eventualità di procedimenti separati è prevista
espressamente dalla norma ed è subordinata solo ad una valutazione del
Pubblico Ministero (il quale dovrà accertare se dalla separazione non derivi
pregiudizio grave alle indagini: art. 453, comma 2), per cui inconferente si

3. In ordine all’evidenza probatoria, trattasi di requisito che il Giudice per le
indagini preliminari deve attentamente vagliare, ma che non potrebbe essere
contrastato da una diversa valutazione giudiziale se non all’esito del
dibattimento, quando, terminata l’istruzione probatoria, il Giudice dispone delle
informazioni necessarie, con la conseguenza – estranea alla logica del sistema,
perché contrastante con esigenze di celerità e razionalità – che un accertamento
sulla colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, effettuato nella sede a ciò
deputata, debba cedere di fronte ad una indagine retrospettiva sulle condizioni
necessarie all’instaurazione del rito. Se ne deve dedurre che in un sistema
tendenzialmente accusatorio, basato sulla centralità del dibattimento, una volta
instaurato il giudizio immediato, la eventuale erronea valutazione del Giudice per
le indagini preliminari circa l’esistenza dei presupposti per procedere con tale rito
è irrilevante, atteso il prevalente interesse dell’imputato alla celebrazione del
giudizio in un tempo ragionevole. Tanto spiega il concorde orientamento di
questa Corte regolatrice, secondo cui il provvedimento adottato dal giudice per le
indagini preliminari è insuscettibile di sindacato da parte del giudice del
dibattimento (Oltre alla sentenza delle Sezioni Unite, sopra menzionata, si
vedano: Sez. 3, n. 31728 del 28/03/2013, En Naoumi Youssef, Rv. 2546733;
Sez. 6, n. 6989 del 10/01/2011, C., Rv. 249563; Sez. 4, n. 39597 del
27/06/2007, Pierfederici, cit.; Sez. 1, n. 23927 del 14/04/2004, Di brio, cit.;
Sez. 1, n. 24617 del 10/04/2001, De Siena, cit.; Sez. 1, n. 9553 del
14/07/2000, Kallerig, cit.; Sez. 5, n. 1245 del 21/01/1998, Cusani, cit.; Sez. 5,
n. 5154 del 19/02/1992, Fresta, cit.). Non solo, ma che è abnorme – in quanto
determinante un’indebita regressione del procedimento – il provvedimento con il
quale esso Giudice, sul presupposto che il giudizio immediato sia stato disposto
al di fuori della previsione normativa concernente l’evidenza della prova, rimetta
gli atti al Pubblico Ministero per l’ordinario esercizio dell’azione penale (cfr. C.,
Sez. VI, 10.1.2011 n. 6989; Cass., n. 39597 del 27/6/2007; Cass., sez. 3, n.
179 del 15/11/2007; Cass. Sez. 1, 14/4/2004 n. 23927; Sez. 5, n. 9553 del
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appalesa ogni deduzione sul punto.

14/7/2000; Sez. 5, 21/1/1998 n. 1245). Tanto, in coerenza con i principi
affermati dalla Consulta, la quale ha condivisibilmente affermato che non esiste
una norma costituzionale che imponga di riconoscere anche al giudice del
dibattimento il potere di valutare l’ammissibilità del rito (Corte cost. sent., n. 482
del 1992).
Per quanto concerne poi il giudice di legittimità, è fin troppo facile rimarcare che
l’evidenza della prova è questione di fatto che deve essere valutata dal giudice di
merito; pertanto non può essere oggetto di ricorso per cassazione. Inoltre, che è
esclusa dal sistema processuale, in generale, la ricorribilità per cassazione dei

4. Alla luce di tali principi emerge l’irrimediabile infondatezza del ricorso, sia
perché non può essere qualificato abnorme un provvedimento emesso dal
Giudice per le indagini preliminari nell’esercizio dei poteri a lui conferiti dalla
legge (anche se esso fosse, per avventura, viziato), in quanto non estraneo al
sistema e perché non determina una stasi processuale; sia perché la richiesta di
proroga delle indagini non rappresenta, di per sé, un indizio di “complicazione
probatoria”, non essendo nemmeno stato illustrata la ragione per cui è stata
avanzata dal Pubblico Ministero la relativa richiesta; sia, infine, perché il
provvedimento del Giudice per le indagini preliminari non è impugnabile in
questa sede.
Il ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a
favore della Cassa delle ammende, che, tenuto conto della natura delle doglianze
sollevate, si reputa equo quantificare in C 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/1/2016

provvedimenti di vocatio in iudicium.

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