Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8936 del 20/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8936 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GENTILE MARIANO N. IL 18/01/1953
avverso il decreto n. 12/2014 CORTE APPELLO di PALERMO, del
12/01/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 20/01/2016

- Lette le conclusioni del Procuratore Generale delle Repubblica presso la Corte di
Cassazione, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Palermo ha, col decreto impugnato, confermato quello
emesso dal Tribunale di Agrigento in data 16 ottobre 2013, che aveva disposto a
carico di Gentile Mariano – indiziato di associazione mafiosa – la misura di
prevenzione della sorveglianza speciale di PS con obbligo di soggiorno nel

Igs. n. 159 del 6 settembre 2011, e gli aveva imposto il versamento della
cauzione di C 2.000.
I giudici hanno ritenuto sussistente la pericolosità sociale del proposto sulla
scorta del contenuto di un precedente decreto – emesso nel 2003, con il quale
era stata applicata a Gentile, una prima volta, la misura di prevenzione della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza – e in considerazione degli esiti
investigativi di un nuovo procedimento penale, sfociato nell’applicazione – a suo
carico – della misura cautelare della custodia in carcere (ordinanza del G.I.P. del
Tribunale di Palermo del 9 maggio 2011) “per aver fatto parte della famiglia
mafiosa di Castronovo di Sicilia” e nella susseguente condanna ad anni dieci di
reclusione pronunciata dal G.U.P. di Palermo in data 19/10/2012 per il reato di
cui all’art. 416/bis cod. pen. a lui ascritto; sentenza sostanzialmente confermata
dalla Corte d’appello di Palermo in data 22 maggio 2014.

2. Avverso l’anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione il proposto,
a mezzo del difensore, lamentando, con unico motivo, la violazione del principio
del ne bis in idem. derivante dal fatto che – a suo giudizio – la misura si fonda
sugli stessi elementi presi in considerazione nel decreto n. 59/03 R.D.M.P.
emesso dal Tribunale di Agrigento in data 18/6/2003, con cui gli era stata
applicata la stessa misura per anni tre e mesi sei. Deduce, sotto tale profilo, che
i collaboratori Di Gati Maurizio e Giuffré Antonino, le cui dichiarazioni sono state
valorizzate dai giudici di merito per fondare il giudizio di pericolosità, si sono
riferiti a vicende occorse prima del 2003 e che hanno escluso una partecipazione
di Giuffré alle dinamiche associative dopo tale data; né gli organi di polizia
giudiziaria “hanno fornito alcuna annotazione di rilievo di natura criminogena”.
Per tale motivo deve ritenersi insussistente il requisito della attualità della
pericolosità, richiesto per l’applicazione di una misura di prevenzione personale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2

comune di residenza per la durata di anni quattro, ai sensi degli artt. 4 e 6 del d.

Il ricorso è infondato e ai limiti dell’ammissibilità, giacché non si confronta
adeguatamente con la motivazione del provvedimento impugnato.
1. In particolare il giudice di merito ha evidenziato come il decreto del 2003 si
fondasse sull’accertato collegamento di Gentile con Salvatore Rinzivillo di Gela
(appartenente al clan Madonia), mentre il decreto attuale – e la sentenza di
condanna penale del 2012, confermata in appello – si fondano sulle dichiarazioni
di tre collaboratori (Di Gati, Giuffré e Vara), sulla base delle quali è stato
accertato che Gentile aveva un ruolo preminente all’interno della famiglia
mafiosa di Castronovo di Sicilia e che tale ruolo ricoprì almeno fino al 2006,

proposto “fino al momento del suo arresto”: pag. 10).
2. In ogni caso bisogna poi considerare che – come correttamente rilevato dal
Pubblico Ministero concludente – la questione del ne bis in idem è mal posta, in
quanto, come questa Corte, anche a SS.UU., ha ripetutamente affermato, il
principio del “ne bis in idem” è applicabile anche nel procedimento di
prevenzione, ma la preclusione del giudicato opera “rebus sic stantibus” e,
pertanto, non impedisce la rivalutazione della pericolosità ai fini dell’applicazione
di una nuova o più grave misura ove si acquisiscano ulteriori elementi,
precedenti o successivi al giudicato, ma non valutati, che comportino un giudizio
di maggiore gravità della pericolosità stessa e di inadeguatezza delle misure
precedentemente adottate”: SS.UU. 600/2009 Rv. 245176; SS.UU. 36/2000 riv
217668; Cass. 5649/2002 Rv. 221155; Cass. 33077/2006 Rv. 235144; Cass.
25514/2006 234995.. Si è, infatti, osservato che “la decisione di prevenzione non
accerta la sussistenza di un fatto-reato e la responsabilità di una persona, sicché
elementi non presi in considerazione nei passaggi argomentativi e nei
presupposti di fatto della decisione sfuggono alla preclusione, ponendosi in una
relazione di novità (Sez. Un. 30- 3-98 Pisco e Sez. 1, 6-3-92 Santapaola). La
misura di prevenzione ha carattere strumentale, ha insita la provvisorietà, è
finalizzata al contenimento della pericolosità sociale e quindi alla prevenzione di
reati. È evidente, pertanto, l’affinità strutturale e sistematica con le misure
cautelari per il comune carattere di strumentalità e di provvisorietà in quanto
decisioni “allo stato degli atti” non immutabili: SS.UU 36/2000 cit.
3. Orbene, nella specie sono stati evidenziati elementi che dimostrano non solo
la perdurante affiliazione mafiosa del proposto almeno fino al 2006, ma anche la
sua progressione criminale, avendo acquisito, nel frattempo, la fiducia di un capo
mandamento (Giuffré Antonino) ed avendo fatto da collegamento tra il suddetto
Giuffré e Faldetta Raffaele (pagg. 8-9). Se ne deduce che il decreto impugnato si
fonda su elementi probatori ignoti – sia per collocazione temporale che per
gravità – al giudice del primo provvedimento di prevenzione, per cui nessuna
violazione del principio invocato dal ricorrente può dirsi consumata.
3

epoca di arresto di Di Gati (questi ha parlato di una sua frequentazione col

4. A ciò va aggiunto che – come correttamente ricordato dalla Corte d’appello la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che il mero decorso del
tempo non è decisivo ai fini del venir meno della pericolosità, dovendosi invece
acquisire elementi dai quali possa ragionevolmente desumersi il recesso del
soggetto dall’organizzazione mafiosa o la disintegrazione di questa e che, in
mancanza, non è necessaria alcuna motivazione sulla attualità della pericolosità
sociale (Cass., n. 499 del 21/11/2008. Anche più recentemente è stato
affermato che, ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di
appartenenti ad associazioni di tipo mafioso, non è necessaria alcuna particolare

adeguatamente dimostrata e non sussistano elementi dai quali ragionevolmente
desumere che essa sia venuta meno per effetto del recesso personale, non
essendo dirimente a tal fine il mero decorso del tempo dall’adesione al gruppo o
dalla concreta partecipazione alle attività associative: Cass., n. 43490 del
18/3/2015).
5. Nella specie non solo non sono stati evidenziati elementi di discontinuità nella
condotta di Gentile rispetto all’associazione mafiosa, ma è state evidenziato,
oltre al suo risalente e stabile inserimento nelle dinamiche associative, anche il
ruolo direttivo assunto all’interno della stessa, anche dopo l’applicazione della
precedente misura di prevenzione, e l’assenza di qualsiasi segnale di distacco dal
contesto mafioso, oltre all’estrema pericolosità dell’associazione mafiosa tipica.
6. Consegue a tanto che il ricorso, infondato sotto plurimi profili, va rigettato,
con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20/1/2016

motivazione in punto di attuale pericolosità, una volta che l’appartenenza risulti

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