Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8911 del 28/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8911 Anno 2016
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: MORELLI FRANCESCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CO,A;ALSCHI LAURA ADRIANA N. IL 06/09/1978
avverso la sentenza n. 37/2014 CORTE ASSISE APPELLO di ROMA,
del 27/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCA MORELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 91.,
che ha concluso per js-L e
ottp.

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. P.060,40

po A z–,0./V3

Data Udienza: 28/01/2016

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con la sentenza impugnata, la Corte d’Assise di Appello di Roma,
giudicando in sede di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione con sentenza
dell’8.4.14, ha parzialmente riformato la sentenza del GUP presso il Tribunale
di Roma dell’11.10.11 determinando la pena a carico di Covalschi Laura

danno di Lenzi Francesco, in anni quindici di reclusione, con conferma delle
statuizioni civili.
1.2 La vicenda processuale che vede come protagonista la Covalschi può
essere così sinteticamente riassunta:
– il 24.11.08 veniva ucciso, nel corso di una rapina avvenuta presso la sua
abitazione, il gioielliere Francesco Lenzi
– venivano ritenuti responsabili del fatto, con diverse condotte concorsuali,
alcuni cittadini romeni, fra cui la Covalschi, collaboratrice domestica presso il
Lenzi ed indicata da uno degli autori dell’omicidio come colei che, d’accordo
con gli altri complici, li aveva fatti entrare in casa per rapinare il datore di
lavoro
– a carico degli imputati si procedeva in diverse sedi, a seconda del rito
prescelto, e, in particolare, Iancu Radu Ion veniva condannato con sentenza
definitiva quale autore materiale
– la Covalschi, giudicata dal GUP di Roma nelle forma del giudizio abbreviato
unitamente al coimputato Marin Relu Marian ( assolto con sentenza
irrevocabile), veniva ritenuta responsabile di concorso in omicidio, in rapina e
in violazione di domicilio e concessa, per quanto riguarda l’omicidio,
l’attenuante di cui all’art.116 c.p.con giudizio di equivalenza sull’aggravante di
cui all’art.112 c.p.ed escluse le aggravanti di cui all’art.61 n.4 e 2 c.p.,
unificati i delitti dal vincolo della continuazione, applicata la diminuente per il
rito, veniva condannata alla pena di anni sedici di reclusione
– la Corte d’Assise d’Appello di Roma, con sentenza del 22.2.13, assolveva la
Covalschi dall’addebito di concorso in omicidio per non avere commesso il
fatto e rideterminava la pena per i restanti reati, concesse le attenuanti
generiche con giudizio di equivalenza sulle aggravanti, in anni cinque mesi
quattro di reclusione ed euro 1.200 di multa
– proponeva ricorso il Procuratore Generale chiedendo l’annullamento della
sentenza con riguardo ad entrambe le posizioni esaminate ( Covalschi e Marin
Relu Marian) e la Corte di Cassazione, adita anche dal difensore dell’imputata

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Adriana, ritenuta colpevole dei delitti di cui agli artt.116,575,628,614 c.p. in

quanto alla condanna per gli ulteriori reati,

con sentenza dell’8.4.14,

annullava la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma nei confronti
della sola Covalschi e limitatamente all’assoluzione dal reato di concorso in
omicidio ed alla concessione delle attenuanti generiche, rinviando per un
nuovo giudizio al riguardo altra sezione della Corte d’Assise d’Appello di Roma.
1.3 La Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la critica operata dal
Procuratore Generale avverso la sentenza del giudice di appello nella parte in
cui la Covalschi è stata assolta dall’addebito di concorso in omicidio, reato per

ritenuto sussistente il concorso anomalo ex art.116 c.p.
Si sostiene che il concorso da parte della Covalschi nel reato di rapina, con il
ruolo indicato nell’imputazione, è un dato accertato e che tale ruolo
comportava una partecipazione alla rapina, con il necessario uso di violenza
da parte dei complici, previsto dalla donna in ragione del fatto che il Lenzi
doveva essere immediatamente neutralizzato anche a fronte di una sua
prevedibile reazione difensiva di sé stesso e dei propri beni.
L’evento omicidiario non costituiva, quindi, una eventualità estranea alla
dinamica dell’episodio di rapina, considerato, soprattutto, che le circostanze in
cui era stata programmata rendevano concreta la degenerazione della rapina
in omicidio.
La Corte d’Assise d’Appello, nell’affermare che l’omicidio del Lenzi era stato un
evento atipico, conseguenza di circostanze eccezionali ed imprevedibili, non
ricollegabili all’azione criminosa della Covalschi, non aveva dato conto in
termini logicamente accettabili, secondo il giudice di legittimità, del perché
dovesse essere qualificato quale evento eccezionale ed atipico l’azione
dell’esecutore materiale, Nicolau Robert Georgian, il quale, secondo gli accordi,
aveva il compito di esercitare una certa violenza nei confronti del Lenzi per
bloccare ogni sua prevedibile reazione ed aveva ecceduto nell’uso della
violenza, colpendolo alla testa e provocandogli la frattura della base cranica.
L’annullamento è pronunciato anche con riguardo al trattamento sanzionatorio,
compresa la riconsiderazione della concessione delle attenuanti generiche.
1.4 In applicazione dei principi espressi nella sentenza di annullamento, la
Corte di Assise d’Appello di Roma ha ritenuto che l’imputata, adoperando
l’ordinaria diligenza, fosse in grado di prevedere l’evento omicidiario come
logico sviluppo della rapina da lei programmata con i coimputati ed ha quindi
concluso per la responsabilità della stessa in ordine al concorso anomalo in
omicidio volontario, ha escluso le attenuanti generiche, ed ha rideterminato la
pena nei termini indicati in premessa.
2.1 Propone ricorso il difensore di fiducia articolando tre motivi di censura

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il quale era stata condannata in primo grado, nonostante il GUP avesse

2.2 Si deduce la violazione ed erronea applicazione dell’art.623 lett.c) c.p.p.in
quanto entrambe le sentenze di secondo grado sono state emesse dalla
medesima sezione della Corte d’Assise d’Appello, la terza sezione, pur se in
diversa composizione quanto ai giudici togati e popolari.
Ciò determinerebbe l’incompetenza funzionale dei giudici che hanno
pronunciato il provvedimento impugnato e la nullità della sentenza di rinvio.
2.3 Si deducono violazione di legge, nello specifico degli artt.116 c.p.e 192 e
533 c.p.p., in quanto la Corte d’Assise d’Appello, in sede di rinvio, non avrebbe

omettendo di indagare sull’elemento soggettivo comunque richiesto
dall’art.116 c.p.
2.4 Si deducono violazione di legge e vizi motivazionali in ordine alla
eccessività della pena, in raffronto a quelle inflitte ai coimputati, ed alla
mancata concessione delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.1 il primo motivo di ricorso è infondato.
La sentenza pronunciata in fase di rinvio dalla stessa Sezione della Corte
d’Assise d’Appello la cui sentenza sia stata annullata, non è nulla.
La nullità non è espressamente prevista da alcuna norma di legge e non pare
configurabile un’incapacità generica del giudice, posto che la capacità del
giudice attiene alla sussistenza dei requisiti richiesti dalle Disposizioni
dell’ordinamento giudiziario per l’Esercizio in generale delle funzioni.
L’irregolarità denunciata non può neppure essere ricondotta alla categoria
dell’incompetenza

funzionale

la

quale

non

trova

un’esplicita

regolamentazione nella legge processuale e si concretizza nella ripartizione
della potestà giurisdizionale fra i vari organi in relazione alla capacità specifica
del giudice con riguardo a tipicizzate attività processuali ed all’organizzazione
degli uffici giudiziari – giacché l’art.623 c.p.p., disciplinando l’annullamento
con rinvio, definisce i criteri per l’individuazione del giudice chiamato a
celebrare il nuovo giudizio, ispirandosi all’unica ratio di evitare che l’organo
giudicante in fase di rinvio sia lo stesso che ha pronunciato la sentenza
annullata, al fine di prevenire situazioni di incompatibilità, con la conseguenza,
quindi, che è la diversità dei componenti del Collegio che sostanzialmente
rileva e rende differente la Sezione rispetto a quella che ha pronunciato la
sentenza annullata. ( Sez. 6, n. 17304 del 04/10/1989 Rv. 182817).
L’art.178 co.1 lett.a) c.p.p.ricollega la sanzione processuale della nullità
assoluta alla violazione delle regole che disciplinano le condizioni di capacità

3

correttamente applicato le disposizioni in tema di concorso anomalo,

del giudice, non alla violazione delle norme che, regolando la destinazione dei
giudici agli uffici giudiziari, l’assegnazione alle singole sezioni, la formazione
dei Collegi e la ripartizione degli affari penali fra le singole sezioni investono
l’organizzazione giudiziaria e non sono attinenti alla capacità del giudice ( v.
da ultimo Sez. 5, n. 52235 del 17/11/2014 Rv. 262182 secondo cui non dà
luogo a nullità ma ad una mera irregolarità o al più ad una situazione di
incompatibilità da far valere come motivo di ricusazione, la violazione della
norma che impone il rinvio ad altra sezione della stessa Corte che ha

diversamente composto).
3.2 infondato anche il secondo motivo di ricorso.
Va premesso che vi è un giudicato circa la riconducibilità all’imputata del ruolo
stigmatizzato nell’imputazione, vale a dire l’avere fornito notizie circa la
presenza di preziosi e di oro a casa del Lenzi alla cognata Constantin Adriana
perché, a sua volta, le fornisse al marito Constantin Valentin, organizzatore
dell’impresa criminosa, e l’avere aperto la porta dell’abitazione del Lenzi ai
complici, lasciandosi legare le mani dietro la schiena per dissimulare la propria
complicità.
La Corte di Cassazione si è già anche pronunciata in merito all’attendibilità di
Iancu Radu Ion, secondo la cui deposizione egli stesso, dopo che la Covalschi
gli aveva aperto la porta, l’aveva legata ed imbavagliata, in quanto costei
avrebbe dovuto apparire come una vittima, mentre il Nicolau si era recato
nella mansarda, dove si trovava il Lenzi ancora nudo sul letto dopo avere
avuto un rapporto sessuale proprio con la Covalschi ( così come dalla stessa e
dai complici preventivamente programmato); il Lenzi aveva tentato di
resistere all’aggressore impugnando una pistola ( risultata poi essere arma
giocattolo) ma il Nicolau l’aveva disarmato, l’aveva fatto sedere a terra e gli
aveva fatto sbattere la testa contro un quadro.
La Covalschi era stata portata nella stanza ed era stata apparentemente
minacciata, allo scopo di non svelarne la complicità, mentre il Lenzi era stato
nuovamente colpito dal Nicolau alla testa con una pistola elettrica utilizzata
come corpo contundente.
Le affermazioni di Iancu hanno trovato riscontro, secondo i giudici di merito,
nel fatto che la Covalschi fosse al corrente del nascondiglio dei preziosi; che
ella avesse dichiarato agli inquirenti nell’immediatezza dell’omicidio che i
rapinatori erano italiani, evidentemente per coprire i propri complici romeni;
nella impossibilità che ella non avesse udito i lamenti del Lenzi, aggredito dai
rapinatori; nella inverosimiglianza di un’azione delittuosa concepita in pieno

/7—-Th

giorno senza la complicità della donna, l’unica che si trovava in casa insieme

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pronunciato la sentenza annullata, qualora il collegio giudicante di rinvio sia

alla vittima.
Tale essendo il quadro di prova di riferimento, nella sentenza annullata dalla
Corte di Cassazione si sostiene che l’omicidio fosse imprevedibile per
l’imputata, persona poco incline alla violenza e senza alcun interesse a
uccidere il Lenzi, dal momento che i complici non portavano con sé armi letali,
il pestaggio del Lenzi era avvenuto da parte del solo Nicolau che,
successivamente, era stato aggredito da uno degli altri complici, il Dumitrascu,
per la reazione spropositata.

mancata previsione e la non accettazione da parte dell’imputata del rischio di
commissione del reato di omicidio valgono ad escludere la condanna a titolo di
concorso ex art.110 c.p. ma non il concorso ex art.116 c.p. , essendo, in tale
ultima ipotesi, la responsabilità fondata sulla prevedibilità, nella situazione
concreta e in base alla dovuta diligenza, dell’evento più grave come logico
sviluppo dell’azione convenuta.
Nella sentenza impugnata si valuta, quindi, se la Covalschi, impiegando la
dovuta diligenza, fosse in grado di prevedere l’uccisione del Lenzi come logico
sviluppo del delitto di rapina aggravata da lei programmato in unione ai
computati.
La risposta affermativa discende dall’assorbente considerazione che, per poter
neutralizzare la prevedibile reazione del Lenzi, era indispensabile non soltanto
intimidire o minacciare la persona offesa ma operare violenza fisica nei suoi
confronti.
L’escalation criminosa non poteva assolutamente rappresentarsi come
imprevedibile nella mente dell’imputata, visto il ruolo non secondario da lei
avuto nella progettazione di una rapina per consumare la quale, visto
l’ingente valore dei beni custoditi dal Lenzi, si prospettava necessario il ricorso
ad una tutt’altro che indifferente azione violenta.
Le repliche a tale argomento da parte del difensore sono sostanzialmente due:
– il fatto che la CowiaPschi sia stata legata, imbavagliata e minacciata alla
presenza del Lenzi dimostra che tutti ritenevano che l’azione si sarebbe
conclusa con il Lenzi in vita ed agirono in modo che costui non dovesse
sospettare della complicità della domestica
– l’escalation di violenza è addebitabile all’iniziativa estemporanea di un solo
soggetto, non prevista né auspicata né condivisa dai complici.
L’argomento della difesa ripete l’errore contenuto nella sentenza annullata e
già stigmatizzato dalla Corte di Cassazione: il dimostrare che la Covalschi ed i
complici ( diversi dal Nicolau autore materiale dell’omicidio) non si fossero
rappresentati l’uccisione dell’orefice come conseguenza della rapina

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Il giudice di legittimità ha censurato il passaggio logico, sostenendo che la

programmata ( da qui le precauzioni per non compromettere la basista e la
reazione irritata da parte del capo banda nei confronti del Nicolau) vale ad
escludere il concorso da parte loro nel reato di omicidio secondo l’art.110 c.p.,
e in tal senso va valutata anche la mancata dotazione di armi letali, ma non
certamente il concorso cd.anomalo ritenuto nella sentenza impugnata.
Sul punto, si veda : Sez. 5, n. 34036 del 18/06/2013 Rv. 257251
“In tema di concorso anomalo, ai fini dell’affermazione della responsabilità
per il reato diverso commesso dal compartecipe, è necessaria la verifica della

condotta del soggetto che ha voluto soltanto il reato meno grave e l’evento
diverso, nel senso che quest’ultimo deve essere oggetto di possibile
rappresentazione in quanto logico sviluppo, secondo l’ordinario svolgersi e
concatenarsi dei fatti umani, fermo restando che la prognosi postuma sulla
prevedibilità del diverso reato commesso dal concorrente va effettuata in
concreto, valutando la personalità dell’imputato e le circostanze ambientali
nelle quali l’azione si è svolta” ed altresì Sez. 1, n. 37940 del 24/10/2006 Rv.
235427
“La responsabilità per concorso anomalo è ravvisabile solo quando l’evento
diverso e più grave di quello voluto dal compartecipe costituisca uno sviluppo
logicamente prevedibile quale possibile conseguenza della condotta
concordata da parte di un soggetto di normale intelligenza e cultura media,
secondo regole di ordinaria coerenza dello svolgersi dei fatti umani, non
interrotta da fattori accidentali e imprevedibili. Sono quindi necessarie due
condizioni negative: che l’evento diverso non sia stato voluto neanche sotto il
profilo del dolo alternativo od eventuale, perché altrimenti sussisterebbe la
responsabilità di cui all’art. 110 cod. pen., e che l’evento più grave
concretamente realizzato non sia conseguenza di fattori eccezionali,
sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili eziologicamente alla
condotta criminosa di base, non prevedibili da parte dell’agente.”
Fondandosi su tali pronunce si deve ritenere corretta e non censurabile in
questa sede la motivazione della sentenza impugnata secondo cui era
logicamente prevedibile che Lenzi avrebbe tentato una qualche forma di
resistenza, al fine di evitare che gli fossero sottratti i preziosi di ingente valore
che egli custodiva in casa in un nascondiglio, per rintuzzare la quale non
sarebbero bastate le minacce ma si sarebbe dovuti passare alla costrizione
fisica.
Essendo, oltretutto, un dato di comune esperienza che la costrizione fisica può
degenerare in condotte lesive gravi, soprattutto se esercitata in condizioni di
evidente sproporzione di forze.

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sussistenza di un nesso, non solo causale ma anche psicologico, tra la

3.3 Quanto alle doglianze circa il mancato riconoscimento delle attenuanti
generiche e la determinazione della pena, la sentenza impugnata, premesso
che lo stato di incensuratezza non vale, di per sé solo considerato, al
riconoscimento delle predette attenuanti, stigmatizza la partecipazione
dell’imputata ad un delitto brutale e la condotta fredda e callida mantenuta
nel prosieguo della vicenda, così da neutralizzare la eventuale valenza positiva
del comportamento corretto serbato nel periodo di sottoposizione agli arresti
domiciliari.

rispetto agli elementi favorevoli all’imputata, è correttamente motivata ed
incensurabile in questa sede.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 28 gennaio 2016
Il Presidente

La valutazione del giudice di merito, che ha ritenuto più incisivi i dati negativi

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