Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8854 del 09/02/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8854 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI PISTOIA
nei confronti di:
VESCOVI RENZO SPA
avverso l’ordinanza n. 4/2014 TRIB. LIBERTA’ di PISTOIA, del
16/07/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Data Udienza: 09/02/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pistoia, con provvedimento del
30/05/2013, aveva disposto, ai sensi dell’art. 49 D.Lgs. n. 231 del 2001, il ripristino della
misura cautelare a suo tempo applicata nei confronti della Vescovi Renzo s.p.a. (d’ora in poi
semplicemente “Società”), cioè l’interdizione per sei mesi a contrattare con la Pubblica
Amministrazione delle regioni Toscana e Liguria. La misura interdittiva era stata adottata in
relazione all’illecito amministrativo di cui all’art. 5, comma 1, lett. a), artt. 21 e 25 del citato

c.p., comma 2, ascritti a Vescovi Roberto quale socio di maggioranza ed institore della
predetta Società. Era stato per altro accordato – ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 49,
comma 1, – un periodo di sospensione della misura, al fine di consentire l’adozione delle
misure idonee ad escludere l’applicazione delle sanzioni amministrative di cui all’art. 17.
2. Il Giudice per le indagini preliminari, alla scadenza del periodo, aveva ritenuto
inadeguate le misure in concreto assunte dalla Società, ed aveva appunto disposto, in
applicazione dell’art. 49, comma 3, il ripristino della misura interdittiva in oggetto.
3. Il Tribunale di Pistoia, in funzione di giudice dell’appello cautelare, aveva in seguito
annullato il provvedimento, confutando il giudizio di insussistenza delle condizioni indicate
all’art. 17, comma 1. Quanto al risarcimento del danno, era stata considerata satisfattiva
l’istituzione, ad opera della Società, di un fondo di accantonamento per Euro 120.000,00,
finalizzato a garantire la futura eliminazione delle conseguenze dannose del fatto. Riguardo
all’adozione di un idoneo modello organizzativo, il Tribunale aveva valutato positivamente le
misure prese, negando in particolare che dovesse considerarsi inadeguata la designazione
del nuovo amministratore nella persona di Vescovi Tommaso, fratello di Roberto (presunto
autore dei reati) e figlio di Renzo. Quanto infine alla messa a disposizione del profitto
ricavato dall’illecito, in vista dell’eventuale confisca, si era apprezzata l’istituzione di un
secondo accantonamento per 120.000,00 Euro, somma equivalente al 10% degli importi
fatturati ed incassati dalla Società per i lavori relativi alle gare in contestazione, che il
Tribunale aveva considerato corrispondente al profitto conseguito, da intendersi quale utile
netto ricavato.
4. L’ordinanza di annullamento era stata impugnata dal Pubblico ministero, con ricorso
accolto da questa Suprema Corte, con sentenza n. 326/2014 del 28/11/2013, che aveva
considerato fondati parte soltanto dei motivi posti a sostegno dell’impugnazione. In
particolare, l’annullamento era stato disposto “per l’assorbente ed esaustivo profilo di non
essersi la società “efficacemente”, come impone il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 17, lett. a),
adoperata a risarcire integralmente il danno, ad eliminare le conseguenze dannose o
pericolose del reato”. Ciò per altro rilevando come, nei casi in esame, il giudice di legittimi

D.Lgs., correlato ai reati di cui agli artt. 81 cpv., 110, 319, 319 bis e 321 c.p. e art. 353

possa sindacare i soli vizi derivanti da violazione di legge e dunque, in punto di
corrispondenza della motivazione al suo modello legale, le sole fattispecie di mancanza
grafica o sostanziale della motivazione medesima. Per questa ragione la Corte aveva
ricusato di “prendere posizione” a proposito dei modelli organizzativi adottati dalla Società,
ed in particolare dell’avvenuta designazione di Vescovi Tommaso quale amministratore,
nonché a riguardo della quantificazione della somme dovute a titolo di risarcimento ovvero
costitutive del profitto: in proposito il Tribunale aveva sviluppato una motivazione compiuta
e non irnplausibile, con ciò restando escluso il denunciato vizio di violazione della legge.

danno, a prescindere dalla sua determinazione quantitativa, non parendo alla Corte
sufficiente la costituzione di un accantonamento a riserva indisponibile, certificata dal
collegio sindacale, comunicato agli enti comunali, persone danneggiate dal reato, solo dieci
giorni prima della scadenza del periodo di sospensione. In sintesi, la legge richiederebbe
una “diretta consegna alle persone danneggiate … delle somme costitutive del risarcimento
del danno prodotto ovvero con modalità che garantiscano la presa materiale della somma
risarcita su iniziativa del danneggiato senza la necessità di una ulteriore collaborazione per
la traditio dell’ente risarcente”.

Inoltre, poiché la disciplina in esame richiede non solo

un’azione risarcitoria compiuta, ma anche l’eliminazione delle conseguenze dannose o
pericolose del reato, o comunque una efficace attivazione in tal senso, l’ente interessato
sarebbe sempre chiamato ad “una determinazione del danno e delle conseguenze non per
iniziative unilaterali, ma in virtù di una collaborazione o comunque contatto tra parti
contrapposte, tale da doversi ritenere efficace l’essersi adoperato preteso dalla disposizione
richiamata”. Nel caso di specie – ha proseguito la Corte – la condotta della società era
consistita nell’offrire dieci giorni prima della scadenza del tempo di sospensione della misura
una somma determinata unilateralmente, senza alcuna possibile interlocuzione da parte
degli enti territoriali danneggiati dalla condotta costitutiva di reato. Ciò tra l’altro era stato
attuato nei soli confronti dei Comuni, senza alcuna attività volta all’individuazione dei
soggetti privati in ipotesi danneggiati attraverso le condotte di turbata libertà degli incanti.
La Corte di legittimità, dunque, aveva annullato il provvedimento impugnato, chiamando il
Giudice del rinvio “alla verifica degli impegni come sopra individuati”.
5. Il giudizio di rinvio era stato definito dal Tribunale di Pistoia con provvedimento del
13.3.2014. che aveva nuovamente annullato il provvedimento del G.i.p. Il Tribunale,
esplicitamente e motivatamente, aveva ritenuto di non esaminare l’ordinanza sottoposta al
suo vaglio mediante l’originario appello del Pubblico ministero, ravvisando, a fronte di una
espressa istanza difensiva in tal senso, le condizioni per una revoca della misura in atto, in
forza della sopravvenuta carenza delle esigenze cautelari in vista delle quali la misura stessa
era stata a suo tempo adottata. Dopo avere argomentato circa la propria “competenza” a
provvedere sull’istanza difensiva, il Tribunale aveva osservato, per un verso, che le

Una tale violazione, piuttosto, era stata riscontrata in punto di effettivo risarcimento del

circostanze in precedenza apprezzate quali fattori costitutivi della fattispecie regolata
dall’art. 17 D. Lgs. n. 231 del 2001 (adozione di un nuovo modello organizzativo,
sostituzione dell’amministratore, istituzione di più fondi di accantonamento) potrebbero
essere valutate anche, in prospettiva non pregiudicata nella fase rescindete, quali misuratori
del concreto rischio della commissione di nuovi illeciti da parte della Società. Per altro verso,
rispetto alle precedenti fasi del subprocedimento, sarebbero sopraggiunti nuovi elementi atti
a tranquillizzare circa il futuro comportamento della Vescovi. A parte la nomina del nuovo
amministratore (che la Cassazione ha escluso possa venir svalutata pregiudizialmente in

Società a costituire un trust sulla base delle disposizioni contenute nella Convenzione de
l’Aia in data 1/7/1985, al fine di garantire effettività al risarcimento del danno ed alla
rimozione delle conseguenze dannose o pericolose dell’illecito. In altre parole, l’oggetto del
giudizio non era stata l’idoneità degli elementi indicati a concretare le condizioni preclusive
indicate dall’art. 17, comma 1, D.Lgs. n. 231 del 2001, ma la valenza di quegli stessi
elementi sul piano della prognosi cautelare. Seguono, nel provvedimento impugnato,
un’ampia analisi delle misure adottate dalla Società dopo le contestazioni, ed il giudizio
secondo cui tali misure, per la loro efficacia, varrebbero ragionevolmente ad escludere il
rischio di reiterazione degli illeciti. Si è osservato, tra l’altro, che la situazione di fatto
sarebbe ormai diversa da quella esistente all’epoca del provvedimento genetico, essendo
stati arrestati e comunque rimossi dagli incarichi i funzionari coi quali i dirigenti della Società
avevano stretto i presunti rapporti corruttivi. Il Tribunale aveva infine aggiunto che il
concreto ripristino della misura determinerebbe effetti privi del necessario carattere di
proporzionalità, poiché, nel ritenuto “contesto storico e di fatto”, non vi sarebbe una reale
funzionalità di prevenzione speciale e resterebbe per converso compromessa
“definitivamente la prosecuzione dell’attività imprenditoriale, con tutte le negative
conseguenze sul piano occupazionale”.
6. Anche la nuova ordinanza di annullamento era stata impugnata dal Pubblico ministero,
il cui ricorso era stato accolto da questa Suprema Corte, con sentenza n. 18635/2015 del
18/11/2014.
Dopo aver negato il fondamento in fatto di alcune affermazioni contenute nel ricorso,
essenzialmente relative alla serietà degli intenti di riparazione della Società interessata, aver
ribadito che il ricorso per cassazione contro i provvedimenti assunti in sede di appello
cautelare sia limitato alla violazione di legge, anche per effetto della specifica indicazione
contenuta nell’art. 52 D. Lgs. n. 231 del 2001, ed aver ricordato, al tempo stesso, che la
giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte ha esteso la rilevanza del vizio di
motivazione, oltre il caso della mancanza grafica, alle sole ipotesi di anomalie tanto radicali
da rendere incomprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (il riferimento concerneva

base al solo rapporto di parentela con il precedente), si era infatti registrato l’impegno della

Sez. U, Sentenza n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, rv. 239692), si era ritenuto che il
ricorso del Pubblico Ministero fosse in parte fondato, osservando che appariva evidente, in
particolare, «come i Giudici territoriali abbiano omesso di pronunciarsi sulle censure
mosse al provvedimento impugnato, sviando l’oggetto del giudizio di gravame, e dunque
lasciandolo, di fatto, privo di definizione»:

il Tribunale, quale giudice del rinvio,

«avrebbe dovuto confermare od annullare l’ordinanza di ripristino della misura cautelare
sospesa dal Giudice per le indagini preliminari, occupandosi della conformità al modello
legale degli adempimenti riparatori posti in essere dalla Società, secondo i principi di diritto

valutare, dunque, se la Vescovi avesse completamente ed efficacemente realizzato, entro il
termine assegnatole, le attività ripara torie indicate all’art. 17 dello stesso D.Lgs. Come si è
visto, ed invece, il Tribunale ha esplicitamente ricusato il provvedimento, assumendone
l’inutilità in forza della concomitante revoca dell’originaria misura cautelare».
Dopo ampia disamina e confutazione delle argomentazioni del Tribunale e della difesa, si
era evidenziato che il provvedimento impugnato era, dunque, illegittimo, «per il non liquet
sostanzialmente attuato riguardo all’appello contro l’ordinanza di ripristino della misura
cautelare deliberata, dal Giudice per le indagini preliminari, a mente del D.Lgs. n. 231 del
2001, art. 49, comma 3», poiché
<>,
come già disposto dalla sentenza n. 326 del 2014 di questa Corte.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Pistoia per nuovo esame.
Così deciso in Roma, udienza camerale 9 febbraio 2016

Il compo ente estensore

Il Presidente

cautelare; peraltro, a seguito di annullamento con rinvio, tale potere è condizionato, oltre

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