Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8847 del 23/02/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8847 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• VERGANI Luca Angelo, nato a Carate Brianza il giorno 7/5/1974
avverso la sentenza n. 6557 in data 26/9/2014 della Corte di Appello di Milano;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Pietro GAETA, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore della parte civile STA.ME. S.r.l., Avv. Andrea CICCARONE, che
ha concluso associandosi alla richiesta del Procuratore Generale e depositando
conclusioni scritte e nota spese delle quali ha chiesto la liquidazione;
udito il difensore dell’imputato, Avv. Attilio Carlo VILLA, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 26/9/2014 la Corte di Appello di Milano ha confermato la
sentenza in data 20/5/2011 del Tribunale di Monza – Sezione distaccata di Desio
– con la quale VERGANI Luca Angelo era stato dichiarato colpevole del reato di
ricettazione continuata di materiale ferroso provento di furti consumati da altro
soggetto presso la ditta STA.ME. S.r.l. di Carate Brianza e, previa concessione
delle circostanze attenuanti generiche, condannato a pena ritenuta di giustizia. I
fatti-reato risultano contestati come consumati fino al 18/6/2008.

Data Udienza: 23/02/2016

Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato,
deducendo:
1. Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla mancata valutazione
dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione e mancata applicazione della
disciplina del reato di cui all’art. 712 cod. pen.
Sulla premessa che il materiale ricevuto dall’imputato era di natura particolare,
fosse stato pagato ad un prezzo infimo e consegnato stipato in cassette di legno

invenduto e non trasformato, evidenzia la difesa del ricorrente il fatto che stante
l’attività lavorativa del VERGANI e stante il fatto che il fornitore BARTOLINI non
era un “fornitore rilevante”, le sentenze dei Giudici di merito avrebbero omesso
di valutare effettivamente la qualità del bene oggetto del reato e la circostanza
che la valutazione operata circa la rottamabilità del materiale non veniva
effettuata dall’imputato ma da un suo dipendente, il che avrebbe incidenza
sull’elemento soggettivo del reato in contestazione.
I Giudici distrettuali avrebbero omesso di valutare gli elementi comparativi
sottoposti alla loro attenzione, prendendo in considerazione solo quelli negativi a
carico dell’imputato senza procedere ad una attenta valutazione dell’elemento
soggettivo del reato atteso che nessuno aveva rappresentato all’imputato la
provenienza delittuosa dei beni.
2.

Violazione di legge e vizi di motivazione in punto di applicazione della

disciplina di cui all’art. 648 cpv. cod. pen. nonché in relazione alla mancata o
comunque non motivata applicazione della disciplina del reato continuato.
Evidenzia, al riguardo, la difesa del ricorrente il fatto che la pena irrogata sia in
primo che in secondo grado è stata applicata unitariamente e non risulta
applicata la disciplina del reato continuato.
Tuttavia sarebbe emerso con chiarezza nel corso del dibattimento che la
condotta delittuosa si sarebbe concretizzata in una pluralità di episodi, con la
conseguenza che i Giudici avrebbero dovuto incentrare la loro valutazione sul
valore economico (di circa 100 C) di ogni singola consegna dei beni, peraltro
come detto, aventi valore di rottami.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Non è, innanzitutto, in dubbio e non è neppure oggetto di contestazione la
condotta accertata in sede dibattimentale tenuta dall’imputato circa la ricezione
in plurime occasioni di materiali di proprietà della ditta STA.ME S.r.l. proveniente

mediante trasporto nel baule dell’auto e che quando fu rinvenuto era ancora

da sottrazioni effettuate da un dipendente della stessa (Giulio BERTOLINI) e da
quest’ultimo ceduto all’odierno ricorrente.
Va detto subito che il motivo di ricorso che in questo momento ci occupa, così
come quello di cui si tratterà nel paragrafo successivo, è sostanzialmente
analogo a quello già proposto in sede di gravame innanzi alla Corte di Appello
(che a sua volta ha dato atto che si tratta di riproposizione di tesi difensive già
sottoposte al vaglio del primo Giudice senza alcun elemento di novità) e che i
Giudici distrettuali vi hanno dato una risposta congrua, logica e conforme ai

Dalla lettura della sentenza impugnata (cfr. in particolare pagg. 3 e 4) si
evincono plurimi elementi dai quali desumere la sussistenza in capo all’imputato
dell’elemento psicologico richiesto per la configurabilità del reato di cui all’art.
648 cod. pen. e per l’effetto ad escludere la derubricazione nella fattispecie di
reato di cui all’art. 712 cod. pen.
Sul punto è appena il caso di ricordare che come ha già avuto modo di precisare
già in tempi remoti questa Corte Suprema, “ai fini dell’accertamento
dell’elemento psicologico del soggetto agente, essendo la volontà ed i moti
dell’anima interni al soggetto, essi non sono dall’interprete desumibili che
attraverso le loro manifestazioni, ossia attraverso gli elementi esteriorizzati e
sintomatici della condotta. … Ne deriva che i singoli elementi e quindi anche
quelli soggettivi attraverso cui si estrinseca l’azione, inerenti al fatto storico
oggetto del giudizio, impongono una loro analisi la quale, essendo pertinente ad
elementi di fatto, costituiscono appannaggio del giudizio di merito, non di quello
della legittimità che può solo verificare la inesistenza di vizi logici, la correttezza
e la compiutezza della motivazione, l’assenza di errori sul piano del diritto, così
escludendosi in tale sede un terzo riapprezzamento del merito” (Cass. Sez. 1,
sent. n. 12726 del 28/09/1988, dep. 21/09/1989, Rv. 182105).
Nessun travisamento del fatto può poi essere rilevato in questa sede.
Deve infatti osservarsi che il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione,
tenta in realtà di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito
anche dopo la Novella. La modifica normativa dell’articolo 606 cod. proc. pen.,
lett. e), di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha lasciato infatti inalterata la
natura del controllo demandato la corte di Cassazione, che può essere solo di
legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito.
Al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della
motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e

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principi di diritto che regolano la materia.

valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale
modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del
fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è e resta giudice
della motivazione.
Nel caso di specie va anche ricordato che con riguardo alla decisione in ordine
all’odierno ricorrente ci si trova dinanzi ad una c.d. “doppia conforme” e cioè
doppia pronuncia di eguale segno per cui il vizio di travisamento della prova può

(con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è
stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione della motivazione
del provvedimento di secondo grado.
Il vizio di motivazione può infatti essere fatto valere solo nell’ipotesi in cui
l’impugnata decisione ha riformato quella di primo grado nei punti che in questa
sede ci occupano, non potendo, nel caso di c.d. “doppia conforme”, superarsi il
limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il
giudice d’appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, abbia
richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass.
Sez. 4, sent. n. 19710/2009, Rv. 243636; Sez. 1, sent. n. 24667/2007; Sez. 2,
sent. n. 5223/2007, Rv 236130).
Nel caso in esame, invece, il giudice di appello ha esaminato lo stesso materiale
probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo aver preso atto delle censure
dell’appellante, è giunto, con riguardo alla posizione dell’imputato, alla medesima
conclusione della sentenza di primo grado.
2. Manifestamente infondato è, poi, anche il secondo motivo di ricorso.
La Corte di appello ha motivato in maniera congrua le ragioni per la quali ha
ritenuto di non riconoscere all’imputato la circostanza attenuante di cui all’art.
648 cpv. cod. pen. sottolineando il numero e la frequenza delle consegne, il
quantitativo complessivo di merce trattata ed il valore della stessa (anche in
relazione alle più adeguate valutazioni effettuate dalla persona offesa).
Del resto questa Corte Suprema ha già avuto modo di chiarire che “in tema di
ricettazione, il valore del bene è un elemento concorrente solo in via sussidiaria
ai fini della valutazione dell’attenuante speciale della particolare tenuità del fatto,
nel senso che, se esso non è particolarmente lieve, deve sempre escludersi la
tenuità del fatto, mentre se è accertata la lieve consistenza economica del bene
ricettato, può procedersi alla verifica della sussistenza degli ulteriori elementi,
desumibili dall’art. 133 cod. pen., che consentono di configurare l’attenuante “de

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essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti

qua”, e che va, al contrario, esclusa quando emergano elementi negativi, sia
sotto il profilo strettamente obbiettivo (quale l’entità del profitto), sia sotto il
profilo soggettivo della capacità a delinquere dell’agente” (Cass. Sez. 2, sent. n.
51818 del 06/12/2013, dep. 30/12/2013, Rv. 258118; ed altre precedenti in
senso conforme).
Ora non pare porsi in dubbio che l’accertato valore dei beni ricettati sia nel suo
ammontare complessivo, sia nella sua ripartizione per singola condotta,

delinquere dell’imputato sono elementi tali che hanno legittimamente portato al
diniego di riconoscimento all’imputato della circostanza attenuante di cui all’art.
648 cpv. cod. pen.
Quanto, infine, alla questione riguardante il mancato riconoscimento della
continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen. la doglianza risulta essere frutto di una
svista della difesa del ricorrente. Infatti, al di là del fatto che la questione
sarebbe inammissibile in quanto non risulta che sia stata proposta in sede di
gravame innanzi alla Corte di appello (non emerge dal contenuto della sentenza
impugnata e parte ricorrente non ha altrimenti documentato di averla proposta),
non può non essere evidenziato che la Corte di appello ha dato atto (cfr. pag. 3
della sentenza impugnata) che nel calcolo della pena irrogata all’imputato – poi
di fatto confermata in sede di gravame anche attraverso un legittimo richiamo
alla decisione del Giudice di prime cure – si è effettivamente proceduto ad
operare il previsto aumento per la continuazione.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C
1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.
Ne discendono, altresì, le correlative statuizioni di seguito espresse in ordine alla
rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civile, la cui
liquidazione, esclusa la fase introduttiva del giudizio non prevista per il
dibattimento innanzi alla Corte di cassazione e tenuto conto della non elevata
difficoltà della vicenda processuale viene operata secondo l’importo in dispositivo
meglio enunciato.
P.Q.M.

unitamente alla pluralità di azioni che evidenziano una elevata capacità a

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende,
nonché alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile STA.ME
S.r.l. che liquida in complessivi C 3.000,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma il giorno 23 febbraio 2016.

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