Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8839 del 20/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8839 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: IASILLO ADRIANO

Data Udienza: 20/11/2013

SENTENZA

Sul ricorso proposto dall’Avvocato Francesca Mavilla, quale difensore di
Pjetri Fation alias Pjetri Ilir (n. il 26/04/1986), avverso l’ordinanza del
Tribunale di Milano, in data 11/06/2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Oscar
Cedrangolo, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

Osserva:

a

Con ordinanza del 07/05/2013, il G.I.P. del Tribunale di Milano dispose
la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Pjetri Fation alias
Pjetri Ilir, indagato per il reato di rapina aggravata.
Avverso il provvedimento di cui sopra l’indagato propose istanza di
riesame, ma il Tribunale di Milano, con ordinanza dell’11/06/2013, la
respinse.

mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di reità, delle esigenze
cautelari e dell’adeguatezza della misura.
Il difensore del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata ordinanza.

motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’ad. 591 lettera c) in
relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze (sono le
stesse affrontate dal Tribunale) sono prive del necessario contenuto di critica
specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi
dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni
da vizi logici o giuridici. Infatti il Tribunale — dopo aver richiamato il
provvedimento genetico – ha con esaustiva, logica e non contraddittoria
motivazione, evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume i gravi indizi di
colpevolezza a carico dell’indagato per il reato di cui sopra: riconoscimento
fotografico effettuato dalla P.O. che aveva ben descritto l’indagato fin
dall’inizio e che era stato tanto lucido da poter rilevare perfettamente la targa
dell’autovettura usata dai rapinatori; auto che è stato accertato essere nella
disponibilità dell’indagato solo pochi giorni prima della rapina (si veda pagina
5 impugnata ordinanza). A proposito del valore probatorio del riconoscimento
fotografico si deve rilevare che in tema di misure cautelari personali, poiché i
gravi indizi di colpevolezza sono quegli elementi a carico, di natura logica o
rappresentativa, idonei a fondare il convincimento di qualificata probabilità di
colpevolezza, l’individuazione fotografica effettuata dinanzi alla polizia
giudiziaria, indipendentemente dall’accertamento delle modalità e quindi

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato lamentando la

della rispondenza alla metodologia prevista per la formale ricognizione a
norma dell’art. 213 cod. proc. pen., ben può essere posta a fondamento di
una misura cautelare, perché lascia fondatamente ritenere che sbocchi in un
atto di riconoscimento, formale o informale, o in una testimonianza che tale
riconoscimento confermi (Sez. 2, Sentenza n. 5043 del 15/01/2004 Cc. – dep.
09/02/2004 – Rv. 227511). Per quanto riguarda la fase del giudizio questa

atipico, diverso dalla ricognizione che è espressamente regolata dal codice di
rito, può essere utilizzata ai fini della decisione anche se compiuta senza
particolari formalità (e sempre che sia legittimamente introdotta nel
processo), in forza dei principi della libertà di prova e del libero
convincimento del giudice. L’esito della suddetta individuazione può risultare
da qualsiasi atto di indagine della polizia giudiziaria, come può essere
acquisito al processo tramite la deposizione indiretta del personale di polizia
che ha ricevuto l’atto, ovvero tramite quella diretta del soggetto che lo ha
compiuto. (Sez. 5, Sentenza n. 12027 del 06/04/1999 Ud. – dep. 21/10/1999 Rv. 214872; Sez. 4, Sentenza n. 45496 del 14/10/2008 Ud. – dep.
09/12/2008 – Rv. 242029). Inoltre, il riconoscimento fotografico operato in
sede di indagini di polizia giudiziaria non è regolato dal codice di rito e
costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio in base ai principi
di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice; la
certezza della prova non discende dal riconoscimento come strumento
probatorio, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo
dell’individuazione (Sez. 5, Sentenza n. 22612 del 10/02/2009 Ud. – dep.
29/05/2009 – Rv. 244197). Infine, l’individuazione di persona nel corso delle
indagini preliminari è formalmente una dichiarazione e pertanto il relativo
verbale è legittimamente utilizzato per le contestazioni nel corso della
deposizione dibattimentale del testimone che l’ha effettuata (Sez. 4,
Sentenza n. 13882 del 25/02/2009 Ud. – dep. 30/03/2009 – Rv. 243212). Le
critiche sulla credibilità della P.O. sono generiche e non tengono conto di
quanto evidenziato sul punto nell’ordinanza impugnata (si veda pagina 4
impugnata ordinanza).
Il Tribunale espone in modo chiaro ed esaustivo perché ritenga
sussistente l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato di cui

Corte ha affermato che l’individuazione fotografica, in quanto atto di indagine

all’articolo 274, lettera C, del c.p.p. (gravità e modalità del fatto; personalità
dell’indagato che fa uso di alias ed è gravato di tre precedenti penali specifici
come egli stesso dichiara nel corso dell’interrogatorio; si vedano pagine 5 e 6
dell’impugnato provvedimento). Con eguale incensurabile motivazione il
Tribunale evidenzia perché ritiene sussistente anche l’esigenza cautelare di
cui all’ad. 274, lettera B, del c.p.p. sottolineando correttamente tutte le

Tribunale espone correttamente anche perché ritiene la misura della custodia
in carcere l’unica idonea a preservare le esigenze cautelari (quanto sopra
esposto). Sul punto questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio condiviso dal Collegio – che in tema di esigenze cautelari, il pericolo di
reiterazione del reato può essere desunto dai criteri stabiliti dall’ad. 133 cod.
pen., tra i quali sono ricompresi le modalità e la gravità del fatto e la
personalità dell’indagato, sicchè non deve essere considerato il tipo di reato
o una sua ipotetica gravità, bensì devono essere valutate — come nel caso di
specie – situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad
elementi sintomatici della pericolosità dell’indagato (Sez. 4, Sentenza n.
34271 del 03/07/2007 Cc. – dep. 10/09/2007 – Rv. 237240). In tema di misure
cautelari, il giudice ai fini di un corretto giudizio prognostico del pericolo di
fuga deve tener conto dei parametri offerti dall’ad. 133 cod. pen. che ruotano
ed oscillano, in correlazione continua e biunivoca, tra valore di gravità del
fatto addebitato o commesso, caratteristiche di personalità dell’autore e
motivazione ad agire, la quale è fisiologicamente legata, sia pure in modo
non automatico né esclusivo, all’entità della sanzione applicata ed applicabile
(Sez. 6, Sentenza n. 27042 del 06/06/2012 Cc. – dep. 10/07/2012 – Rv.
253024). Infine, in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini
della motivazione del provvedimento di custodia in carcere non è necessaria
un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra
misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici
tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonché dalla
personalità dell’indagato, gli elementi specifici che inducono ragionevolmente
a ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata al fine di
impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo
assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle altre misure coercitive

ragioni dalle quali ricava il pericolo di fuga. Si evidenzia, Infine, che il

(Sez. 1, Sentenza n. 45011 del 26/09/2003 Cc. – dep. 21/11/2003 – Rv.
227304; Sez. 6, Sentenza n. 17313 del 20/04/2011 Cc. – dep. 05/05/2011 Rv. 250060). A fronte di tutto quanto sopra esposto, come si è già detto, il
difensore del ricorrente contrappone solo generiche contestazioni. In
proposito questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal
Collegio, che è inammissibile il motivo di ricorso per Cassazione quando

decisione impugnata e quelle dell’atto di impugnazione, che non può ignorare
le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di
aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen.
all’inammissibilità (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti. Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione
in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter,
delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia
della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis
del citato articolo 94.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’articolo 94 delle disposizioni di attuazione del
codice di procedura penale.

Così deliberato in camera di consiglio, il 20/11/2013.

manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla

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