Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8836 del 20/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8836 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da Vario Fabio (n. il 27/07/1990), avverso l’ordinanza del
Tribunale di Milano, in data 17/05/2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Oscar
Cedrangolo, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Udito l’Avvocato Potito Flagella, difensore di Vario Fabio, il quale ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Osserva:

Data Udienza: 20/11/2013

Con ordinanza del 09/04/2013, il G.I.P. del Tribunale di Milano dispose
la misura cautelare degli arresti domiciliari di Vario Fabio, indagato per i reati
di rapina aggravata e lesioni personali aggravate.
Avverso il provvedimento di cui sopra l’indagato propose istanza di
riesame, ma il Tribunale di Milano, con ordinanza del 17/05/2013, la
respinse.

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla
ritenuta sussistenza dei gravi indizi di reità e delle esigenze cautelari.
Il ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento dell’impugnata
ordinanza.

motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 591 lettera e) in
relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze (sono le
stesse affrontate dal Tribunale) sono prive del necessario contenuto di critica
specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi
dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni
da vizi logici o giuridici. Infatti il Tribunale — dopo aver richiamato il
provvedimento genetico – ha con esaustiva, logica e non contraddittoria
motivazione, evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume i gravi indizi di
colpevolezza a carico dell’indagato per i reati di cui sopra (accertamenti
effettuati dalla P.G.; esito esame tabulati; dichiarazioni testimoniali in
particolare quelli di Gianluca Zen e Alberto Menato; foto appostate su
facebook; frequentazione del ricorrente con gli autori della rapina, commessa
in data 07.04.2011; il fatto che ricorrente si trovasse insieme al Coda — il loro
ruolo nella rapina è quella di palo — a 30 metri dalla gioielleria nella quale è
stata commessa la rapina da altri due complici anch’essi frequentati dal
ricorrente nei giorni precedenti alla rapina e nelo stesso giorno della rapina; il
Vario la stessa sera della rapina fa ritorno a Vieste insieme ai due autori
materiali della rapina Amin Er Raouy e Girolamo Desimio; lo stesso Vario il
05.04.2011 alle ore 07,30 aveva preso alla Stazione ferroviaria di Milano Er
Raouy e il pomeriggio alle ore 17,30 aveva preso il Desimio alla fermata dei

Ricorre per cassazione l’indagato lamentando la mancanza,

pullman della Linea Ferrovie del Gargano; si vedano le pagine da 4 a 9
dell’impugnato provvedimento). Come già rilevato, il ricorrente non tiene
assolutamente conto di quanto evidenziato nell’impugnato provvedimento e
si limita all’enunciazione di astratti principi di diritto sulla corretta valutazione
degli indizi; indizi che il Tribunale ha, però, valutato correttamente e in linea
proprio con i principi evocati nel ricorso. Infatti, il Giudice di merito ha prima

nel grado di precisione e gravità – e ha, poi, proceduto ad una lettura unitaria
e complessiva degli stessi ponendo, correttamente, in luce i collegamenti e la
confluenza di tutti gli indizi in un medesimo contesto dimostrativo (si veda sul
punto Sez. 2, Sentenza n. 42482 del 19/09/2013 Ud. – dep. 16/10/2013 – Rv.
256967).
Manifestamente infondata è anche la doglianza relativa alla ritenuta
sussistenza dell’esigenze cautelari. Infatti, il Giudice di merito espone, in
modo chiaro ed esaustivo, perché ritenga sussistente l’esigenza cautelare
del pericolo di reiterazione del reato di cui all’articolo 274, lettera C, del
c.p.p., valutando la pericolosità del ricorrente in proporzione diretta al tempo
intercorrente tra il fatto e l’applicazione della misura (gravità del fatto,
realizzato con modalità esecutive che rivelano un’evidente professionalità
delinquenziale confermata dagli stretti legami con circuiti delinquenziali dove
ricollocare immediatamente la refurtiva; si veda pagina 10 dell’impugnato
provvedimento, dove si richiama anche la condivisa motivazione del G.I.P.
sulla questione della risalenza dei fatti e sullo stato di incensuratezza del
Vario, che ha portato lo stesso Giudice ad applicare all’indagato la misura
degli arresti domiciliari anziché quella della custodia in carcere come
richiesto dal P.M.). Inoltre, il Tribunale espone correttamente anche perché
ritiene la misura degli arresti domiciliari l’unica idonea a preservare le
esigenze cautelari (per gli elementi di cui sopra; si veda sempre pagina 10
dell’impugnato provvedimento).
Sul punto questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio condiviso dal Collegio – che in tema di esigenze cautelari, il pericolo di
reiterazione del reato può essere desunto dai criteri stabiliti dall’art. 133 cod.
pen., tra i quali sono ricompresi le modalità e la gravità del fatto e la
personalità dell’indagato, sicchè non deve essere considerato il tipo di reato

valutato ogni indizio singolarmente – ciascuno nella sua valenza qualitativa e

o una sua ipotetica gravità, bensì devono essere valutate — come nel caso di
specie – situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad
elementi sintomatici della pericolosità dell’indagato (Sez. 4, Sentenza n.
34271 del 03/07/2007 Cc. – dep. 10/09/2007 – Rv. 237240).
A fronte di tutto quanto sopra esposto, come si è già detto, il ricorrente
contrappone, quindi, solo generiche contestazioni. In proposito questa Corte

il motivo di ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della
correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle
dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del
provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che
conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità
(Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 rv 230634).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, il 20/11/2013.

ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che è inammissibile

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