Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8830 del 10/02/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8830 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
CAPORALETTI ENRICO, nato ad Ancona il 22/05/1963;
avverso la sentenza del 06/02/2014 della Corte di Appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa fatta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Mario
Maria Stefano Pinelli, che ha concluso chiedendo dichiarasrsi l’inammissibilità del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma
della sentenza emessa dal Tribunale di Bologna, confermava la responsabilità del
ricorrente per i reati di rapina aggravata in concorso commessi in danno di tre
autotrasportatori, cui veniva sottratto il camion ed il relativo carico.

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Data Udienza: 10/02/2016

Al Caporaletti era stato contestato di avere messo a disposizione degli esecutori
materiali delle rapine il proprio deposito per lo scarico e l’occultamento della
merce.
2. La Corte riteneva provata tale condotta sulla base di una serie di elementi, tra
i quali, il rinvenimento di parte della refurtiva e dei documenti di
accompagnamento presso il deposito del ricorrente; il fatto che i correi, subito
dopo le aggressioni armate agli autotrasportatori avessero raggiunto in tempo di

pericolo; che non vi fossero stati contatti telefonici tra costoro ed il ricorrente a
testimonianza dei pregressi accordi; che i complici avessero avuto agio
nell’introdursi nel deposito; che l’attività svolta dal Caporaletti fosse differente
rispetto al tipo di merce depositata dai rapinatori presso il suo deposito; che egli
non aveva saputo fornire se non parziali giustificazioni in ordine al rinvenimento
della merce.
3. Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, per i seguenti
motivi:
1) violazione di legge consistita nella omessa notifica al ricorrente dell’estratto
contumaciale della sentenza di primo grado, effettuato al difensore di fiducia e
non al domicilio precedentemente dichiarato dal Caporaletti in luogo diverso, con
conseguente nullità del giudizio di appello;
2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al profilo relativo alla
sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, consistente nella conoscenza da
parte dell’imputato del fatto che la merce depositata nel suo deposito fosse
proveniente da rapine appena commesse.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non è fondato.
1.Quanto alla questione processuale posta con il primo motivo, è vero, come
ammette la stessa sentenza impugnata, che l’estratto della sentenza
contumaciale di primo grado non era stato notificato al domicilio dichiarato
dall’imputato, ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen., bensì presso il difensore di
fiducia del medesimo, con le forme di cui all’art. 157, comma 8-bis cod. proc.
pen.; le quali, secondo la giurisprudenza di legittimità condivisa dal collegio, non
potevano essere applicate in caso di precedente dichiarazione di domicilio da
parte dell’imputato in luogo diverso (Sez.2, n. 41735 del 22/09/2015, Casali).
Tuttavia, tale vizio della notifica non produce le conseguenze auspicate dal
ricorrente e consistenti nella nullità del giudizio di secondo grado, avviatosi in
seguito all’appello proposto dal difensore di fiducia del ricorrente.
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notte detto deposito compiendo un lungo tragitto di strada nonostante il

Infatti, quest’ultimo, con il ricorso per cassazione, non si duole né della
regolarità della dichiarazione di contumacia effettuata in primo grado, né della
regolarità della dichiarazione di contumacia effettuata nel grado di appello, nulla
avendo eccepito in ordine alla notificazione del decreto di citazione per il giudizio
di secondo grado.
Dunque, la doglianza va più correttamente intesa come inerente ad un mancato
accoglimento da parte della Corte di Appello di una richiesta di restituzione nel

grado.
In questi ultimi ristretti limiti, infatti, la questione era stata posta alla Corte di
Appello con il secondo motivo di gravame (cfr. fgg. 6,7 del ricorso per
cassazione, che nelle prime 24 pagine trasfonde integralmente il contenuto
dell’atto di appello).
Tanto chiarito, l’eccezione è infondata, poiché, secondo l’orientamento della
Corte di Cassazione cui il collegio aderisce, da un lato, l’impugnazione proposta
dal difensore, di fiducia o di ufficio, nell’interesse dell’imputato contumace,
preclude a quest’ultimo, una volta che sia intervenuta la relativa decisione, la
possibilità di ottenere la restituzione nel termine per proporre a sua volta
impugnazione (sez.1, n.33 del 11/11/2008, Cenollari;Sez.1, n. 8429 del
10/12/2008, Kurti); dall’altro, di quest’ultimo istituto mancherebbe, nel caso in
esame, il presupposto costituito dalla effettiva mancata conoscenza del
procedimento da parte del ricorrente.
Infatti, non ha diritto alla restituzione nel termine per l’impugnazione della
sentenza l’imputato contumace che abbia nominato un difensore di fiducia, il
quale lo abbia assistito nello svolgimento di tutti i gradi del giudizio, proponendo
le relative impugnazioni, a meno che non risulti un’esplicita comunicazione al
giudice dell’avvenuta interruzione di ogni rapporto tra il difensore ed il suo
assistito, nella specie mancante (Sez.6, n. 5332 del 21/11/2011, Minicozzi;
sez.6, n. 5169 del 16/01/2014, Najimi).
2. Il secondo motivo di ricorso è palesemente infondato, poiché con esso si
individuano doglianze attinenti al merito della vicenda – e, nella sostanza, al
travisamento delle prove raccolte – che non sono proponibili in questa sede di
legittimità.
Si deve osservare, in proposito, che nel caso in esame sono state pronunciate
due conformi sentenze di merito in ordine alla responsabilità dell’imputato.
E’ pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che il vizio di travisamento della
prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta
doppia conforme, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle
critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non
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termine per proporre personalmente impugnazione avverso la sentenza di primo

esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano
incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in
forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini
inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di
entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel
contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi; Sez.4, n.
44765 del 22/10/2013, Buonfine).

macroscopici vizi motivazionali.
Infatti, essa poggiava il proprio convincimento su diverse ed inequivocabili
circostanze di fatto che rendevano evidente come l’imputato fosse stato complice
degli esecutori materiali delle rapine, fornendo loro, in piena consapevolezza, il
necessario supporto logistico per il deposito e l’occultamento della refurtiva.
In primo luogo, il ricorrente non contesta neanche che presso il suo deposito
fosse stata trovata la merce inerente due delle tre rapine commesse
(condizionatori d’aria sottratti all’autista Tsegouras e pneumatici sottratti
all’autista De Bartolo), nonché bolle e fatture concernenti sia i beni trasportati da
costoro che quelli sottratti al terzo autista Mattei.
Orbene, a tale elemento oggettivo di estrema rilevanza, si sommavano, nella
coerente e completa ricostruzione della Corte di Appello, sia le modalità
specifiche del deposito della merce al magazzino del ricorrente da parte degli
esecutori materiali delle rapine – in tempo di notte, senza previo avviso al
Caporaletti, percorrendo tratti di strada anche di ore rispetto al luogo della
rapina, accedendo senza difficoltà all’interno del deposito – sia la circostanza che
la merce era di diversa natura rispetto all’attività dell’imputato inerente i prodotti
ortofrutticoli, solo genericamente contestata dal ricorrente come esclusiva,
attraverso il mero richiamo ad una testimonianza difensiva non meglio
tratteggiata in ricorso (che sotto questo profilo rivela la mancanza di auto
sufficienza).
Inoltre, sempre con riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato,
la Corte di Appello osservava, a fg. 12 della sentenza impugnata, che proprio il
fatto che nel deposito dell’imputato fossero stati trovati solo i documenti di
accompagnamento della merce relativa ad una delle tre rapine, pronti per essere
distrutti, dimostrava che i beni fossero stati stornati in modo illecito dopo essere
transitati presso il deposito del Caporaletti al pari di quelli degli altri delitti; dal
momento che, in caso contrario, tale documentazione doveva accompagnarsi alla
merce stessa.
Tale ineccepibile argomentazione, che si unisce agli altri elementi cementandone
il significato – anche in virtù del fatto che l’imputato non aveva saputo dare
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La sentenza della Corte di Appello di Bologna risulta immune da tali

spiegazioni in ordine al destino di tale merce – è stata del tutto omessa nella
ricostruzione difensiva, che, pertanto, rivela in parte qua anche l’incompletezza e
la genericità delle sue critiche.
Alla luce delle indicate specificazioni, gli altri argomenti rimangono assorbiti,
attenendo a profili ancora più di dettaglio relativi al merito della vicenda, non
idonei ad intaccare la portata dimostrativa degli elementi tenuti in
considerazione dalla Corte di Appello con dovizia e completezza di ragioni.

spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 10.02.2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Giuseppe Sgadari

Mario Gentile

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle

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