Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8823 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8823 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Esselen Iourano Vincenzo, nato a Napoli il 10.11.1963;
avverso la sentenza del 30/01/2013 della Corte d’appello di Napoli, Sezione 7^
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30.5.2012 il G.U.P. del Tribunale di Napoli, fra l’altro,
dichiarò Esselen Iourano Vincenzo responsabile del reato di cui all’art. 416 bis
cod. pen. e – concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti allle
aggravanti, con la diminuente per il rito – lo condannò alla pena di anni 4 mesi 8
di reclusione, pena accessoria.

2. L’imputato (con altro coimputato) propose gravame ma la Corte d’appello
di Napoli, con sentenza del 30.1.2013, confermò la pronunzia di primo grado.

Data Udienza: 13/02/2014

3. Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore, deducendo:
1. vizio di motivazione in relazione alla valutazione del motivo di gravame
afferente la circostanza che la storica appartenenza dell’imputato al clan
Licciardi sarebbe smentita dalla totale “assenza” di costui nelle pronunzie
giudiziarie che hanno riguardato tale clan, acquisite agli atti, nonché
all’affermazione che il dedotto contrasto sarebbe solo apparente in quanto
tutti i collaboratori, tranne De Carlo Antonio, avrebbero iniziato la loro
collaborazione dopo la sentenza 21.10.2009 del G.U.P. di Napoli
(acquisita agli atti) e la incomprensibile differenzazione tra il susseguirsi

cristallizzazione degli aspetti associativi, la cui conoscenza dipende da
acquisizioni investigative che possono seguire anche a distanza di tempo;
2. carenza di motivazione laddove la Corte d’appello non avrebbe adempiuto
all’obbligo motivazionale in relazione al fatto che la lunga militanza nel
clan Licciardi potesse coniugarsi con la sua non presenza nelle indagini e
nei provvedimenti relativi a tale associazione;
3. vizio di motivazione laddove la Corte di merito ha attribuito valenza
probatoria alle dichiarazioni di Esposito Biagio senza vagliare la
considerazione che costui non aveva indicato l’oggetto della riunione con
Domenico Pagano Antonio, alla quale assumeva che avesse partecipato
anche il ricorrente, né come potesse avvallare il ruolo di estorsore;
4. carenza di motivazione in relazione alle doglianze difensive inerenti la
genericità ed inconsistenza della narrazione del collaboratore Cerrato
Carmine in data 13.12.2010 con particolare riferimento alle mansioni del
ricorrente nell’ambito del clan Licciardi, per averlo visto in diverse
occasioni nella masseria Cardone e che una volta aveva accompagnato
Sparano Oreste (indicato come affiliato al clan Amato – Pagano) a parlare
con il ricorrente, pur ignorando che cosa si fossero detti; nonché illogicità
della motivazione sulla erronea indicazione del cognome del ricorrente
come “Aislen”, come se provvedesse su una doglianza mai sollevata;
5. travisamento del reale tenore del gravame difensivo sulla necessità di
valutazione dell’attendibilità della fonte primaria delle dichiarazioni rese
da Capasso Carlo in data 22.6.2010 e Lo Russo Salvatore in data
17.3.2011 e di riscontri estrinseci; la richiesta è stata confusa con quella
di attivare la procedura di cui all’art. 195 cod. proc. pen.;
6. vizio di motivazione sulla indeterminatezza e genericità delle dichiarazioni
di Capasso Carlo apprese da Pica Giuseppe.

2

nel tempo dei provvedimenti giudiziari riguardanti il clan Licciardi e la

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono manifestamente infondati.
Non vi è alcuna illogicità nella considerazione della Corte territoriale secondo
la quale l’appartenenza all’associazione è cosa diversa dalla conoscenza di tale
appartenenza da parte dell’autorità e che tale appartenenza è stata indicata da
numerosi collaboratori (tranne De Cralo Antninio la cui collaborazione risale al
2007) i quali hanno iniziato a rendere dichiarazioni a carico del ricorrente
soltanto dopo la pronunzia dell’ultima sentenza (pronunziata il 21.10.2009) a

Si deve infatti ricordare che la mancata conoscenza o la mancata prova di
un fatto non è identica alla prova positiva della inesistenza di quel fatto, sicché la
successiva acquisizione della conoscenza o della prova di un fatto può porsi in
contrasto con la positiva prova della inesistenza di quel fatto, ma non con la
mera ignoranza o prova di quel fatto.

2. Il terzo, il quarto ed il sesto motivo di ricorso sono manifestamente
infondati.
Va anzitutto ricordato che, in tema di valutazione della chiamata di correo,
occorre considerare che la specificità e il dettaglio di tale genere di dichiarazioni
devono essere verificati in relazione alla natura del reato addebitato. I dettagli
relativi a un concorso morale nel reato o a una associazione per delinquere,
fenomeni in larga misura immateriali e privi di manifestazioni esterne ad essi
immediatamente riferibili, per loro natura sono necessariamente meno specifici e
particolareggiati di quelli relativi a un reato che che consti di evento materiale e
come tale apprezzabile attraverso i sensi. Nella specie, ai fini della valutazione
circa la sussistenza dei gravi indizi per l’applicazione di una misura cautelare
relativa all’imputazione di associazione per delinquere di tipo mafioso, è stata
ritenuta non mancante di specificità e di dettaglio la dichiarazione di un
chiamante che individui i soggetti affiliati all’associazione, ne indichi i capi, e
fornisca inoltre elementi di fatto in ordine ai loro rapporti interpersonali. (Cass.
Sez. 6, Sentenza n. 3568 del 25/11/1996 dep. 04/02/1997 Rv. 208664).
In secondo luogo nei motivi di ricorso si prospetta una valutazione
parcellizzata della motivazione, omettendo di valutarla nella sua completezza,
così, ad esempio, si trascura l’intervenuta condanna per tentata estorsione del
ricorrente (p. 10 sentenza impugnata). Ancora non si considera la ricostruzione
delle dichiarazioni dei collaboratori (alle p. da 13 a 21 della sentenza
impugnata), che, trattando complessivamente l’argomento, rispondono
esplicitamente o implicitamente alle doglianze difensive.

3

carico di vari appartenenti al clan Licciardi.

Nessun interesse ha il ricorrente a dolersi della risposta ad una doglianza
non formulata quale l’errore nell’indicazione del suo cognome, peraltro affrontato
dal giudice d’appello solo per escludere l’inattendibilità delle dichiarazioni del
collaboratore di giustizia.

3. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha ritenuto che i collaboratori abbiano riferito fatti
caduti sotto la loro diretta percezione (p. 20 sentenza impugnata) sicché,
rispetto a tale valutazione, il richiamo alla procedura di cui all’art. 195 cod. proc.

4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.

Così deciso il 13/12/2014.

pen. è avvenuto solo per escludere che fosse necessario attivarla.

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