Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8814 del 10/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8814 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: IANNELLI ENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAZZOLA MILANO PAOLINO N. IL 03/11/1943
avverso la sentenza n. 4592/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
14/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENZO IANNELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 10/01/2014

-1- Mazzola Milano Paolino, già condannato con doppia conforme – sentenze del tribunale
monocratico di Milano in data 6.5.2009 e corte di appello della stessa città in data 14.2/11.4.2013-alla pena di mesi sette di reclusione ed euro 600,00 di multa per il delitto di appropriazione
indebita aggravata ex artt. 61 n. 11 e 646 c.p.- l’ essersi appropriato di premi assicurativi per un
totale di euro 10.066,00 omettendo di versarli alla agenzia assicuratrice con la quale aveva contratto
un impegno di collaborazione per promozione e gestione di affari per l’appunto assicurativi-, ricorre
per cassazione avverso la seconda decisione, deducendo,con il richiamo all’art. 606 comma 1 lett. c)
ed e)codice di rito, quattro ragioni di doglianza: a) omessa e contraddittoria motivazione in ordine
alla sussistenza dell’elemento psicologico del delitto come contestato, per la sussistenza di accordi
verbali assunti con la responsabile della assicurazione di cui era intermediario, che derogavano
all’accordo scritto stipulato all’ inizio della sua collaborazione nel senso che avrebbe dovuto versare
le somme costitutive dei premi assicurativi a lui consegnate dai clienti al momento del ritiro delle
polizze assicurative dall’Agenzia per conto della quale prestava la sua opera; b) ancora omessa
motivazione in ordine alla denegata qualificazione del fatto come esercizio arbitrario delle proprie
ragioni con violenza sulle cose, per avere egli trattenuto le somme di denaro per reazione al
comportamento scorretto posto in essere dalla responsabile dell’agenzia, Carige Assicurazione, nel
cui interesse operava, che avrebbe indebitamente posto all’ incasso un assegno post datato senza
copertura consegnatogli a titolo di garanzia dei debiti contratti e non per essere monetizzato; c)
vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche motivato dalla ritenuta gravità
ddl fatto e dalla personalità dell’ imputato, elementi invece che erano già stati valutati e ricollegati a
giustificazione della determinazione della pena per il reato: d) omessa motivazione sulla richiesta
difensiva di convertire la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria ai sensi dell’art. 53 1.
n. 689/1981.
-2 – Il ricorso non è fondato.
Costituisce dato pacifico, per nulla contestato dalla difesa del ricorrente , che l’ imputato,giusto
impegno sottoscritto il 1.12.2005, avrebbe dovuto effettuare il versamento delle somme correlate ai
premi di polizza, una volta che fossero state ritirati gli originali presso la sede della Agenzia Carige
Assicurazione nel cui interesse il predetto prestava la sua collaborazione. La persona offesa, Debora
Troveri, titolare della Agenzia, ha quantificato il debito del Mazzola in 14.000,00 euro, la messa all’
incasso di un assegno a firma dell’ imputato non andato a buon fine per la mancanza di provvista, il
successivo versamento di vari acconti fino a ridurre il debito a diecimila euro, che comunque non
venivano versati. Da qui la querela e l’avvio del procedimento. Nessun elemento concreto il
ricorrente oppone ad una ricostruzione fedele dei fatti come operata dai giudici di merito, se non
la mera asserzione che l’accordo scritto non era sistematicamente da lui rispettato con l’
accettazione della persona offesa. Il che si traduce in una censur& di merito al discorso
giustificativo giudiziale, peraltro non conciliabile con il fatto che, messo all’incasso l’assegno,
questo non fu onorato e che, ai versamenti parziali di denaro, a fronte ancora di un residuo notevole
debito, la persona si decise a sporgere querela.
Non è vincente eccepire il difetto nella particolare situazione dell ‘elemento soggettivo del reato di
appropriazione indebita a Pronte del solo asserito accordo inforaele intervenuto tra le parti,e
peraltro sconfessato dal persistente debito malgrado il tentativo di recuperare le somme sottratte
attraverso la messa all’ incasso di un assegno emesso dall’ imputato e ritornato insoluto. L’
elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita consiste nella coscienza e volontà di
appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire
senza averne diritto, ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità. trztlea

Letti gli atti, la sentenza impugnata, il ricorso;
Udita la relazione del cons. Enzo Jannelli;
Udite le conclusioni del S. Procuratore generale, Fulvio Baldi, per il rigetto del ricorso!’
inammissibilità dei ricorsi;

P.Q.M.
.
Rigetta il ricorso e condanna sl ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10.1.2014

Peraltro
l’intenzione di restituire il maltolto non fa venir meno certo il dolo nel delitto di appropriazione, a
fronte di una situazione di fatto dalla considerazione della quale non è possibile evincerla.
Una situazione di fatto, peraltro, refrattaria ad essere assunta, come pur pretende il ricorrente, nell’
archetipo normativo di cui all’ art. 392 c.p.: invero, anche se si volesse solo per un momento aderire
all’ argomentb difensivo che denuncia la messa all’ incasso dell’assegno che era state dato solo in
garanzia del debito accumulato, la circostanza del tentativo di monetizzarlo non è in grado certo di
tramutare un dovere di prestazione in un diritto speculare di non adempimento del debito.
I giudici di merito per giustificare e la pena irrogata e il diniego delle attenuanti generiche hanno
fatto leva sulle modalità complessive della condotta e sulla carenza di congrui elementi favorevoli
per una diversa determinazione giudiziale. E correttamente, ad avviso della Corte: invero per il
diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma
è sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di
tale rilevanza tenga obbligatoriamente conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle
specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato, nel concreto mancanti. Sul punto
occorre ribadire che le h attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola
e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate
specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che
presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare,
considerazione ai fini della quantificazione della pena.
La infine dedotta omessa motivazione della richiesta della conversione della detenzione determinata
in mesi sette in pena pecuniaria è del tutto inammissibile a fronte di una pena inflitta in una durata
che non la consente.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha
proposto, deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

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